Roncoferraro ha la storicità delle sue frazioni, strade che oltrepassano le distese di riso, case basse, una nebbia circospetta e una certa diffidenza fluviale che porta il Mincio nel Po e il cittadino verso il confine e verso la negazione. Questi sono luoghi invernali e selvatici, dove l’industrializzazione appare come luogo della settimana e le cascine sono ancora il sistema estetico portante di una comunità, finalizzazione di un mondo di mondine e zanzare. Acqua dolce e dialetto, il confine veneto dietro l’angolo e una fusione di costumi che solo la bassa padana può restituire, Roncoferraro ha il fare stoico della tela da incidere e piegare, la fucina del fabbro e il campo rivoltato dell’allevatore. Al di là delle solite frisone da latte per formaggi condensati e circostanziati, due giovani da esperienze antitetiche si sono ritrovati in mezzo ad una di queste ruralità per dare abbrivio al proprio progetto. Continue reading Porc a l’ora: sublime salame mantovano…Francesco Bissoli e Matteo Rebesan
Pasticceria Antoniazzi: quel luogo che in Italia non c’è…Marco Antoniazzi e famiglia
Tra Bagnolo San Vito e Mantova, in quel disilluso che si è portato via il tempo, i colori e il passato. In mezzo a quelle statali che portano fuori, ai campi di riso e alle porcilaie, in quella bassa padana che è ancora profonda affermazione di sé. E quando dico Bagnolo San Vito, dico Bagnolo San Vito. Qui concretizzare un’autorevolezza, in un mondo né agricolo né industriale, è qualcosa di straordinaria notabilità. Fuoriuscire dal gorgheggio signorile delle volte mantovane, dei suoi palazzi, di quel centro storico, rarità in Lombardia, che trattiene più che scacciare, nel mentre disadorno a cavallo tra il Mincio e il Po, è l’affermazione di una laboriosità contadina applicata, è un pregio che attiene alla presenza territoriale di una famiglia all’interno del proprio paese, ad un legame decennale che si è cementato grazie e a causa di una clientela, della stessa clientela una volta spiccia e ora attenta spasmodicamente ad ingredienti ed estetica. Avere a che fare con i centri commerciali e i centri di scarico giovanile e non vederli nemmeno, provare a rendere Bagnolo San Vito come Mantova, Mantova come Bologna e l’Italia come il Nord Europa, quella Francia e quella Germania che non sottintendono il concetto di artigiano, lo verificano e soprattutto l’esaltano anche nel numero, negli scontrini battuti e nella capacità di rendersi globali e scrostati. Continue reading Pasticceria Antoniazzi: quel luogo che in Italia non c’è…Marco Antoniazzi e famiglia
Tilde: panificazione domestica in trasformazione…Simone Conti
Treviglio, Pianura Padana e cattolicesimo. Da qui non si può scappare. La si scorge dallo skyline mentre ci sia avvicina alla città, quella nebbiosa devozione che non c’entra nulla con quello che appare. Luoghi tra fiumi, rogge e fontanili, gli angoli perduti di Treviglio non sono più nemmeno in filigrana, sono una lenta processione nera sull’influsso al cambiamento. Conservato e conservatore, con le sue basiliche, i suoi santuari e le sue chiese, l’incedere è apodittico, non mostra lati oscuri, non lascia le certezze per una rivoluzione mancata. Qui, al trivio della Gera d’Adda, gli operai han sempre coltivato gli orti e la devozione, le costruzioni tutt’intorno erano un monito a non distrarsi, ad avvoltolare le loro piaghe sociali, dedicandosi a qualcosa d’indefinito. E così si definisce, si genera, si cresce e si prolifica. Treviglio è sempre apparsa come la reazione di una civiltà. Continue reading Tilde: panificazione domestica in trasformazione…Simone Conti
Micro-Torrefazioni, il caffè che non cede il passo… Maurizio Valli
Bergamo non più divisa, Bergamo città di artigiani e principi dimessi. E così, una mattina qualunque di un giorno qualunque, mi ritrovo per le mani l’impossibilità al diniego. Devo andare in città e scoprire se qualche artigianalità intatta è sopravvissuta alla dipendenza. Come poche città italiane, Bergamo è ancora in grado di ospitalità, ha una borghesia affettata, delle facciate proditorie, un crepuscolo coinvolgente e accecante, e rimane se stessa al di qua di mode che insistono e necessariamente se ne devono andare. È un centro pieno d’interesse, dove gli artigiani riescono ancora ad aprire le loro copie conformi e dove esiste una realtà conclamata di qualità al di là di tutto. Delle lamentele, della città morta, della borghesia imperante e del tedio esistenziale. Non bisogna necessariamente scappare e pregare, si può rimanere, portando avanti l’impossibilità all’oblio. Continue reading Micro-Torrefazioni, il caffè che non cede il passo… Maurizio Valli
Tecnica e forma in una provincia apparente… Ivan Morosini
Torre Boldone è il primo rustico appena fuori Bergamo. Una di quelle località rarefatte e denuclearizzate, dove rimanere è più una facilità che una velleità. Sulla via Mercatorum, dove il boschivo è diventato agricolo, si è trasformato in fornaci svizzere, cristallizzandosi nell’urbanizzazione contemporanea senza più spazio per un orizzonte, Torre Boldone è diventata una concrezione di più rimasugli, un lascito geografico che lamenta se stesso. E così, con Bergamo dietro l’angolo, e le valli appena abbozzate, le fucine artigiane han preso l’archeologia industriale riattualizzandola sulla strada. E in uno di questi incroci di case basse, interpretazione del benessere, Ivan Morosini, da qualche anno, sta provando la sua strada verso una panificazione dal compromesso sempre più allentato.
