Ogni paese il suo macellaio… Simone Ceccotti

 

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Lari. Quella parte di Toscana che ancora non è stata venduta. Le colline già mostrano l’ebbrezza di guidare con il braccio fuori dal finestrino ma ancora i capannelli di persone fuori dal bar o fuori dal barbiere sono l’ordine del giorno di un sabato pomeriggio assolato. Qui, l’accento parlato non è vittima di strane mescolanze né di indole turistica. È tutto molto rilassato, gli alberi tengono coperto, il paese mostra antichità e le botteghe sono ancora la rappresentazione migliore di quest’angolo poco invaso. Ogni paese ha ed è il suo macellaio. Ogni paese ha il suo taglio e il suo salume. Aglio e poco sale. La Toscana è un’anima carnivora all’interno di belle vigne, straordinari resort, curve pericolose, facce rifatte, accenti corrosivi e lingue intrise nel curaro. Dalle macelleria più che dagli allevamenti, passa la storia di tradizioni e territori. Qui non ci sono differenze tra botteghe, il macellaio è norcino e il norcino è macellaio. Ognuno secondo i propri salumi, ciascuno secondo le proprie ricette. Il segreto di pulcinella è il cuore pulsante della concorrenza, della vicinanza e della lontananza. Continue reading Ogni paese il suo macellaio… Simone Ceccotti

Una storia di pasta che si rinnova sempre uguale a se stessa… Famiglia Martelli

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Lari. La pianura comincia a diventare collina e i cartelli a segnalare prodotti tipici. La ciliegia è decantata ma non coltivata, le strade si trasformano in curve e ciottoli. Le mura iniziano a circondare i centri storici e agli occhi non resta che rimanere, ancora una volta, conturbati alla vista dei primi cipressi e delle abitazioni che si trasformano in torri, all’interno di giardini delibanti conti svizzeri e ascendenti nordici. Così, Lari si presenta nella sua sonnolenza di piccolo gioiello nascosto, sì turistico, ma ancora poco sovraesposto alle calate dei pullman, dei barbari, degli accenti trafelati e dei menù tradotti in aramaico turistico. È come se qui esistessero ancora gli abitanti del luogo senza affacci monumentali. Ma lo stupore ha sempre il polsino inamidato pronto alla bocca aperta. Continue reading Una storia di pasta che si rinnova sempre uguale a se stessa… Famiglia Martelli

Macellai senza razza… Diego Liberini

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Rezzato. Punto di snodo tra la città, la Valle Sabbia e quelle destinazioni trentine che portano molto oltre il Lago d’Idro. La montagna è lontana tanto quanto il fascino. Rimane un po’ di collina, qualche vigneto e la Valverde che mostra più il suo nome che le sue grazie. Gli allevatori hanno stabulato le proprie bestie sotto tanta paglia e troppi tetti. Le stalle si alternano ma non si vedono. Si sente ancora un po’ di puzza delle pianure. Le cascine rimangono disattese così come i corsi d’acqua. Le rotonde hanno deciso di tagliare l’intagliabile, rimandando indietro un’immagine di coesione tra grigi. Gli occhi che guardano la strada sono le strade che non sono più né allusione né traccia. Continue reading Macellai senza razza… Diego Liberini

Una pizza concupita… Antonio Pappalardo

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Rezzato. Pedemonte di varie geografie. L’hinterland senza nessi logici con la memoria, la collina di Botticino che non ha nulla di fascinoso nemmeno oltre lo sguardo e il Monte Regogna con le sue cave, che aprirebbe scenari, villette con tetti in pietra, le fabbriche tessili lungo il naviglio e le vecchie cascine stilizzate in una forma di nobiltà che perde pezzi ogni giorno, se non fosse per una strada che non porta da nessuna parte. La via del marmo assomiglia torvamente alla via del cemento. Il Bacino Marmifero della Valle Sabbia, al di là di interessi economici e lavorativi, appare come un’occasione sprecata di ricordo. Eppure il fascino del mantenimento, della lavorazione, della morte, della valle, delle infiltrazioni comunicative tra paesani e forestieri, al di là della banalità museale, manca totalmente di aggregazione, di un senso che possa portare fuori quell’archeologia industriale che continua a dimostrare noi stessi molto più di qualunque Altare della Patria. Continue reading Una pizza concupita… Antonio Pappalardo

