“Divertirsi significa essere d’accordo. Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare il dolore (la fatica ndr) anche là dove viene esposto e messo in mostra”
Anonimato, anonimato, anonimato. Chi ha voglia di anonimato? In pochi ormai. Il riconoscimento del sapere nascosto, dell’azione sottesa, dei François-Joseph Le Clerc du Tremblay di questo mondo e di un mondo che non c’è più, non sono più imparzialmente interessanti, mancano ormai di quel meccanismo per cui la vanità è una qualcosa per illuminati, per notti senza sonno e per dialoghi intimi prima del bicchiere. E così bisogna andare a riempire la saccoccia, dando credibilità attraverso il proprio nome a delle mezze vie che rischierebbero di finire in periferia. E invece c’è lui, il (fu mai) critico, la persona che può tirarti fuori dalle secche della popolarità dandoti un bordo gastronomico. Si fanno eventi, si crea aspettativa, si chiama a rapporto i blogger, si fa scrivere, si invitano gli chef, si prende l’assegno e si continua a cortocircuitare un mondo dove non bastano più gli editori (ormai diventati larve pedisseque di mangiatori instabili) ma servono altre entrate. I piccoli artigiani arrivano a mala pena a fine mese, sono vittime inconsapevoli di giornalistucoli redazionali dalla questua sempre pronta, e così si va in quel mondo che non è ancora industria e che mai è stato artigianato, dove i fatturati frullano bene oltre i cinque milioni annui (che non vuol dire molto ma non importa…). È la vittoria del pubblicitario (che se ammettesse la propria funzione nessuno avrebbe da dargli indietro se non una mano sudata di complimenti) e la morte del critico. Che qui diventa Mercenario. Continue reading Il critico gastronomico è mai esistito?