Togliamoci un po’ di maschere e un po’ di vestiti, lasciamo da parte sarcasmo e ironia, proviamo a raggomitolarci in un cantuccio riflessivo e a intendere che il tempo della sapienza non ha attecchito, si è chiamato fuori e ha lasciato l’Italia in mano ad un fatuo frivolo volubile gommato e indolente. Fuori i pasdaran del giornale, dentro i progressisti illuminati delle serie tv. Il pesante, quel bel polpettone slavo anni ’70, fuori, dentro le sfumature sofiste. Dentro l’UMIDO, fuori il SECCO. E così i gusti si sono ammorbiditi, dentro la mollezza del ventre, i divani mentali, i travestimenti buffi, fuori i bastoni, le carote e il manicheismo. Il relativismo è l’altro lato della medaglia, sempre e comunque. Guardi gli chef belli tronfi, sorridenti, parlare di food cost, che vale solo per costo d’acquisto e mai per quello di vendita, guardi i critici che ormai sono riusciti a giustificare la combutta come necessità di crescita, guardi la dialettica scadere in diplomazia e sorrisi, e capisci perchè la sinistra non ha più nulla da rivendicare. Moralmente, intellettualmente e gastronomicamente. Ogni produzione è diventata cultura, ogni forma è diventata arte, ogni compromesso è diventato necessario. È tutto bello, straordinario, interessante, nuovo, rivoluzionario. È tutto troppo culturale. Continue reading Per una gastronomia “engagé” (impegnata)…
Categoria: Filosofia del gusto
Il Middlebrow borghese esiste ancora!? Si è solo spostato…
“Middlebrow: fronte-media, una categoria di prodotti culturali e artistici (in particolar modo letterari) che si offrono al pubblico per le loro caratteristiche di facile accesso e fruizione…. tipo………. il cibo?!?!?”. Il middlebrow, probabilmente e così come si è sempre analizzato, nemmeno più esiste, in un’era in cui Šostakovič può diventare la suoneria di un cellulare e può essere “fruito nella disattenzione” (cit. Walter Benjamin), contenuti e forme cedono la mano alla liquidità e a tutte le sue connotazioni e contraddizioni. Lì’ in mezzo, in quel perbenismo culturale dove è l’emozione ciò che conta e dove ormai l’intelletto sembra un principio di separazione, le strutture reazione-rivoluzione fuori escono ancora egregiamente. Continue reading Il Middlebrow borghese esiste ancora!? Si è solo spostato…
Scegliere la materia prima è l’unica strada per l’identità…
Quale? Una semplice domanda che marca e pone le differenze. In pochi luoghi al mondo si riesce ad andare oltre al piatto tipico e al prodotto tipico, oltre la regione e la zona di provenienza, in pochi posti al mondo la qualità diventa la proprietà di una identità. Mi spiego, il pesce pescato a Kanazawa andrà a formare un pasto Kaiseki straordinario, dove gli anni di apprendimento, dedicati a tagli, cotture e messa nel piatto, adegueranno il piatto verso la perfezione. Il tempo e la fatica applicano una radice quadrata alla conoscenza, la scompongono, rendendola minuziosa, complessa eterogenea e articolata. L’approccio qualitativo crea l’identità di un luogo che riesce a sfuggire al concetto di prodotto tipico. A Kanazawa si mangia questo, a Bayonne si mangia il prosciutto, a Bologna il tortellino, a Palermo la cassata e a Monaco di Baviera il brezel. La facilità è già viaggio ed è appena prima dell’interesse. La facilità crea la definizione che solleva l’uomo dall’istintualità della paura. Creando ripetibilità ma anche assuefazione. Così un giorno, per caso, m’imbatto in Aimo Moroni, una storia diversa e un cuoco stellato lontano dal firmamento. Continue reading Scegliere la materia prima è l’unica strada per l’identità…
L’ambizione dell’artigiano
“Andare intorno con moine e promesse”
“Non è trasparente e diretta, non ha nulla di altero o nobile, non segna uno speciale desiderio: là dove fallano la forza o la volontà, si gira intorno bussando alle porte più convenienti – ci si arrampica per muri e scale secondarie, si entra dal retro. Così l’ambizioso sarà uno per cui il fine giustifica i mezzi – ignaro che il mezzo è il fine”
Riflessione come a rimandare indietro qualcosa.
