Cossato. Altopiano baraggivo. I torrenti scavano, facendo emergere la collina e quel po’ di vigneti in mezzo a cascine da ultima prateria padana, senza affezioni e senza estetiche conniventi. I confini del mondo sono un’aggressione alla semplicità, qui sopra, ci sono le curve, quel po’ di fascino mascherato e un orizzonte più vicino. I campi coltivati si alternano ai boschi e la terra diventa l’immagine di una sintesi che è transizione tra i rilievi alpini e lo sconfinato antropizzato. Le fabbriche si nascondono, mentre l’abbandono del poco fertile e dell’alta acidità non ha riadattato il tempo alla funzione. Questo è un margine, una brughiera atipica brada e senza troppi controlli. Una terra santa, come diceva l’antico maestro/contadino di Umberto Scopel… meglio poca che tanta. La savana europea è sempre la maniera migliore per definire questi luoghi. E in assenza di antilopi, a guidare il racconto sarà il maiale…
Umberto ha una parte della famiglia che viene dal Veneto, già agricola e già con cascine. Il padre si è trasferito nel biellese per lavorare, fin che il richiamo della terra, non l’ha portato verso la cascina. Autosufficienza e buoni rapporti di vicinato. Così l’infanzia si trasforma in adolescenza e la voglia di studiare diventa presto desiderio di conoscere. I contadini lo instradano e i terreni di famiglia iniziano ad ampliarsi. Su sodo e verso la pianura, dove c’è meno santità. Niente riso ma grano, orzo, foraggi e mais. E così creare una sorta di autarchia suinicola, dove fieni e mangimi potessero essere costruiti in casa, nel tempo della crescita, nello svezzamento e nell’ingrasso.
Maiali pesanti, qualche Cinta senese e vari incroci nel tempo. Stabulazioni rilassate, stalle quasi profumate, poco pascolo e macellazione oltre i 200 kili. Umberto usa solo i suoi animali e li trasforma, mantenendo la sapienza di una zona che della vocazione non ha mai fatto una religione. Sì i salumi ci sono, ma senza pathos. Qui non ci sono gli sbalzi e i ricircoli della Val Curone o dell’Oltrepò, ci sono climatiche meno adeguate e stagionature più sofferenti. E così bisogna rispettare la tradizione, trovare la propria cantina e raffinare il raffinabile, attraverso conce e tempi dilatati. Per i miracoli mancano le adeguate attrezzature.
Si parte dai salumi della consuetudine, paletta (spalla cotta) e mula (un salame impastato insieme alla lingua), si continua con quelli dell’infanzia, paste di salame sotto mais, e si finisce con i salami, qualche prosciutto, impasti con sangue o patate, lardi, stagionati adesso nei doils di legno e in precedenza in una conca di marmo presa direttamente da un ristoratore della Lunigiana, cotechini, salami cotti e qualche diramazione deferente. Paletta e sanguinaccio, su tutti, sono l’espressione migliore di quello che è e di quello che potrebbe essere. Un po’ di profondità e un po’ di umidità. Le condizioni sono un punto intermedio senza racconto…
LA BRUERA
VIA CASTELLENGO 69
COSSATO (BI)