Grano duro in Oltrepò… Marisa Sforzini Orlandini

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Corana. Poco meno di mille abitanti in quella pianura pavese che geograficamente fa parte dell’Oltrepò. Nonostante i sentori di Lomellina, qui il riso non è una priorità. Il terreno permette di coltivare tutto, ma il legame con la collina tiene le zanzare un po’ più distanti. Ci sono case sparse, un fiume abbastanza distante per non farne un’ideologia e terreni coltivati a grano e granoturco. La nebbia non mi tange, c’è solo un po’ di pioggia. Qui, le anime fredde e le anime calde non hanno compromessi e nemmeno alture dove nascondersi. Qui gela e qui secca. Il sole non ha ombre e così il miracolo del grano duro può avere un senso. L’azienda agricola Orlandini ha una quindicina di ettari coltivati principalmente a Senatore Cappelli, quel cereale dal nome così suadente da farlo diventare un piatto gourmet. Non è un grano antico ma è un grano con un’araldica: rustico, adattabile, alto oltre un metro e mezzo. Un frumento duro di questa qualità, coltivato così a nord, è più che una rarità.

Marisa è un’ex professoressa di matematica in pensione, ha un marito, che fa e che ha fatto altro, e ha due figli che collaborano in azienda. L’intorno è composto da colture cerealicole intensive: i fertilizzanti, gli antiparassitari e i silos sono l’ordine del giorno. Ma lì in mezzo Marisa ha comunque deciso di fare del biologico, di seguire Berrino e i suoi talebani e d’inseguire il benessere a tutti i costi. Così ha piantato il farro e delle sementi di grano tenero Solina, ha trovato Renzo Sobrino (grande mugnaio di solito poco avvezzo al conto-terzismo…), gli ha ceduto il Senatore Cappelli da molire e ha messo in piedi un impianto per pastificare i suoi cereali in maniera integrale.

L’impasto, trafilato a bronzo, assume le diverse forme della pasta, lasciando intatta la granulosità, la porosità e il colore. Il passaggio nell’essiccatoio è un passaggio lento, fatto di basse temperature e tempi dilatati. Il prodotto finale tiene bene, rompe un po’ la monotonia della fibrosità ed è particolarmente friabile in bocca. Il sapore è estremamente marcato, poco si adatta con i sughi ingombranti. I limiti della ricerca sulla pasta sono il suo solipsismo. È un prodotto di qualità senza quel trasporto verso il buono che è l’unico diritto alla creazione gastronomica.

“Ai clienti cerco di mostrare come la mia pasta faccia bene e sia salutare”. “Ma è buona?”. “Fa bene alla salute”.

Qui non dovrebbe esserci una dietologa, dovrebbe esserci una produttrice. Il tempo libero, però, è una forma mentis da migliorie e non da rivoluzioni. Così Marisa ha deciso di arricchire la sua vita e quella del circondario senza l’enfasi di una necessità. Il prodotto rimane algido, salutare e, in fondo, anche buono.

È una visione della vita in ismi, un po’ benefica e un po’ naive. Se si tornasse ad un concetto di buono strettamente legato all’etica e alla moralità, non si sentirebbe il bisogno di una necessità salutistica. Saremmo in grado di percepire, attraverso naso e palato, la pulizia del godimento. L’educazione ai sensi non passa attraverso le privazioni e le paure ma attraverso il desiderio. Marisa è dispensata dalle mie critiche ma un succedaneo dell’ironia non mi permette di non tirarla dentro. Continuo, imperterrito, a preferire, alla vita da malato per una morte sana, la giustapposizione dei miei principi. Prima verso il bello, poi verso il buono e infine verso il salubre. L’istinto, fino ad ora, mi ha sempre salvato, un infarto mi porterà via a metà della prossima frase, manco fossi l’emblema di un’assenza di Durenmatt, e la pasta Orlandini continuerà, anche lei e anche in mia assenza, ad essere buona prima che salutare…

AZIENDA AGRICOLA ORLANDINI

VIA TORINO 17

CORANA (PV)

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