Novellara. Terre dalle nebbie e dalla pianure persistenti, piazze quadrate, portici e tetti rossi diluiti. L’immagine di un paese fatto di ritualità, domeniche mattine e sepolte tradizioni ornamentali che del dialetto si son presi tutte le cadenze. Così le persone si conoscono e si riconoscono, in quel concreto-paesano dove i colori pastello e le persiane verdi sono acciottolati, religiosità e cura del territorio. Novellara è le sue campagne, le sue frazioni, le sue case basse e quei nascondimenti rinascimentali che delle Signorie si portan dietro gli angoli, i misteri e le fosse sepolte. Le bonifiche hanno collegato e disilluso, lasciando al cocomero, al parmigiano, al salame e all’aceto il compito di riportare l’araldica in terre confinate. In mezzo a queste vie, fuori dal centro, oltre quella strada lastricata che vanifica il qualunquismo, l’Acetaia San Giacomo sta portando avanti la notabilità di un progetto e di un prodotto che ha trovato quella straordinaria comunicazione data dall’artigianalità.
Nata a Cognento, una frazione di Campagnola, in via San Giacomo Maggiore, l’Acetaia è stata un’azienda agricola con una piccola produzione di vino e una batteria casalinga avviata nel granaio. I Bezzecchi e il destino. Un passaggio di consegne che metteva in faccia un trivio: abbandono, conversione o passatempo. Qui è entrato in scena Andrea che ha deciso di portare avanti quella fragranza di mosto cotto che i suoi genitori hanno rispettato nella tradizione del condimento e che suo fratello aveva provato a rendere comunicativa nel suo bar Roma in centro a Novellara.
Dal fienile al sottotetto di un’abitazione, la produzione di Andrea cresceva inversamente proporzionale allo spazio. Antonio Tombolini e il mondo della vendita on line han segnato il passaggio all’età adulta. Adesso mancava solo un luogo consono. E così nel 2004, Strada Pennella, i suoi animali di corte, la sua stalla e il suo legno corrotto in mezzo alla campagna sono diventati la sede di di una follia di gessetti e pietra, di un graffitismo senza maniera, dove sempre lo stesso racconto è diventato circolo, ri-racconto e novità, un’archi-scrittura assolutamente originaria dove accogliere, mostrare e rendere leggibile quel percorso che, tra stupore e schifo, lo ha portato fino a qui. L’aceto balsamico di Modena si è portato via il pudore, trasformando l’ennesimo prodotto tipico in una tipizzazione dell’italiano medio in giro per il mondo.
Consorzi e denominazioni han fatto il resto, togliendo, a chi non è dentro l’IGP, la parola balsamico dall’etichette di ciò che non è aceto tradizionale (mosto invecchiato almeno dodici anni). Mosto cotto di Trebbiano e Lambrusco, a fuoco diretto e all’aria aperta, che stravolge le caratteristiche organolettiche del prodotto creando, tra imbrunimenti e caramellizzazioni, la base del prodotto finito. La sfumatura di cottura che non va oltre l’oltre è l’abilità dell’artigiano acetico, di un palato raffinato e fermentato. Riduzione senza invecchiamento o Saba, agro di mosto (primo affinamento in barrique più grandi), Essenza (il corrispettivo di un aceto balsamico dopo qualche anno in batteria), aceto balsamico tradizionale (dopo almeno dodici anni) ed extravecchio (dopo venticinque anni). Batterie di diversi legni (rovere, ciliegio e castagno), acetificate preventivamente, di sette botti e due barrique iniziali. Il resto è una questione di anni che passano, di prelievi (uno all’anno) e di conseguenti travasi dalla botte più grande a quella più piccola, fino al rincalzo finale di prodotto nuovo all’interno della prima botte. E così la purezza dei primi anni diventerà una miscellanea privativa e superlativa, dove la maturazione del mosto, finita l’attività degli acetobatteri, si potrà dedicare all’invecchiamento e alla concentrazione degli aromi e dei sapori, raggiungendo bilanciamenti sperati o errori madornali.
L’acidità è l’anima di Andrea Bezzecchi, “acetista” puro, tra mosti cotti, madri acetiche e vini naturali. Il suo è un lavoro sul margine, su quella fermentazione che è il fondamento dell’artigianato. Alcoliche, acetiche e zuccheri residui. Agro-dolce nell’essenza più pura o acidità rilasciata nelle decantazioni. Il lavoro di Andrea è sul tempo, su quel 90% di fatica che porta il 10% del prodotto o su quel 10% di fatica che porta il 90% del prodotto. Perché fare un extravecchio è una questione di fede ma soprattutto di speranza per il futuro, di esserci, di sopravvivere e di resistere all’imbrunimento barbarico delle persone. Nascere con tangentopoli e vedere la luce oggi. Non c’è molto da discutere su prezzi e civiltà. Sono gesti di conservazione che portano in bocca mondi. L’extravecchio ha ancora quell’acidità che ti fa spostare la sedia indietro . È un prodotto unico, di una rarità quasi impossibile da contestualizzare. Va assaggiato in purezza alla ricerca di un’armonia di fondo senza estremismi. Si sente molto legno (nordico balsamico) e molta terra (“sudico” agreste). Minerale e acido. Straordinario ma senza domani. Così, per la quotidianità, si torna indietro e si va verso il tradizionale con acidità spiccata e frutta appassita in bocca, verso il Balsamela, con aggiunta di succo di mela che rende il tutto molto morbido, o verso gli aceti classici (tra Walter Massa, i lambruschi territoriali e Angiolino Maule c’è una sorta di florilegio del fruttato…) e di mosto cotto biologico.
Acetaia San Giacomo è un luogo magico, di racconto e di batterie, di tempi lunghi sommessi e poco sostenuti. Perché l’artigiano acetico è un custode prima che un trasformatore, un cercatore di materia prima che deve definire il tempo attraverso il tempo…
ACETAIA SAN GIACOMO
STRADA PENNELLA 1
NOVELLARA (RE)