Laterina. Sulle strade dissestate del Ciclone, in quella campagna che è Toscana, intimità, nostalgia e senso di onnipotenza. Il paese si allunga su colline frantumate, dove le strade bianche sono una delle ultime forme di relazione pre-logiche. Qui si ragiona a distanze, a viste, a ponti sul fiume e a case diroccate, ci si riconosce, si percepiscono i girasoli anche in un inverno mite, con i campi dissodati e l’estrema cura come via di mezzo del partitismo e della cultura. Qui i soldi sembra non siano mai mancati. Nonostante tutto e nonostante l’orgoglio, ogni tanto, decada, perdendo di vista la tradizione a favore di un ammodernamento, questi paesi sono un baratro di struggimento da cui è difficile allontanarsi. Si va verso l’aia, si guardano i colori del crepuscolo, ci si lascia stordire dagli accenti diretti e nebulosi e non si vorrebbe più venir via. Se poi ci mettiamo delle pecore e un formaggio agognato, il quadro assume i toni di quel velato malinconico a cui non ci si può opporre.
Vinicio Giallini è spiazzante perché prima del giudizio. Un’umanità d’impatto che della pastorizia ha fatto la sua ragione d’essere. Pecore sarde, al pascolo, qualche incrocio, una famiglia di allevatori che ha preso in mano l’oltre fiume dividendo case, pascoli e stalle. Sostanzialmente un unico formaggio, al di là di una ricotta rinforzata da un po’ di latte (impagabile!), quella ricerca sul pecorino toscano che è innanzitutto storia, conquista, transumanze, povertà e prati d’erba.
Dai monaci camaldolesi all’origine di quel che resta: l’Abbucciato Aretino, che prende il nome dalle sfumature tendenti all’arancione (carotenoide) della crosta, va dal mese di stagionatura fin quasi all’anno, i sapori lo stravolgono, vanno dal lattico/acido al “granato” fino all’esotico/affumicato. Buccia, unghia e pasta formano un assaggio inscindibile. Il prodotto finale è frutto di gentilezza, coesione tra Vinicio e sua sorella Licia, capacità, rispetto dei tempi e naturale propensione alla cortesia. La cagliata si spezza piccola, in modo che le forme, nonostante raggiungano a malapena il kilo, possano stagionare qualche mese in più senza destabilizzare troppo grassi e palati. Le pecore al pascolo una decina di mesi all’anno fanno il resto.
Fine gennaio, arrivo ad orario casuale, e gregge che lentamente sta rientrando in stalla, mungitura serale – aggiunta a quella mattutina -, perché il formaggio è ancora una forma d’onestà: a latte crudo (e sono rimasti in due a fare l’Abbucciato senza barriere…), senza fermenti, senza aromatizzazioni, senza bruciare i tempi e le trafile, nonostante le necessità commerciali siano sempre pressanti, le asciutte delle pecore lunghe, le rese alte e i quantitativi di latte sempre più bassi (media annua sul litro al giorno).
Quella dell’Abbucciato e di Vinicio è una storia contadina che affonda le radici profondamente in una Toscana rurale molto al di qua dei casali, dei cipressi e degli ulivi secolari, qui si lavora seriamente, la terra e lo spazio, non ci sono alleggerimenti e gli sguardi hanno ancora nell’autentico il loro unico peccato. Che ricompensa!
AZIENDA AGRICOLA GIALLINI VINICIO
VIA SANTA MARIA IN VALLE
LATERINA (AR)