Saigon e il delta del Mekong (Vietnam del Sud)

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Un rumore di fondo prepotente, senza attese, in una vastità in cui la natura ha sempre sopravanzato le possibilità dell’uomo e le sue cure. Eppure ci sono ancora degli sguardi intatti capaci di sorprendersi per il fatto di essere lì, in quel momento, come unico e indissolubile rappresentante di un esistente. E così i migliaia di kilometri di costa si sviluppano attraverso cambiamenti climatici e facce più sicure. Rinvengono, nelle zone turistiche, i procacciatori d’affari, fastidiosi sì, ma solo perché avvezzi a villeggianti incapaci e puerili, vittime consapevoli di un refrain che non diventa mai strofa, complessità e problema. Li vedi placidamente mettersi in coda e, lì, provare fastidio per il ronzio. Perché lì tutto è in vendita. E io mi sono accorto finalmente di poter essere un buon target, di poter col sorriso far parte di un bel segmento di mercato.

Così, se una volta il best seller sarebbe stato “Io non conto nulla”, eroe inconsapevole anti-pubblicitario che veleggia tra i confini di una nicchia che non frega nulla a nessun venditore e a nessun compratore, ora, dopo il delta del Mekong, dopo aver visto in faccia la realtà aumentata Pokemon Giungla, potrebbe diventare “La dieta dell’umidità”. Il dottor VietCong non ha ancora annusato l’affare, portare, in mezzo a banani e manghi, una schiera di ciccioni e sguardi ossei dove rampognarli a furia di sudate e fughe dalle zanzare in mezzo ad un 190% di umidità percepita.

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Ecco, il Vietnam, a tratti, è straordinario, per l’inaspettato che non ti attende, gratificandoti, per quell’espressione di ingenuità che vedi ancora tra la gente e per quella sicurezza, anima religiosa, di un buddhismo ateo calpestato da decenni ma assolutamente propositivo e conciliante. L’altro è sempre un’opportunità di vendita e una rispettosa distanza. Perché è ovvio, basta leggere due righe di storia, per rendersi conto di trovarsi in un paese battuto, che ha dovuto sovrastare i propri simboli, concedendosi ad un socialismo di stato assolutamente onnicomprensivo. E così la povertà rurale è un accadimento normale ma senza lacrime.

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La percezione è quella di un’indigenza non subita, di un far fronte operoso e non succube, di un non abbandono alle logiche della disoccupazione, cercando sempre di trovare una componente commerciale della vita. E così le case diventano officine e negozi, le strade si riempiono di cianfrusaglie e la voglia di contrattare diventa abilità di riscatto. Tutti vendono qualcosa e tutti comprano qualcosa. È chiaramente uno sguardo superficiale, di uno che rifugge il turismo ma dalle sue logiche deve partire. L’assenza di linguaggio è un’assenza di dialogo che aumenta le impressioni a dismisura. E così il Vietnam è veramente un gran casino. Diritti umani mutilati e libero mercato rampante: le contraddizioni di un comunismo contemporaneo che ha mantenuto ancora gli occhi a mandorla nell’Indocina.

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Perché questi erano luoghi da fumisterie d’oppio e colonialismo col panama. Ma oggi è tutta un’altra storia.

Ho Chi Minh City (Saigon) è il desiderio di un delirio, qualcosa di assolutamente irrealizzabile in quanto non pensato. Un inquinamento ambientale e acustico fuori da qualunque mondo, una follia di motorini, venditori di uova fecondate, venditori di ciarpame, di passaggi, di pezzi di cemento, di carabattole infinite, notte, giorno, senza soluzione di continuità, alberghi rutilanti, parchi protettivi, mercati antitetici, pagode dedicate all’Imperatore di Giada, grattacieli avveniristici, clacson infernali e una viabilità senza speranze. Tu vai per la tua strada e loro ti scanseranno. La speranza è l’unica strada. Altro che strisce pedonali. Saigon è un posto fumoso dalle diottrie sfumate e dai ristoranti in costante ebollizione. A sud si mangia dolce, le spezie sono stemperate, la varietà vegetale è immane, le cotture sono straordinarie, le cucine è meglio non guardarle, il rispetto di alcuni cuochi per la materia prima è frutto di precisa educazione. Nha Hang Ngon è l’anima raffinata del cibo di strada, cucine a vista e cibi preziosi. Banh cuon, frittelle di riso con ripieno di carne tritata, Banh xeo, crepes alla maniera di Saigon, Bun cha, vermicelli agrodolci, noodles in tutte le salse, pesce incredibile e verdure perfette, Banh Kot, mini pancakes ripieni di gamberi, Bo luc lac e Banh beo. Per tutto il resto, per le trattative e per la carabattola c’è il Benh Thanh Market. E così posso ripartire…

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Il delta del Mekong è un richiamo dentro l’assurdità. Non ti aspetti nulla, rientri sui sentieri di Kurtz e ti trovi in mezzo ad una barca al crepuscolo con l’orizzonte che crolla sulla giungla, lasciandoti in un sentimento di gratitudine molto al di là dell’inquinamento, della musica sparata in mezzo ai banani, del fiume pieno di bottiglie di plastica e di passaggi edulcorati di motorini che arrivano dappertutto. Quando si spengono i dissapori e ti ritrovi solo ad immaginare in mezzo alle mangrovie, quel posto ti sembra l’ultima frontiera del desiderio. Banane, jack fruit, dragon fruit, ananas, manghi, papaya, piantagioni di cacao, palme di cocco e un fiume che si alza e si abbassa fino ai mercati galleggianti, quelli che puoi solo vedere e a cui non puoi partecipare, un gioco di rialzi e ribassi da dialetto stretto.

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Un clima che cambia repentinamente, scrosciate in testa, clima colonialista e la frutta più buona e coltivata peggio che si possa immaginare. Perché qui non ci sono principi, si lavano i piatti nel fiume, si pesca il pesce testa di serpente e non ci si fanno troppe domande che vadano oltre l’orizzonte giornaliero.

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Ci si sdraia sul pavimento, si guarda la tv con la porta aperta, s’inforca una bicicletta, si allevano due galline, si osservano intorpidirsi i fiori di loto e si aspetta il giorno dopo per riposarsi, chiacchierare e tenere un buon vicinato. Poi assaggi un pesce che in Italia non mangeresti mai, in una zuppetta speziata, e non ti fai più troppe domande.

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Nell’aria rimangono gli aromi del pepe di Phu Quoc, nero o bianco, senza troppe differenziazioni, qualcosa di comune e assolutamente essenziale e la precarietà dei dolcetti al cocco, prodotti ovunque nella provincia di Ben Tre, che ricordano una mou e a cui è possibile abbinare di tutto.

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