Bologna è sempre rimasta aperta alle istanze dei giovani, a quelle richieste di collettività che senza sosta si son trasformate in quattro manifestazioni, tre canne, due risse, il tempo che passa e un lavoro notabile in uno studio del centro da dove guardare con altezzosità e protervia quella gioventù che continuava a formarsi senza regole. Professori, figli di professori, nipoti di professori, noie su noie senza un reale centro d’interesse. Il tempo che passa, il design, i tappeti iraniani, le travi in legno, la casa in centro, la dipendenza, la socialità come unica forma di esistenza e il conto in banca sempre carico di fascino, capelli al vento e biciclette in “isti”. Le crisi però hanno grattato un po’ di patina e così la produzione non è più rimasta nelle mani del figlio della portinaia ma si è elevata a sistema, a dato di fatto, a sussulto sociale, uscendo dalla clandestinità delle botteghe fuligginose, è stata concessa vieppiù la parola, la mostrazione e la definizione. Senza perdere quel senso di socialità e di fragilità così impregnate. E da qui, da Slow Food e da parti dell’Italia ben distinte, sono arrivati i tre, quattro, forse cinque giovani che compongono le tessere di questa storia. Continue reading Forno Brisa: fermentazione intransigente…Pasquale Polito, Esmeralda Spitaleri, Davide Sarti (Gregorio Di Agostini ed Enrico Cirilli)
Sfoglia Rina: un tortellino rapsodico… Lorenzo Scandellari
Bologna è portatrice sana di località. Ci sono delle tradizioni che non possono essere mistificate, bisogna rimettere una logica ghiotta al posto di un punto di vista che scivola sempre verso il moderno. Quest’antichità salvifica non è mai diventata anacronismo, si è sempre seduta alle tavole delle rezdore per procrastinare il giorno del cambiamento. E così per secoli si sono perpetrate ritualità condivise, momenti dissepolti di convivialità reiterata. Bologna ha sempre mostrato se stessa, fuori dai portici e dentro quell’accento che è già pinguedine, che richiama all’opulenza, alla voglia di non farsi mai mancare un accento di tradizione, che è contadina, borghese e passeggiata. La tavola ha unito, unisce e continuerà farlo, a mettere l’estrazione sociale ai piedi dell’osteria e della bottega, con cattiva pace di chi ha provato a portarsi via la rettitudine. Qui non si può scherzare con il magmatico e con il concettuale, bisogna rispettare una cittadinanza che non è sempre stata profeta in patria. E l’attimo del tortellino e del suo brodo è quello che tutti continuano ad aspettare, ad esaudire e a continuare ad aspettare… Continue reading Sfoglia Rina: un tortellino rapsodico… Lorenzo Scandellari
Galliera 49: collettivo, idee, gelato … Maurizio Bernardini, Jacopo Balerna, Fabio Nanetti e Valerio Alfani
Bologna è una città che ridà indietro. Umanità, calore, professionalità, diaspore e relazioni. Che permette conversazioni ed associazioni. Il collettivo è una forma di pensiero condiviso e di ritualità apotropaica. E mettere da parte il male, attiene al pudore più che all’orgoglio. Perché qui si riesce a creare antologia non prescindendo dal centro. Gli artigiani rimangono dentro e provano a creare fucine, cercando la concorrenza più che rifuggendola. Il dispaccio nascosto e surreale è quello di lavorare meglio, di provare a rendersi estetici senza dimenticare l’etica, a riempire il non riempibile della cucina contemporanea, sempre più “minimalisticamente” imperversata a giustificare la propria assenza. E così Bologna si riempie, diventa barocca, quasi pantagruelica, di forme e contenuti, accettando la sfida di essere sempre la Grassa. Perché questa è la nevralgia dell’Italia e così deve essere mostrata al mondo. Ghiotta e saporita, con quel saper fare che non è mai prepotenza ma sempre capacità di rimettersi in gioco. La retroinnovazione delle forme in questa città parte ancora dagli ingredienti, dalle materie prime. Dalle radici al demiurgico, non si può prescindere dagli stati di creazione, da quel mondo ipnagogico che è illusione e realtà. Continue reading Galliera 49: collettivo, idee, gelato … Maurizio Bernardini, Jacopo Balerna, Fabio Nanetti e Valerio Alfani
PizzArtist: la contemporaneità del saper fare…Marco Guerci e Erica Facchini
Bologna ai primi caldi è un rilucere di ozi, pedissequi portatori di borracce e cercatori di fortuna. La zona prospiciente l’università, sotto quei portici fatti per la pioggia e per un’intimità da portone appena accennato, non lascia scampo al pudore, alla voglia di solitudine e di prosperare nascondendosi. È tutto molto manifesto in questa Bologna da centro storico e abbandono da prefabbricato di periferia. La cesura è talmente netta da non rilasciare indietro neanche un pizzico di pietà. O sei dentro o sei fuori. E così è difficile trovare una città con una piazza così ricca di artigiani e cantastorie, di produttori che costruiscono botteghe e laboratori senza scappare, pensando alla passeggiata come unica forma di rispetto e di acquisto. Lavorare con il mondo di dentro e non con quello che arriva da fuori. Code epocali, senza soluzione di continuità, con quella ritualità poco borghese di mettersi in fila per qualcosa che sia l’eccezione e non la normalità dell’offerta e della concorrenza. Questa Bologna attiene più alla vendita che alla compera, si respira un’aria alacre e industriosa che mostra come tutto sia possibile, come la volontà possa essere un’impresa e il desiderio la possibilità di molti. Continue reading PizzArtist: la contemporaneità del saper fare…Marco Guerci e Erica Facchini
