Tra Roncà e Soave, dove le vigne hanno colonizzato tutto, boschi, parchi e coltivazioni e dove fare dell’altro non è più nemmeno pensabile, perché le stalle si sono rifugiate e sono state lasciate alla mezza montagna – quella che produce ma non trasforma – e perché l’estetica non è ancora arrivata al punto di liberarle. Sono luoghi medievali, rifratti, coperti e cinti da mura, che nascondono più che mostrare un artigianato che è stato costretto, adagiandosi alla perfezione, ad adeguarsi ai ritmi delle vendemmie e dei consorzi. Perché qui fare imprenditoria, riuscire a creare una filiera e mostrare la possibilità di un sapere sono sempre state viste come un mettersi in mostra superfluo, quasi sgradito. Continue reading La Casara: epopea della famiglia Roncolato…
Categoria: Caseificio e Allevamento
La cooperazione è un discorso filologico… La Peta (Mario Costa)
Costa Serina è un nascondimento nel nascondimento. Adagiata com’è su quella mezza montagna al di fuori dall’interesse e dallo scorrere frettoloso delle abitudini. Che qui sono impermeabili alla noia perché della noia sono impregnate. E così non si può fare altro che continuare a girare intorno ai tornanti e guardare con diseducazione quelle case messe in piedi dai magutt bergamaschi che han reso tutto una miscellanea di pareti bianche e tetti spioventi, dove il legno e il cemento formano l’immagine di uno straordinario stacanovismo orobico e dove il passato continua sommessamente a diventare una forma di dimenticanza. Così si passa da Trafficanti a Vino cattivo fino a tutti quei nomi identificati da anfratti, usanze e punti vendita della valle: sbocchi tra la Val Brembana e le mitologiche “ora e un quarto da Milano” che al piccolo borghese non han mai lasciato scampo. Perché la val Serina è una serie di villini all’ombra venduti sulle reti private da sedicenti ammaliatori in camicia abbronzata per poche migliaia di euro… previa chiaramente soddisfazione personale… Continue reading La cooperazione è un discorso filologico… La Peta (Mario Costa)
La Lessinia al tempo dei pastori… Lorenzo Erbisti
Roverè Veronese è un continuo sali e scendi di luoghi abbandonati e contrade che non portano da nessuna parte se non nel selvaggio. La Lessinia non concede favori e nemmeno pudori, ha questo viso rilassato che nasconde bene le brutture, ha quello stampo tedesco-cimbro che delinea le strade senza renderle agevoli e ha quel turismo mascherato da gita domenicale post-scout e pre-pensionamento. Senza delle indicazioni casuali è impossibile toccare due volte le stesse vacche e le stesse piante. Il versante centrale è quello dei formaggi e delle stalle del Monte Veronese, dove il latte è lo stadio morente di una popolazione che non esiste più se non asintotica alla realtà. Fughe disperate, eremi romiti e professioni talmente distanti dalla definizione che non sono nemmeno un dialogo. Eppure c’è una bellezza disattesa e confusa, c’è un paesaggio assolutamente inalterato e assolutamente inesplorato ed è in luoghi come questo che le vacche Rendene e le pecore Brogne possono ancora rivendicare il proprio spazio al di là della produzione, della stabilità e di quei casari che darebbero via tutto in cambio di un cappio da legare. Continue reading La Lessinia al tempo dei pastori… Lorenzo Erbisti
L’alpeggio senza orpelli… Elvis e Alessandra Perotti