Mi volgo e, dopo qualche anno tra territorio e strade che portano verso la meraviglia, rimango impallinato dalla cura della noncuranza, di quel lato umano che i saggi dell’antifrasi hanno definito con il contro aforisma: l’abito fa il monaco perché l’apparenza non inganna quasi mai. In questo dovrebbe venirci sempre incontro il meraviglioso “Ufficio Facce” gestito da Cochi, Renato, Jannacci, Beppe Viola e Teocoli. Si capiva la squadra tifata, ma si poteva capire il credo, il partito o la funzione sociale. Come oggi. A guardare in volto buona parte delle persone che il potere lo possiedono ma non lo conservano, vengono i brividi alla sola intenzione di comprendere. E così la sensibilità “lombrosiana”, fisiognomica, dovrebbe poter prescindere dalle parole. Gesti, sguardi, atteggiamenti, vestiti, mani sul volante, tazzina di caffè alle labbra, coda alla cassa, maniera di affrontare le giornate, il clima, la fatalità delle 24 ore necessariamente da trascorrere. Ecco, l’esperienza del giorno e la riflessione della notte mi han portato a soffermarmi serenamente sull’apparenza, a non andare oltre, almeno non subito, a mantenere quel livello che possa bastare a se stesso. E a riflettere l’esperienza costruita per gradi e categorie. Tralasciando gli stadi della profondità, della poesia, dell’artigianalità, della fatica, della bellezza e, ricevendo gli stimoli giusti da artigiani già passati di lì, mi sono trovato davanti all’ambizione, così nuda e crudele. Continue reading L’ambizione dell’artigiano
La convivialità è stata capita o è stata rapita?
Convivialità. Una chiave di volta culturale. Da ricercare ai tempi dei Sumeri. Mangiare e bere assieme fortifica i rapporti. Reciprocità di relazioni e prossimità di commensali. Vivere l’altro in quanto altro in un movimento dialettico alla cui base c’è lo scambio. Un dare-avere emblema di una visione filosofica che nella differenza fonda la distruzione assolutista dell’identità dell’Io. Il mangiare, da definizione, è un atto che postula una relazione, una diade o una triade forse, un sistema di rapporti che si può allargare o che si può restringere, ma alla cui base rimane certa la presenza di un Io che consuma un alimento, che diventa corpo e ci permette di sopravvivere e di vivere. Nasce come gesto egoistico, di sopravvivenza prima dell’uomo, poi della specie, si raffina con lo sviluppo del tatto e del gusto, e si condivide per il piacere di vedere un riscontro e una conferma della nostra sensibilità nei confronti dell’esperienza. Continue reading La convivialità è stata capita o è stata rapita?
Original Braunvieh: un costoso ritorno alle origini…
Bruna Alpina. Nome evocativo che riporta a pascoli incontaminati, a tempi di malghe e alpeggi in bianco e nero, a bergamini sempre pronti alla transumanza e a formaggi semplici con caldere in rame e spini in legno. Ecco, niente di tutto ciò, la Bruna Alpina così come la conosciamo nella maggior parte delle stalle del nord Italia non ha nulla da spartire con quella vacca ben slanciata regina dei nostri pascoli in bianco e nero. È una ricostruzione americana arrivata in Italia negli anni ’70 ad incrociare e modificare. Gli svizzeri hanno importato la Bruna delle Alpi (Braunvieh) nell’800 negli Stati Uniti, nei primi anni del ‘900 hanno cominciato le selezioni per specializzare la razza nella produzione di latte e subito dopo queste selezioni sono state riesportate in Europa per migliorare le nostre Brune, dando origine alla razza Bruna Alpina come oggi la conosciamo. Il problema è che c’è stata una sostituzione di razza che dell’origine non s’è portata dietro granché. La Jersey più che la Bruna Originale è stata la base di una lattifera con tutti i crismi dello sfruttamento. Una vacca da mais ed alimenti fortemente proteici. Una razza da pianura. Anzi da praterie americane… In certi alpeggi, magari poveri magari piovosi, per metter su grasso fa una fatica incredibile. Continue reading Original Braunvieh: un costoso ritorno alle origini…
Bisogna rispettare la materia prima?
Territorio, stagionalità e trasformazione. Il rispetto della materia prima, biascicato incomprensibilmente da addetti al lavoro e non, da mamme “illuminate”, professori salutisti e paladini del biologico, è diventato il fulcro di una gastronomia per cui al massimo, al di fuori della stessa gastronomia, non ci può essere null’altro che una leggera perdita di percezione, una banale ubriacatura e svariate strette di mano e dimostrazioni stupite. Ecco, al di là della “legge della pancia” e dell’”arte di regolar lo stomaco” ci può essere qualcos’altro, qualcosa di inter-disciplinare, qualcosa che vada al di là del semplice mangiare senza porsi altra domanda che non riguardi prezzo, quantità e qualità. Al concetto di materia prima si son sempre rifatti tutti quelli che han voluto dare un tono al proprio approccio alla cucina, etico ed estetico insieme, al rispetto della materia prima si stanno rifacendo tutti quelli che vogliono dare un senso assoluto e più profondo ad un approccio che non può prescindere dall’elaborazione e dalla ricezione della materia prima stessa. Continue reading Bisogna rispettare la materia prima?
Lo Straight Edge tra musica e veganismo…
Straight Edge. Linea dritta. Sono passati più di trent’anni dalla rivoluzione punk/hardcore e sono passati milioni di fiumi sotto i ponti di una musica che esprimeva nettamente le sue linee guida, al di là dell’arte e al di là dell’artista, in quella mescolanza che non poneva limiti tra la quotidianità e il palco. Continue reading Lo Straight Edge tra musica e veganismo…