Mandorlato leggendario e meraviglie quotidiane… Pietro Scaldaferro

Dolo. Riviera del Brenta. In quei quaranta kilometri tra Padova e Venezia che hanno definito il tempo libero nel tempo in cui mare e montagna erano semplicemente mare e montagna. Una Costa Azzurra ante litteram per nobili da palle a bagno nel fiume, avveniristiche ville palladiane, argini fioriti e ponti refrattari alla navigazione. Questo è uno dei luoghi pianeggianti in cui il senso contemporaneo si denuda di ogni responsabilità, per cui la logica perde il filo per intrecciarsi con il dolore della perdita. Di un’architettura che era già lascito, nostalgia e linguaggio globale. Ora restano bellezza, disinteresse e una locanda trasformata in uno dei più bei luoghi artigianali del mondo.

Pietro Scaldaferro ha ridato vita al vecchio biscottificio (con diramazione mandorlato) di famiglia, convertendolo in uno di quei posti per cui gli italiani dovrebbero scendere in piazza senza neppure chiedersi il perché. Una vecchia stazione di sosta, un rifugio in mezzo alle anse, una ristrutturazione coerente e in corso, dietro la fabbrica rimessa in auge grazie ad un’idea: fare il torrone più buono del mondo. Lui è un avvocato, un bravo avvocato, uno di quelli che non aveva bisogno del riflettore per esistere. Poteva continuare la sua professione, accantonare e godersi il lusso dell’altro lato. Invece il lusso ha voluto produrlo. Ha recuperato una decina di torroniere in rame (con quasi cent’anni di vita) per favorire la montatura dell’uovo, ha cominciato a lavorare stagionalmente solo d’inverno, ha cercato gli albumi, le frutte secche e i mieli. E così l’idea. Al di là del mandorlato classico – mandorle e friabilità maggiore rispetto al torrone, direttamente dal Dogado Veneziano – una serie di abbinamenti tra gli ingredienti, che potessero portare quel prodotto al di fuori del Natale e dei pacchi regalo. Posatura a mano a forma di fiocco, lavorazione solo nei giorni di luna crescente, niente azioni meccaniche e l’aria rimane intrappolata, rendendo tutto simile a una nuvola. Le noci Lara della famiglia Valier, il pistacchio di Bronte, il miele di Barena e di nera sicula di Amodeo, le spezie e gli abbinamenti rari. È inutile suddividerli per categorie, ognuno, non avendo un paragone reale nel mercato, è come se fosse sempre una sbalorditiva prima volta.

Eva Quinziato è l’anima pratica del luogo. Torrone d’inverno e, negli anni, su suggerimento di Pietro, gelato d’estate. Qualche corso con sedicenti gelatieri naturali e l’apertura del locale all’interno della locanda. Pochi gusti, quasi tutti declinati con mieli o torroni, tessiture da rimettere un attimo in ordine, ogni tanto un po’ di “freddo”, ma sapori puliti e pezzi di mandorlato talmente suadenti da farmi andare bene tutto. Il caffè di Gianni Frasi, spazi infiniti di accoglienza, il tornado del 2015 messo alle spalle e, per il futuro, qualche stanza di sosta al primo piano. D’altronde, da bravo non profeta in patria, gli indigeni è come se non si accorgessero più del quotidiano accadere. E così la bellezza rimane sempre una questione di specchio e di punto di vista privilegiato. E se Longanesi poteva esprimere il suo anticonformismo così – “una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo” – è perchè non ha mai scoperto questi luoghi e queste persone…

TORRONIFICIO SCALDAFERRO

VIA CA’ TRON 31

DOLO (VE)

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