Cascina Battivacco: il riso di Milano… Lucia Nordio e Angelo Fedeli

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Milano. Quartiere Barona. Dove l’edilizia popolare ha cominciato col mangiare qualche campagna, ha riempito i pomeriggi dei ragazzi, ha creato associazionismo, si è dovuta difendere dalla delinquenza e si è presa in carico il mesto compito di tenere le campagne ancora più lontane. Qui in mezzo, per caso, è difficile arrivarci, magari una passeggiata pomeridiana, così, per annusare un po’ di libertà del Parco Agricolo Sud Milano, per dimostrare come una delle città più agricole d’Italia (se non la più agricola) possa aver perso, nel tempo, quella condivisione, quel sistema-cascine visto da lontano come il passato, con cui barattare una conquista futurista e metropolitana dove non sentire più il peso delle distanze e dei silenzi. Qui gli olezzi delle stalle permangono stantii, son sparite le marcite, stan sparendo i fontanili, le stalle rimangono sempre legate ad un’estetica del nascondimento e Cascina Battivacco indugia come espressione poetica di un luogo domenicale e prosaica di un luogo che non ha sofferto l’abbandono ma la normalità della burocrazia. Continue reading Cascina Battivacco: il riso di Milano… Lucia Nordio e Angelo Fedeli

Piedigrotta: pizza gastronomica rétro… Antonello Cioffi

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Varese. Idealmente deposta. Una città seria, cupa, algida, abbracciata dai monti, dal sacro e dal mistero. Ville liberty scoscese e impianti fascisti ridanno indietro la certezza del giudizio, una bellezza compressa, difficile, priva di fascino, tetragona nei volti di una borghesia che non ha mai latitato, che si è sempre chiusa dietro a cancelli e portoni per portare in casa un’imprenditorialità asettica, da sveglie presto, cene familiari e pruriginosi tentativi di rilassamento. C’è molto vuoto tra pavimento e soffitto, c’è un’aria greve che dona alle istituzioni l’austerità aristocratica di trovarsi sempre fuori tempo massimo. Precisione, pulizia, decoro, nascondimento, la famiglia è una perfetta coesione di sguardi, i venditori rimangono assiepati dietro le loro serrande, la vendita non è mai un compromesso, il sole non riesce mai ad illuminare veramente. Ville, parchi, castelli, castelli, ville, parchi e sacri monti, Varese rimane sotto i portici a guardare una sera che si rimette e un artigianato che lentamente si affaccia… Continue reading Piedigrotta: pizza gastronomica rétro… Antonello Cioffi

Gioventù, pane e idee… Alessio Aimar

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Carmagnola. Borgo agricolo sabbioso. Con delle definizioni e con dei coltivatori commercianti. Qui la gente vende, ha un centro storico raffinato ma piccolo, i classici portici bassi di città di frontiera tra province contigue nel diniego, e una pianura verdeggiante che ridà indietro tipicità uniche. Conigli, porri, peperoni, canapa, sanculotti e Renato Dominici. La storia della trasformazione e della cultura di un Piemonte realistico, fatto di fabbriche, di allevamenti e di serre, dove la primavera è sempre stata premiata con le tasche fruscianti e i pantaloni in fustagno. E così anche le sue frazioni contribuiscono a quell’orizzonte che non si riesce mai a chiudere nella geometria del suo centro, in quell’approdo sicuro dove farsi catturare da una giornata di sole o dalla tradizione che non è mai diventata futuro. Il resto è un puntellare di frazioni che non hanno alcun senso oltre a quello abitativo, di quartiere e di vendita di indulgenze. E così scopri che la magnificazione del web non sempre è corroborata da un’esistenza al di là dello schermo. Borgo San Bernardo è quel luogo sperduto dove si rinforzano i pregiudizi, diventano realtà, superano botteghe anacronistiche, volti rugosi e s’impastano sulla speranza che questa Italia non sia andata tutta a peripatetiche. Continue reading Gioventù, pane e idee… Alessio Aimar

Forno Brisa: fermentazione intransigente…Pasquale Polito, Esmeralda Spitaleri, Davide Sarti (Gregorio Di Agostini ed Enrico Cirilli)

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Bologna è sempre rimasta aperta alle istanze dei giovani, a quelle richieste di collettività che senza sosta si son trasformate in quattro manifestazioni, tre canne, due risse, il tempo che passa e un lavoro notabile in uno studio del centro da dove guardare con altezzosità e protervia quella gioventù che continuava a formarsi senza regole. Professori, figli di professori, nipoti di professori, noie su noie senza un reale centro d’interesse. Il tempo che passa, il design, i tappeti iraniani, le travi in legno, la casa in centro, la dipendenza, la socialità come unica forma di esistenza e il conto in banca sempre carico di fascino, capelli al vento e biciclette in “isti”. Le crisi però hanno grattato un po’ di patina e così la produzione non è più rimasta nelle mani del figlio della portinaia ma si è elevata a sistema, a dato di fatto, a sussulto sociale, uscendo dalla clandestinità delle botteghe fuligginose, è stata concessa vieppiù la parola, la mostrazione e la definizione. Senza perdere quel senso di socialità e di fragilità così impregnate. E da qui, da Slow Food e da parti dell’Italia ben distinte, sono arrivati i tre, quattro, forse cinque giovani che compongono le tessere di questa storia. Continue reading Forno Brisa: fermentazione intransigente…Pasquale Polito, Esmeralda Spitaleri, Davide Sarti (Gregorio Di Agostini ed Enrico Cirilli)