Castellamonte è un luogo invernale, fatto di stufe in ceramica, castelli diroccati, sagrati e quella Rotonda antonelliana che tutto abbraccia, a partire dalla proteolisi di quelle tome bloccate in vetrine costruite alle spalle di gente che ha sempre visto l’alpeggio come forma di espressione e l’inverno come il tempo per tirare a campare. È l’ultimo luogo ameno prima di una serie interminabile di frazioni, di paesi senza centro e di quelle case canavesane devastate dall’abbandono e lasciate a quei patii che della casa di ringhiera si portan dietro l’immagine di una povertà retrograda. Poi improvvisamente l’ambiente cambia, le case spariscono preda della decadenza delle valli. Quelle selvagge, senza ostaggi, con la fuga delle persone a dimostrare l’indigenza. Alberghi chiusi nel nulla, ottanta persone a valle per ogni inverno e qualche turista alla ricerca del silenzio assoluto d’estate: la Valle Soana è una valle “fantastica”, come recita il suo sito web che meravigliosamente si apre sulla foto dei manifesti funebri degli ultimi ad andarsene. E lì lo stupore diventa sgomento. C’è sempre un motivo per la decadenza di una valle realmente “fantastica”. Il Parco del Gran Paradiso è lì ma è come se non ci fosse. I retaggi valdostani sono troppo lontani. Queste sono valli di alpeggiatori silenziosi, senza formaggi tipici e senza dimostrazioni di resistenza casearia. La Valle Soana è un luogo precipitosamente lontano. Continue reading L’alpeggio senza orpelli… Elvis e Alessandra Perotti
Caseificio Borgonovo: un Grana Padano fuori logica… Fratelli Palormi
Borgonovo di Monticelli d’Ongina è una di quelle frazioni che han lasciato intatto il concetto di Pianura Padana. Senza turbamenti e senza deterrenti. Un borgo diroccato e dismesso assolutamente contestuale alla voglia d’inverno. Il paese e l’Isola Serafini sono dietro l’angolo, dietro quelle campagne che danno asparagi, nebbie e stalle chiuse dall’impossibilità. Qui era zona di centrali e smantellamenti, qui il candore dei porticati e dei castelli fu inglobato nella corsa all’oro. Petrolio e nucleare, la campagna della bassa è stata un luogo perverso di interessi coesi e mostra adesso le sue rughe d’impossibilità ad un ruolo diverso. Ma la campagna è troppo territoriale per essere abbandonata e le attività ancora si fregiano di quella passione per la piccola artigianalità e per il silenzio. Al di là di tutto, queste sono le terre del Grana Padano, delle quote latte, dello sfruttamento delle stalle e del collo tirato ai piccoli produttori in nome di un prodotto sempre meno caro, sempre meno buono e soprattutto sempre in crescita produttiva. Qui, in questi borghi senza fretta, i fratelli Palormi stanno portando avanti l’attività di famiglia, presa in mano “troppo presto”, rivoluzionata e lanciata verso il traguardo di una contemporaneità che può tranquillamente prescindere dal giorno di riposo, dalle festività e dalle ferie. Casari con contratti annuali con cinque stalle del territorio. Questo vuol dire che il latte arriva ogni giorno, tutto l’anno. E bisogna andare a prenderlo! Tutto l’anno. Numero degli addetti ai lavori, di tutti i lavori: 2. Ennio e Gianfranco o Gianfranco e Ennio. Nessun altro. Continue reading Caseificio Borgonovo: un Grana Padano fuori logica… Fratelli Palormi
Il professore del formaggio…. Gabriele Santagostino
Ossago Lodigiano. Strada statale, rotonda e cartello di benvenuto. La tipicità lodigiana non è più nel formaggio: marcite le marcite, abbandonati erborinature e granone, quello che resta è uno spettrale continuo, intervallato da distese di quello che fu foraggio, diventato biogas nei meravigliosi anni rampanti e tornato disperazione ed abbandono. La stabilità del prato è diventata un intervallo, più o meno ampio, all’interno di stagioni e cascine. Dove il diroccato diventa decadenza e l’imbrunimento da fine del mondo è quel temporale che raggela tutto. Sguardi e missioni. Il paese non ha nulla di più che case basse e qualche retaggio. Le vie sono definite dalle cascine e le persone sono ombre dimezzate fuori dall’imponenza cittadina. L’asfalto si sfalda, i cipressi diventano caducifoglie, il terreno si sbriciola diventando sterrato e la preponderanza di stalle tappa un po’ il naso all’istantanea bucolica sempre fuori quadro. Ecco. Una di queste cascine è l’impressione del mio viaggio. Un po’ casa padronale, un po’ ricovero vintage, un po’ decadenza da troppe tasse, un’aia invasa da galline e pavoni e una reale ricerca della biodiversità. Continue reading Il professore del formaggio…. Gabriele Santagostino
