San Floro. A pochi kilometri da Catanzaro. Superati abbandoni, capannoni e Polifunzionali dove riposare nel silenzio, questi luoghi vanno avanti e indietro, salgono, non definiscono, aprono opportunità e coltivazioni, sono lontani dall’interesse di chiunque, un mare unico messo in imbarazzo da architetture stile Rimini fuori tempo massimo, con quel senso che toglie l’angoscia, perchè tanto tutto alla fine troverà il suo spazio fuori tempo massimo. Questa Calabria è terra di famiglie, di nonne, di contadini, di salumi fatti in casa, di casalingo sinonimo di fatto meglio, di disinteresse attivo e passivo. Perché senza richieste, sono terminate le fantasie. Ed era così. Fino a quando un giovane del territorio, che dal territorio non se n’è mai voluto andare, ha cominciato ad insinuare il dubbio nelle menti incomprese e in quelle inadeguate al ruolo.
Stefano Caccavari è cresciuto, ha studiato ed è rimasto in Calabria. Si è laureato in economia, ha sempre goduto dell’economia agricola dei propri nonni e dei propri genitori, fino a quando ha messo a disposizione un terreno di proprietà per il progetto “Orto di famiglia”. Coinvolge i locali e inizia a coltivare per la comunità che, a sua volta, incomincia a coltivare per l’individuo. Tutto ruotava, ruota e ruoterà sul concetto di aggregazione, sociale e mediatica. Nessun fondo pubblico, ma solo volontà di investire su idee e terra. Centocinquanta orti in due anni.
Poi la svolta nel 2016. Il progetto si chiama Mulinum e Stefano lo mette in moto attarverso un crowfunding via Facebook. Recupera il vecchio Mulino di San Floro e si mette in cerca pietre molitorie in tutta la regione, perché la sua idea è quella di salvare quell’unica possibilità da chi quella possibilità la vuole trasformare nell’ennesima opportunità soggettivisitica. Qui è nata una comunità, più di cento soci e un capitale di oltre cinquecentomila euro. In quattro mesi rivoluziona un rudere e comincia a realizzare velocemente le sue idee. Spalleggiato da una comunicazione che è sempre un viaggio, mette in moto un’intenzione, un mulino per ogni regione (finanche per ogni provincia se fosse possibile…) che macini varietà di cereali locali, senza nessun cedimento all’interesse. Sulla sua strada incontra prima Caterina Ceraudo poi Davide Longoni che s’innamorano del progetto. E così l’idea di Calabria comincia a diventare una realtà, dei pani, delle pizze, della pasta, una cucina stellata. Stefano lentamente mette mano alla rivoluzione, attraverso un’intransigenza (che conosco e alla lunga spezza ndr) e una caparbietà a volte senza orecchie. Prima la farina, poi il lievito madre, il panificio, la pizzeria, l’accoglienza e a breve magari anche una scuola e l’opportunità di mettere San Floro sulle cartine di luoghi perlopiù percepiti.
Qui realmente si è buttato via tutto il superfluo, Stefano non accetta compromessi, è di un rigore che non guarda molte facce e alla lunga potrebbe essere…
…ma alla fine chi se ne frega della lunga, in questo momento, in Italia, è tra i pochissimi che ragiona, mettendo al centro il valore dell’identità comune. Ha scritto al sindaco di La Fertè, di origini italiane, per chiedere la riapertura della cava produttrice di macine, chiusa dal 1951, vuole fare la pizza napoletana passando dal Verna al Maiorca, macinare segale Iermana e Senatore Cappelli, produrre pani a formati grandi, biscotti friabili e gestibili con la poca forza, creare sistema e a volte perdersi in un’immaginazione concreta che è già troppo domani… meno male che ci sono persone come lui… cazzo…
MULINUM SAN FLORO
LOCALITA’ TORRE DEL DUCA
SAN FLORO (CZ)