Gambolò. Resti di resistenza. Un paese sconquassato e nascosto da brume e risaie. Una Lomellina normale, in un territorio di case basse e volti rassicuranti, un pomeriggio tiepido con i tavolini in plastica a muovere l’aria di un aperitivo lungo una giornata, una settimana, un anno, una vita. Qui non c’è modo di retrocedere, si ha sempre in faccia la verità, troppo in faccia. E se non sei fuggito, il modo di restare è un modo di rientrare. All’interno di canoni benpensanti, all’interno di stanze ben illuminate dietro pareti sepolte da anni di stratificazioni, la vita di provincia diventa irreale e possono così fuoriuscire delle grazie inaspettate. Gambolò è uno di quei rari paesi artigianali dove ancora vivono produttori e dove il riso non è diventato l’onnicomprensivo di una zona di mondo. Qui la possibilità va colta al volo e così anche un milanese di rigetto può trovare un’idea spiazzante, un qualcosa che non abbisogni nemmeno della proverbiale fertilità dei luoghi. Niente materie prime del posto, ma birra fatta con precisione e rispetto.
Simone Ghiro ha aperto il suo birrificio qualche anno fa qui in Lomellina, cercando la tranquillità del gesto e la voglia di farsi conoscere sul luogo. E così il suo percorso è stato simile a quello di molti altri birrai qui in Italia. Una laurea che non c’entra nulla, una professione che non c’entra nulla (professore di educazione fisica ndr), homebrewing dei più tipici, bevute settimanali di tutto lo scibile brassicolo, passione per le alte fermentazioni, invecchiamento con le basse fermentazioni, corsi con Paolo Polli e altri presunti guru del movimento, degustatore ADB, vicinanza brianzola con i Menaresta’s, conoscenza di Pietro del Carrobiolo, idee condivise, serietà gustativa, luppoli da mettere a posto, burocrazia da conoscere e nel 2012 l’apertura di Gambolò: un omaggio al paese che l’ha accolto e la proposta di un itinerario diverso per i giovani del luogo. Perché la birra non bastava e Simone ha anche provato a coinvolgere la cittadinanza nella ricerca della ricreazione…
…ma questi sono lidi individualistici, dove la coesione è un territorio di stanzette rafferme e sguardi lascivi.
Senza preliminari, il godimento diventa inaspettato. E così, 2013, subito birra dell’anno: ambrata, strong ale, alta fermentazione, alto grado alcolico e luppolata, Nowhere il nome di quella che è stata una folgore ed è diventata un classico. Una senza luogo in mezzo alle pale ale, schiuma persistente, naso caramellato, una punta di agrume, malto e un finale speziato. Forse un filo indietro nell’aroma ma un’ottima birra di impatto che non spiega nulla. Perché il mondo di Simone è variegato e la ricerca della miscellanea è un impatto a tratti stupefacente. La sua Jungle è una birra semplice e perfettamente contestuale: witbier/saison, frutta e agrume d’impatto, pompelmo ma senza amaricante, karkadè africano per richiamare origini apotropaiche e un po’ di cereale in bocca. Bella, piena e solidale.
Spostarsi su stili birrari è il compimento di quasi ogni percorso, ma molte volte ci si trova appesi ad un ramo all’interno di un burrone. E così c’è una sospensione tra paradigma e vertigine: Little Storm, mild ale, risibile gradazione alcolica e straordinaria “bevibilità”. Da berne dieci senza accorgersene. E la vecchiaia qui diventa un pregio. Gasoline, golden ale facile, un po’ di banana e una punta di acidità, e imperial stout (Dark Age), schiuma beige persistente, cacao molto tostato, poco carbonata e un po’ di erba, armoniche ma non nelle mie corde. Ottima la Bob 13, scotch ale intensa e speziata, e stupefacente la sua brettata Wild Stork (evoluzione di una saison), cuoio e spezie.
Simone ha in testa la bassa fermentazione, birre più semplici, serate meno alcoliche. Sotto casa ha costruito il suo laboratorio e da lì non ha nessuna voglia di andarsene. Ha un brewpub in testa ma la sua produzione deve essere il completamento delle sue mani e della sua testa, lo spazio è quello che è, i fermentatori anche, e così fare delle scelte verso il non-compromesso è la risultante della prima persona. Produzione, mescita, vendita. Così si guarda vicino, ma non si rischia di sbracare, di finire in mano all’imprenditore che negli anni ’80 comprava pasticcerie e adesso compra micro-birrifici. La semplicità non sempre premia, perché priva di leggenda e “sintomatico mistero”, però è l’unico simbolo realmente rimasto di un artigianato di retrogusto e di retroguardia, che si prende il tempo per la passeggiata, per l’aperitivo rilassante ma soprattutto per il pensiero…
BIRRIFICIO GAMBOLÒ
VIA CIMITERO 13
GAMBOLÒ (PV)