Le Saiotte: il tempo che non passa…Melissa Sacellini
Berzo Inferiore. Un luogo devoto in fondo ad una valle lacerata. Manufatti di pietra, miracoli e superstizioni alla base di una Val Grigna che difficilmente si può pretendere più contadina. Dove diradano i boschi, le stalle nelle proprie brutture prendono possesso di un piè di monte che lascerebbe intatto il tempo, se ci fosse qualche ponte e più silenzio. Il Trentino è distante e così la tracotanza della costruzione deve arrivare in mezzo ai castagni rendendo tutto meno sintomatico e più presente. E si guarda in su per trovare nella torre delle Saiotte quel minimo di decenza che fa ancora aprire i polmoni per dedicarli al respiro, al sospiro e all’abbandono. In questi luoghi si è sempre prodotto e lavorato, l’estetico si è sempre ritrovato chiuso e frastornato tra le mura delle case. E così storie di aziende agricole virtuose si son sempre manifestate come resistenza. Agli urti, agli anni, alle cadute e ai fallimenti. Melissa Sacellini è una di quelle ragazze che ha continuato una tradizione per trovare una strada che le permettesse di non trascurare: se stessa e il territorio. Continue reading Le Saiotte: il tempo che non passa…Melissa Sacellini
Sapì: osti, cuochi e artigiani…Mauro Vielmi e Daniela Foppoli
Esine. Inizio della Valgrigna. La collina della SS. Trinità sovrasta rocce rimaste nude, un fiume quasi in secca e un crogiolo di professioni chiuse dentro case dove agli sguardi presenti non rimane altro che rifugiarsi nella tranquillità del disinteresse. Questi sono paesi di resistenza, a metà strada tra il produttivo e il pudore, in quella diramazione camuna che vede nel soprannome (scutum) la realizzazione definitoria. Così per sempre, in quel procedere del tempo che è molto al di qua del giudizio e del pregiudizio, in quella direzione familiare che non può essere rinnegata. A meno di non volersene andare o di non arrivare, per caso, in maniera sperduta o in maniera provvida, per metter mano a delle circostanze, trasformandole in certezze. Sapì è il soprannome della famiglia Foppoli e questa è una storia rara e territoriale. Continue reading Sapì: osti, cuochi e artigiani…Mauro Vielmi e Daniela Foppoli
La conoscenza del territorio è diventata riconoscimento del sé…
«Se ognuno di noi confessasse il suo desiderio più segreto, quello che ispira tutti i suoi progetti e tutte le sue azioni, direbbe: “Voglio essere elogiato”» Emil Cioran
Sono finito nel mezzo del riconoscimento di una riconoscenza. Una riflessione senza coscienza che ha scambiato la gratitudine per qualcosa di ultra terreno, quasi di spirituale. Sono finito nel mezzo di un congresso di chef celebrità dove l’autoreferenzialità è rimasta l’unica cifra interpretativa. E così mi sono fermato e ho provato a capire, a guardare le facce, a camminare su di me e a sostenere lo sguardo dei salivanti. E lì ho inteso un passaggio, un cortocircuito etimologico, nato nel tempo, che caratterizza varie contemporaneità. Continue reading La conoscenza del territorio è diventata riconoscimento del sé…
Il Gorgonzola e le sue dubbiose anse… Gianluca Arioli
Ozzero è una casualità a pochi kilometri da Abbiategrasso, un paese racchiuso in una strada di case basse e sguardi sepolti, con le cascine ad aprire le varie direzioni e le abbazie a chiudere perversioni e pentimenti. La verdeggiante valle del Ticino. Eccoci qui. In questo emblema di terra industrializzata, dove si vedono gli alberi e si trattengono i fumi, dove i paesi vengono dimenticati sui cartelli stradali, disinteresse agnostico di chi non si è mai posto troppe domande. Eccoci qui. Finalmente posso dare alla mia voglia di Gorgonzola la stessa voglia di rettitudine. Ad Ozzero per provare a sondare l’irrealtà delle denominazioni d’origine protette italiane.
Il caseificio Arioli è uno dei più piccoli all’interno della Dop, probabilmente quello che fa il Gorgonzola più interessante, sicuramente il più buono oltre i 5 mesi di stagionatura, rarissimo non incontrare concentrazioni saline e forti sensazioni trigeminali. Il latte viene preso da poche stalle dei dintorni, tra chi lavora bene e chi lavora meno bene, il siero viene smaltito ai maiali dell’azienda agricola di famiglia che lavora qualche ettaro di terreno e produce i pochi salumi di tradizione padana (dal salame al cotechino). Continue reading Il Gorgonzola e le sue dubbiose anse… Gianluca Arioli