Sfoglia Rina: un tortellino rapsodico… Lorenzo Scandellari

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Bologna è portatrice sana di località. Ci sono delle tradizioni che non possono essere mistificate, bisogna rimettere una logica ghiotta al posto di un punto di vista che scivola sempre verso il moderno. Quest’antichità salvifica non è mai diventata anacronismo, si è sempre seduta alle tavole delle rezdore per procrastinare il giorno del cambiamento. E così per secoli si sono perpetrate ritualità condivise, momenti dissepolti di convivialità reiterata. Bologna ha sempre mostrato se stessa, fuori dai portici e dentro quell’accento che è già pinguedine, che richiama all’opulenza, alla voglia di non farsi mai mancare un accento di tradizione, che è contadina, borghese e passeggiata. La tavola ha unito, unisce e continuerà farlo, a mettere l’estrazione sociale ai piedi dell’osteria e della bottega, con cattiva pace di chi ha provato a portarsi via la rettitudine. Qui non si può scherzare con il magmatico e con il concettuale, bisogna rispettare una cittadinanza che non è sempre stata profeta in patria. E l’attimo del tortellino e del suo brodo è quello che tutti continuano ad aspettare, ad esaudire e a continuare ad aspettare… Continue reading Sfoglia Rina: un tortellino rapsodico… Lorenzo Scandellari

PizzArtist: la contemporaneità del saper fare…Marco Guerci e Erica Facchini

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Bologna ai primi caldi è un rilucere di ozi, pedissequi portatori di borracce e cercatori di fortuna. La zona prospiciente l’università, sotto quei portici fatti per la pioggia e per un’intimità da portone appena accennato, non lascia scampo al pudore, alla voglia di solitudine e di prosperare nascondendosi. È tutto molto manifesto in questa Bologna da centro storico e abbandono da prefabbricato di periferia. La cesura è talmente netta da non rilasciare indietro neanche un pizzico di pietà. O sei dentro o sei fuori. E così è difficile trovare una città con una piazza così ricca di artigiani e cantastorie, di produttori che costruiscono botteghe e laboratori senza scappare, pensando alla passeggiata come unica forma di rispetto e di acquisto. Lavorare con il mondo di dentro e non con quello che arriva da fuori. Code epocali, senza soluzione di continuità, con quella ritualità poco borghese di mettersi in fila per qualcosa che sia l’eccezione e non la normalità dell’offerta e della concorrenza. Questa Bologna attiene più alla vendita che alla compera, si respira un’aria alacre e industriosa che mostra come tutto sia possibile, come la volontà possa essere un’impresa e il desiderio la possibilità di molti. Continue reading PizzArtist: la contemporaneità del saper fare…Marco Guerci e Erica Facchini

Riserva San Massimo: l’impossibile riso della Pianura Padana… Dino Massignani e Guido Antonello

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Gropello Cairoli è un paese aperto, sorridente, con un orizzonte, una via trafficata e delle facciate pastello. Una rarità in queste terre orientali di Lomellina che cavalcano il Ticino con i suoi abbandoni e la forma cascina come lascito compulsivo di un lavoro sulla terra che è stato dapprima un logorio di funzioni e conoscenze. Gropello si distende non particolarmente latente, ha delle facce invaghite dalla mattina e non concede sorrisi troppo scostanti alle domande sulla direzione. Perché qui perdersi è un attimo e ogni cascina è un luogo illustrativo, privato dell’opportunità di uno sguardo dall’alto e impossibile da non rendere se non attraverso il ridicolo. Perché ogni bellezza è trasformabile in una perversione e goderne rimette tutto in quel senso di angoscia che apre risaie e chiude sui boschi, in quel sentiero interrotto flavescente che non porta da nessuna porta se non verso una quieta inquietudine, verso l’uscita, verso la tranquillità della riserva di caccia e la familiarità del trattore e della strada in lontananza. Riserva San Massimo è senza alcun dubbio il luogo più stra(ordinario) della Pianura Padana. Continue reading Riserva San Massimo: l’impossibile riso della Pianura Padana… Dino Massignani e Guido Antonello

Il Forno di San Nicola: alla ricerca della focaccia genovese…Marco e Luca Oberti

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Genova. Castelletto. Quell’altura immaginifica che apre la città alla vista come fosse un luogo di riviera, chiudendola dagli olezzi lancinanti che l’han sempre definita molto più di qualunque prospettiva, di qualunque politica e di qualunque economia. Le persiane verdi acquisiscono altri colori come per darsi un tono, una ritualità, una copertura del rivo, quel modo un po’ altezzoso di mettersi sopra un fortilizio aspettando di essere rimirati, magari in una giornata di sole, con un retro-sguardo che possa definire la bellezza solo attraverso il bello, lasciando da parte quel fascino sempre ricercato quando si parla di Genova, di antico e di porto. Questa è una città di quartieri, assidua nelle sue divisioni dirompenti che tracciano delle linee asimmetriche e marcate tra zone complementari e confinanti ma assolutamente lontane, nello stile, nello sguardo e nell’architettura. E l’accento non sempre riesce a sussumere tutto sotto lo stesso tetto. Qui ci sono belvederi inaspettati e il fruitore può tornare ad essere spettatore non guardato, un voyeur di una città fatta di giudizi e pregiudizi. Dalle mulattiere alla circonvallazione. E che meraviglia se ciò che resta della tradizione è spiegato lentamente dal cibo e da una clientela sempre uguale a se stessa. Anche in un quartiere ma soprattutto perché in un quartiere. Continue reading Il Forno di San Nicola: alla ricerca della focaccia genovese…Marco e Luca Oberti