La famiglia di panettieri non è stata comunque una costrizione, ha dovuto prendere il posto di suo fratello ma alla sua maniera. Ha fatto dei corsi con Giorilli a Bergamo, annusando la possibilità di una lievitazione altra. È entrato in Richemont, appoggiandosi a quei maestri riconosciuti e riconoscenti che non danno mai (?) nulla per scontato, e si è dedicato alla quotidianità e ai concorsi. Perché a Torre Boldone le soddisfazioni, attraverso la ricerca di antiche varietà di mais autoctoni, non te le puoi togliere. Il plauso te lo devi andare a cercare. Continue reading Tecnica e forma in una provincia apparente… Ivan Morosini
Terre di Sarizzola: la nobiltà del salame… Mattia Bellinzona
Costa Vescovato, località Sarizzola, laddove le gelate invernali non lasciano mai spazio, eccezion fatta per un po’ di fortuna in mezzo alle brume. Sul crinale della Valle Ossona, vista edulcorata rimasta povera, frazioni quasi abbandonate, case che non hanno riportato in vita il fulgore del turismo, tranquillità assoluta e legami che si percorrono e ripercorrono dalla notte dei tempi. In questi paesi si fa un’Italia scrostata e pura, i colori pastello decadono e si stagliano scheletri iper-realistici di un passato che non è mai diventato presente. In questo crepuscolo dei luoghi, dove i concetti di patria e di nicchia sono inscindibili dalle rivoluzioni culturali, dagli addii, dalle messe in opera di pensieri realistici e relativisti, le valli tortonesi s’incagliano in mezzo ai loro detriti, denunciando un decadimento rappresentativo che ben si riconosce in quella metà strada tra il maiale e il Timorasso. Lì in mezzo si è fatta la leggenda ed è compito progettuale non lasciar sì che altri se ne facciano vanto. E così giovani evoluti come Mattia Bellinzona, sulle strade non tracciate dai decani del pensiero debole, sta ripensando, insieme ad un altro manipolo di temerari, un territorio che deve avere un assoluto tradizionalista come genius loci e una possibilità di futuro che non sia né perversione né arbitrio. Continue reading Terre di Sarizzola: la nobiltà del salame… Mattia Bellinzona
Ca’ Bella: progetti di confine… Riccardo Rosa e Alessio Pozzoli
Tra Dernice e San Sebastiano, in quel crinale dove la Val Curone diventa Val Borbera, dove i paesi superano difficilmente i mille abitanti e dove le frazioni definiscono molto più di qualunque fotografia. Ad ogni luogo appartiene una terra, un prodotto o una dichiarazione d’intenti. E così il Montebore, formaggio su cui proditoriamente si sono create leggende e gabelle, su cui i cultori del giusto han creato fantomatici produttori, adottando pecore e nascondendo vacche, e su cui storicamente si è addirittura trovata una connessione con Leonardo Da Vinci, acquisisce in quei declivi i propri natali, rappresentando povertà, un po’ di Liguria, i colori pastello delle pareti, le persiane verde foresta, i ponti ad arco su alvei di scorrimento privi di elementi d’origine, e una bellezza socchiusa in stradine che discendono verso un nulla di partite a carte e pascoli infiniti. Qui le frazioni definiscono finanche le cascine. Continue reading Ca’ Bella: progetti di confine… Riccardo Rosa e Alessio Pozzoli
Cascina Capanna: il benessere sembra così semplice… Lorenzo Bonadeo
Montegioco è un incrocio di frazioni con nomi improbabili, popolazione dispersa, straordinari birrifici e ritrovi al benzinaio di personaggi inattendibili spersi in lande texane, cappelli di paglia e lenti movimenti di macchina. A riprendere l’orizzonte e quella Val Grue che si apre e che si chiude in una rapsodia discontinua che non mostra mai la stessa faccia. Qui il paesaggio ha lo spazio del dissenso, il salame è una religione laica e l’agricoltura si basa da sempre sulla vite e sul maiale. In quella filologia, cercare l’apocrifo è un intento che sprofonda. C’è tanto terreno, troppo terreno che ha concesso la noia al prezzo. E così chi ce l’ha, se lo tiene, lasciandosi marcire dietro ad una sussistenza fatta di norcini infreddoliti, di rituali invernali e di un’estate troppo lunga da far passare. Perché quando la polvere non rimane in mano ad un Faulkner ma ad un settebello, la vecchiaia incrosta anacronismo senza diventare esempio. E così i giovani si ritrovano per parlare, maledire e tenere il più lontano possibile la sorte non avversa. Perché è sì in luoghi come questi che si fa l’Italia ma è altresì che il cerino corto della scelta non lo vuole nessuno. Perché l’indefinito è sempre più facile. Salame, vino e qualche salma. I rivoluzionari ci sono, profumano di lievito e auto-sostengono con una scuola una delle agricolture più incredibili di questa terra acre. Continue reading Cascina Capanna: il benessere sembra così semplice… Lorenzo Bonadeo