Uno straordinario stracchino filologico… Osvaldo Locatelli
Corna Imagna. Piccolo centro montano defilato e perduto. Per un soffio sopra i settecento metri, il retaggio bergamasco non è più nemmeno una delizia. Qui non si passa per caso ma per assaggiare il territorio, per dare conformazione a quelle necessità di sopravvivenza che continuano a non interessare la bellezza. Così, accanto alla storia, sui declivi oltre-urbani, vengono continuamente aggiornate case in colori improponibili. Dal rosa neon al blu fiordaliso fino agli improponibili gialli svanimento-contemporaneo. La pietra rimane nascosta, appare sotto forma di cascina in mezzo ai boschi, ha la regolarità della stalla e il retaggio culturale della chiesa. La religione è vissuta come “sacro più che come santo” (cit.). Manca la discussione sulla libertà. L’imposizione è una tradizione che mette in luce i suoi riti e il suo passato. Garantisce un ordine. Il santo è un abisso e qui in mezzo manca il pulviscolo, il dubbio, la disperazione. È tutto molto chiuso. Il modello di appartenenza è ben chiaro. Carbonai, bottegai, allevatori, casari e “pecaprìde”. C’è solo da riscoprire, da tirare fuori, da dargli forma. E così l’incontro con Osvaldo Locatelli, un casaro che ha deciso per l’individualismo in un territorio di solidarietà e conferimento, è stato un inciso determinante… Continue reading Uno straordinario stracchino filologico… Osvaldo Locatelli
Il tesoro della Bruna e Antonio Carminati
Corna Imagna ha due affacci sulla valle. Una parte alla luce e una parte all’ombra. Il sole ha sempre determinato le attività, le coltivazioni e gli allevamenti. Vigneti, cascine, stalle e coltivazioni sono tutte orientate, lasciando all’altra parte un accenno di bosco, querceti, aceri, tigli ed agrifogli, e quella cupezza che si porta via la città arrivando al culmine del Resegone senza mai andare oltre. La bellezza rimane nel recupero. E così la decadenza dei fienili e delle stalle è stata rimessa in piedi grazie a quell’associazionismo che ha provato a salvare tutti, a quelle persone che hanno messo la cosa pubblica davanti all’interesse economico di comprarsi il televisore nuovo. Antonio Carminati è il genius loci con una voce e con un portamento. È stato sindaco, è diventato direttore del Centro Studi Valle Imagna e ha provato a portare a fondo la tradizione dei bergamini, dei formaggi, delle mulattiere, dei muretti a secco e di quell’ingresso caratteristico a forma di T, simbolo di una vita di sussistenza e di cooperazione. I fienili, i tetti in piode, dove l’ardesia viene disposta in modo da bilanciare le varie lastre e i secadur (dove la povertà delle castagne essiccate diventa perseveranza e tempo gastronomico) hanno lo sguardo di quell’estensore di cultura che non riesce a piegarsi all’abbandono. Il tutto passa dai libri, dai professori alla Michele Corti, dalle storie rugose e da quella libertà di non mettere mai da parte il decadimento. Così il fascino deve essere legato al restauro piuttosto che al tramonto. Il nord del mondo non è fatto di vicoli degradati e cantori di ballate senza un domani, è fatto di maniche rimboccate ed estensioni del piacevole. Continue reading Il tesoro della Bruna e Antonio Carminati