Poggioreale è un luogo abbandonato, uno di quei posti dove si ha a che fare con i fantasmi delle cose, da dove non è possibile che venga restituito nulla, se non ruderi di un terremoto che ha distrutto e stravaganti costruzioni di un nuovo abitato che non è altro che un reticolo di viali periferici senza un centro e con un abisso di costruzioni incommensurabili. Lo sviluppo ha svuotato la possibilità della distanza, del perno attorno a cui tutto far ruotare. Così rimangono fotografie in bianco e nero dei margini di un rudere che non è altro che vegetazione spontanea, solitudine e distanza diurna. Così la Valle del Belice, in quell’esistenza agricola che trasforma gli inverni nelle primavere e i gialli autunnali in vitigni imbottigliati e svenduti, diventa strada statale, strada dissestata e curve senza via di uscita, in mezzo a quei paesi che non hanno altro che il ricordo di una storia che non si è compiuta. Così si cerca di guardare indietro per qualche possibilità di lavoro e per regalare qualche ora di quel tempo fermatosi nel 1968. Continue reading Progresso verso il passato… Lorenzo Pagliaroli e Simona Chessa
Categoria: Caseificio e Allevamento
L’estremo rispetto dello stagionatore… Stefano Lunardi
Aosta. Pochi parcheggi, centro storico delimitato, irriguardosa presenza di bellezze naturali e di accenti apotropaici che tolgono la velleità di lamentarsi. Il patois locale è un’inflessione recuperata ma mai scomparsa, parlata ma mai imposta. Qui siamo in una di quelle zone di confine dove una Nazione diventa un’altra. Il limite come terra di mezzo tra soglia e confine. Qui l’Italia necessariamente diventa Francia. Senza complimenti e senza recisioni. Aosta è il luogo simbolo del passeggio e del passaggio. La gente corre e si allontana sulla strada per Pila o per la Valtournanche, rimane giusto il tempo di un negozio. Il resto è sguardo e nostalgia. Perché qui c’è una bellezza disillusa che non riesce a richiamare perché divertimento e relax sono concorrenti troppo ostici. Così chi rimane deve fare le cose seriamente, guardando al territorio e alla tradizione. Continue reading L’estremo rispetto dello stagionatore… Stefano Lunardi
Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre
Ayas. Un’estate che non vedo se non attraverso vecchie fotografie di un borgo recuperato. La valle più bella della Val d’Aosta. Almeno così nei racconti. L’immaginazione è quella di un luogo molto oltre i suoi duemila metri, i borghi recuperati e la pietra a vista. Le caratteristiche abitative non appartengono ad un invasione ma ad una collisione. Legno, roccia ed erba. Fuori e dentro la casa. Con quei pascoli che si vanno svuotando, rendendo l’oltre impossibile. Il cielo è il limite e così le vacche mangiano il mangiabile ridando indietro un po’ di Sicilia e un po’ di Irlanda. Ma questo è inverno e c’è ancora, rarità nella rarità, chi ha deciso di produrre il proprio formaggio solo in alpeggio. Quattro mesi all’anno o poco più. Il resto è una transumanza, meditata dagli anni che passano, verso un luogo e verso una professione che è diventata casa nel corso degli anni. Continue reading Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre
Formaggi, errori, linciaggi e perdoni… Giacomo Romelli
Breno. Strada per il Passo Crocedomini. Là, verso quel valico ormai chiuso per la troppa neve, i pastori hanno sempre fatto i pastori, gli animali hanno sempre fatto gli animali e i turisti hanno sempre fatto i turisti. Tutti buoni e tutti stronzi. Questo articolo è un pensiero condiviso da quattro persone, probabilmente becere e qualunquiste, ma sicuramente alla vana ricerca di togliersi almeno uno dei pregiudizi…
Questa è una storia di linciaggio, di morte e di assenza di redenzione. È una storia di occhi svuotati dalla morte e dalla disperazione. Che il mondo di oggi sia un mondo senza Dio non devo certo corroborarlo, basta guardare il luogo dell’ignominia dove alberga il giudizio sull’altro, per non riconoscerlo più come gusto ma come disgusto. Alla fine, ci continuiamo a nascondere, e siamo diventati tutti un po’ più cattivi. Eppure, un paio di migliaia di anni fa, un tipo abbastanza brillante, tunica e barba lunga, parlava di pietre scagliate, di perdono e di redenzione. Ma l’ascolto non è riuscito a diventare un rogo. Continue reading Formaggi, errori, linciaggi e perdoni… Giacomo Romelli
Formaggi territoriali e rifugi antiaerei… Il Brè e Rosario “Beppe” Gelfi