Bisogna credere alla cultura delle mani… Fabrizio Zucchi

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Ciliverghe di Mazzano. Rotonde e centri commerciali, centri commerciali e ronde, centri e rotonde commerciali. La commercialità del luogo è talmente tonda che il nome non può che essere mellifluo. È tutto così informe da non avere né più centro né più periferia. Si è scelto per le case basse, magari due piani, magari con un giardino in cemento, si è scelto per non mantenere più la logica della relazione. È tutto molto codardo, le vie di fuga, le code, la necessità di comprare, corroborata dalla facilità di trovare, e quella voglia di non lasciare alle persone che la notte per immaginare la giornata successiva. È hinterland, è lo stesso hinterland che c’è ovunque, privato dell’andito operaio, privato del bisogno di coesione e lasciato marcire sotto il sole rovente del cemento e del prefabbricato. E così, qualcosa che viene fabbricato prima non può che essere senza luogo. Non c’è contemporaneità, non c’è futurismo e non c’è nemmeno passato, eccezion fatta per la notabile Villa Mazzucchelli. Continue reading Bisogna credere alla cultura delle mani… Fabrizio Zucchi

Un paese regionalizzato e dei self-made men… Macelleria Ballardini e Allevamento Artini

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Tione di Tentro. La capitale delle Valli Giudicarie. Un paese lasciato alla decadenza. I pusher del turismo stanno continuando a venderlo come la porta della Val Rendena, come quel luogo da cui partire per le interessanti escursioni ai piedi dei ghiacciai. Ci sono le scuole, gli uffici, gli impiegati pubblici, quelli che consigliano l’impiego pubblico, che già al lunedì possono tranquillamente pensare al weekend e alla cena del venerdì, è rimasta forse una pizzeria, non ci sono più strutture turistiche, nessun hotel, qualche negozio e un bel centro che potrebbe catalizzare l’interesse del pellegrino se solo ci fosse una reale corrispondenza. Invece, quello che resta, è un paese burocratico, dove espletare le forme della civiltà. Continue reading Un paese regionalizzato e dei self-made men… Macelleria Ballardini e Allevamento Artini

Yogurt e formaggi da razza Rendena… Manuel Cosi

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Giustino. Poche anime a pochi metri da Pinzolo e dalla salita verso Campiglio. Val Rendena con i suoi accessi laterali verso boschi di abeti e miniere di albite. Le valli centrali non lasciano mai spazio al potere dell’immaginazione. È tutto molto scritto, i paesi hanno delle forme ben definite, dei punti vendita da cui non si può prescindere, personalità succinte e delle attività ataviche che non possono mai essere disilluse. Così, la vacca Rendena, eponima e caratterizzante, dovrebbe essere l’anima di un luogo che ha preferito lentamente vendersi a brune e frisone, mantenendo quei ceppi isolati che dell’eroico si portano dietro la quotidianità. La vacca Rendena è una razza che ha resistito alla modernità. Continue reading Yogurt e formaggi da razza Rendena… Manuel Cosi

Il ri-conoscimento di una stupefazione… Noris Cunaccia

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Val di Borzago. Quattro kilometri sulla sinistra di Spiazzo. Poche curve e il cellulare non ha più campo. La solitudine diventa baita e abitanti, un’accoglienza turistica, una bandiera, un campo di mirtilli, abeti a non finire e un fiume che cambia con i colori e con le luci del cielo. I sassi sono questa valle di acqua e felci. I colori non comprendono nulla, sono lì nell’infittirsi del bosco che sale sempre più fino al ghiacciaio del Carè Alto, quello che diventa rosa e luna, domina tutto, impedisce distrazioni e ammanta il sotto-messo-bosco di colori e visioni. Verde, giallo, viola, il rumore del fiume, le felci che sembrano la corona di un re che si sta schiudendo su quella che non è quasi più primavera. La montagna non ha ricordi e non ha compromessi. È tutta lì in quella valle. Senza patine, senza luoghi del desiderio, senza sguardi melliflui onnicomprensivi di tintarella, puttane e gatti delle nevi. È lì, in quanto necessaria, è necessaria in quanto irrealizzabile. E così non ha contraddittori e nemmeno antinomie. È una valle di fiori e di persone al di fuori di qualsiasi speranza. Perché è concreta, ha i piedi ben piantati nella terra e soprattutto ha dei suoni che non potranno mai essere né definizione né nota. La paura, l’informe, l’istinto, è tutto lì. L’uomo, privato di definizioni con cui difendersi, è costretto ad ascoltare: il fiume, il vento, i campanacci, la ruminazione, gli chef antropofagi, ma soprattutto colei che mangia i fiori con educazione e cura: Eleonora Noris Cunaccia. Continue reading Il ri-conoscimento di una stupefazione… Noris Cunaccia