Spiazzo Rendena. Un guazzabuglio di frazioni indipendenti, strappate e assolutamente slegate. Ognuna con le proprie tradizioni e secondo le proprie possibilità, si aprono corti affrescate con nasoni satirici e rimandi ironici ad un’arte rustica di una popolarità primigenia, fatta di sepolture e di canditure. La stravaganza attorniata da lavatoi e case fuori luogo cade nel silenzio che guarda la valle di Borzago, i suoi orsi e quell’ascetismo magico che da queste parti si tiene lontano dalle pose e dalle contraddizioni. La necessità rurale ha colto esattamente l’inganno della carcassa turistica, quella che illude, già spolpata, per pochi mesi di diletto e accenti sfacciati e consumistici. Prendere senza donare, la Val Rendena, con le sue propaggini più smaccate e con quelle che ancora riescono bene a mantenere nascosto il tempo, si stringe attorno ai passi, ai passaggi e alle valli laterali, si veste a festa e si fa ricadere in un autunno nostalgico, dove la verità diviene la percezione, dove entrare in un bar porta con sé significati epici e una storicità degli sguardi. Si spia una società diacronica, volti avvizziti e imberbi seduti allo stesso tavolino, nella stessa discussione, paesaggi umani dove le donne e gli uomini si sono garantiti nelle rispettive posizioni, comprensioni per cui servono almeno ventiquattrore, quelle utili alle persone per completare la propria giornata, fatta di giornali, incontri, bevute, giochi e diseguaglianze. Qui si vivono ancora i paesi, le frazioni, gli edifici. Le persone sono solo un tramite, un sentiero traverso…
Il mio sentiero, che interrompendosi svia, è Noris Cunaccia, radicale conservatrice, il primo obiettivo è Riccardo Collini, la sua famiglia, le sue stanze e le sue trasformazioni. Albergo con ristorante e bar, azienda agricola, cantine, vigneti, un paio di maiali l’anno da trasformare, qualche vacca Rendena da carne, un succo di mela torchiato e un filo fuori fuoco, e una ventina di capre Camosciate per fare i suoi formaggi.
I salami sgranano ancora, nemmeno salnitro, da maiali pesanti, con substrato batterico, sei mesi di stagionatura, muffe nobili, lavoro trasformativo dei grassi portato a termine, pieni e digeribili, coppe fatte bene e pancette un po’ troppo speziate. Sui formaggi c’è bisogno di tempo e di qualche lattica da mettere in circolo. A breve arriveranno i nuovi laboratori attraverso cui sperimentare e provare delle presamiche più lunghe e delle proteolisi più profonde, intanto ci sono gli unici vigneti della Val Rendena, ad oltre 700 metri d’altezza, di vitigno Solaris per un bianco acido, intenso e un filo ossidato. Resistenti e solitarie, sono uve in espansione, rare, che non possono che attecchire in filosofie umanistiche e prettamente territoriali, Ronc’or (da ronchi) è il nome del vino ed è l’appezzamento rubato al bosco, il risultato è un selvatico addomesticato.
Riccardo è riservato e intenso, si libera delle strutture allorché può parlare delle sue produzioni, in mezzo alle sue prodigiose cantine recuperate all’abbandono, in quelle stanze che sono emblema di un Trentino ritratto e beato…
COLLINI RICCARDO E STEFANI GISELLA
FRAZIONE MORTASO 53
SPIAZZO RENDENA (TN)