Breno. Fondo valle. Giornata cupa. Inizio dicembre. Sommessamente perso tra le nuvole basse, l’asfalto incomincia a diventare sampietrino e le piazze iniziano a colorarsi di pastello. La Valle Camonica ha uno spaccato al di là dell’industrializzazione coatta che l’ha resa immensa fuori dall’immaginazione. E questi viali, i palazzi, il castello, le chiese, la dedizione di un orario che porta a stare dentro più che fuori ma soprattutto le fontane, la continua presenza di acqua, l’umidità, l’ombra del Crocedomini, la presenza del neolitico, il ritrovamento del solito cereale nel solito tascapane dell’ennesima copia di Ötzi, fanno di Breno un luogo diverso perché senza fretta. Turistico con delle bellezze che riescono a mantenere intatti i silenzi di una natura che non c’è più. O almeno non c’è lì. Perché basta alzare lo sguardo e il territorio diventa prati e alpeggi, diventa la stessa idea supportata da quel luogo e da quei paraggi. Pietra, acqua e stagionatura dei formaggi. I pascoli del territorio brenese sono tra i migliori in Lombardia. Si fa Silter, si tacita il Bagoss e si sofistica il Bagosso. Perché lassù, in quel trivio dove i formaggi bresciani hanno creato la leggenda, l’erba è talmente buona da diventare conservazione. Continue reading Formaggi territoriali e rifugi antiaerei… Il Brè e Rosario “Beppe” Gelfi
Il Formai de Mut senza patine… Gianfranco Paganoni
Alta Val Brembana. Isola di Fondra è un paese che non esiste, le anime sono in disfacimento. Forse un centinaio, forse una cinquantina. Frazioni e molto abbandono. Una straordinaria conca dove il sole si vede poco, dove i larici si alternano agli abeti, garantendo all’autunno la propria appariscenza, e l’acqua, tra il Fiume Brembo e le cascate laterali, intacca la pietra, le chiese e i ruderi rimasti ormai corrosi dal giallo. Ormai c’è solo vista. Ci sono le stagioni, sì, c’è qualche lavoro, ci sono i versanti ripidi della Pietra Quadra che si abbattono sulla possibilità di continuare a richiamare persone e poi c’è quell’opportunità vana di restarci o di passarci. Lì, nel rombo dell’acqua che mette tutti i dolori a posto, in quella vista esoterica che va a sfiorare la prima neve autunnale, turisti dello sci e malgari si dividono il passaggio ulteriore, quello verso la montagna vera, o almeno quello che le Orobie hanno ancora da offrire. Questi paesi, ad ottocento metri d’altezza, sono l’anima perduta di quell’Italia che non ha l’aspetto laccato dei pascoli felici e dell’accento teutonico, che non ha saputo re-inventarsi un modo per portare il decadimento, le centrali idroelettriche e l’intransigenza delle scuole con il predellino al di là del secolo breve. Così le sparizioni diventano più fughe che morti ed Isola di Fondra rimane lì già nella memoria di un passaggio e di quei muri scrostati che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Così, senza nemmeno accorgersene. Continue reading Il Formai de Mut senza patine… Gianfranco Paganoni
I formaggi e la la loro cognizione… Gabriele ed Edoardo Donadio
Villar San Costanzo. Il paese dei ciciu, i camini delle fate delle Valli Cuneese. Formazioni rocciose, erosioni di non si sa bene quale passato, decisioni terrene a forma di fungo che fuori escono ai piedi del Monte San Bernardo: nella purezza di un luogo molto lontano dal turismo e più vicino ad un naturalismo di stampo geografico. Qui si passeggia bene ma si studia meglio. Nel silenzio di un paese che, nella casualità della fortuna, ha deciso di non trasformarsi in CiciuLand ma di rimanere un territorio con delle priorità e delle gentilezze. Continue reading I formaggi e la la loro cognizione… Gabriele ed Edoardo Donadio
Il Castelmagno appeso alle rocce… Osvaldo Pessione
Castelmagno. Comune sparso. Valle stretta, alberi, poche case e ancora meno posti dove rifugiarsi. Qualche venditore tipico, un paio di tornanti e Campomolino mostra una definizione quantomeno di frazione. Quindici borgate, sei abitate e un paio recuperate. Comune e posta nello stesso edificio, un ristorante e una bottega. La strada perde tortuosità e inizia ad aprirsi. Vacche al pascolo e la valle, presso Chiappi, diventa una meraviglia d’alpeggio e facilità. Lì, in mezzo a questa morfologia fluviale, memoria di un tempo d’immigrazioni, guerre e abbandoni, Castelmagno rivendica le sue passeggiate e il suo Ferragosto. Il resto è una solitudine nebbiosa, oltre i millecinquecento metri d’altezza, e una possibilità di collegamento con le valli dirimpettaie (Stura e Maira) data da una strada a mezza carreggiata fiancheggiata da una montagna franante e da un burrone decadente. Il coraggio non è nemmeno più una voglia di osare. Le aquile accudiscono il santuario e il resto è vegetazione rarefatta e roccia, in quella angoscia verde che non rende tutto poetico. Questo non è l’Alto Adige, questa è la Val Grana che all’allegoria ha preferito la rovina. È tutto pietra anche le parole occitane compresse in una ricerca di una sigaretta dell’anziano della borgata che è come se non avesse mai visto… mai… neppure oltre… neppure quelle frazioni recuperate da ingegneri e “barolisti”, radicalmente metropolitani, che han deciso di dare asfalto, blandizie e formaggi ad una valle che era stata predata. Continue reading Il Castelmagno appeso alle rocce… Osvaldo Pessione