Villa d’Almè. Piccole fonderie sulle rive del fiume Brembo. Mattoni, ciminiere e finestroni non illuminano più e nemmeno stancano. I lavoratori hanno rimesso il fustagno nel cervello e hanno messo al mondo figli con il vezzo della fuga, e Villa d’Almè è rimasta una cittadina placida senza nessun motivo. Pochi kilometri da Bergamo, dai parchi faunistici, dai centri commerciali e dagli addii alla poesia, porta della Val Brembana e necessità di pace di qualche impiegato che al capoluogo preferisce questa periferia fosca. Sarebbe una buona ambientazione per un polar contadino, uno di quei gialli senza soluzione, con cadaveri poco eccellenti ma per questo ancora più vividi nella memoria di persone che non si portano dietro che la coperta. Qui, nella nostra brughiera con case non avvezze al lascito, la famiglia Gamba, dagli ultimi anni dell’800 continua una somministrazione di cibo che ha cambiato pelle più volte. Continue reading Salumi centenari in corso d’opera…Pierluigi e Claudia Gamba
Il Formai de Mut senza patine… Gianfranco Paganoni
Alta Val Brembana. Isola di Fondra è un paese che non esiste, le anime sono in disfacimento. Forse un centinaio, forse una cinquantina. Frazioni e molto abbandono. Una straordinaria conca dove il sole si vede poco, dove i larici si alternano agli abeti, garantendo all’autunno la propria appariscenza, e l’acqua, tra il Fiume Brembo e le cascate laterali, intacca la pietra, le chiese e i ruderi rimasti ormai corrosi dal giallo. Ormai c’è solo vista. Ci sono le stagioni, sì, c’è qualche lavoro, ci sono i versanti ripidi della Pietra Quadra che si abbattono sulla possibilità di continuare a richiamare persone e poi c’è quell’opportunità vana di restarci o di passarci. Lì, nel rombo dell’acqua che mette tutti i dolori a posto, in quella vista esoterica che va a sfiorare la prima neve autunnale, turisti dello sci e malgari si dividono il passaggio ulteriore, quello verso la montagna vera, o almeno quello che le Orobie hanno ancora da offrire. Questi paesi, ad ottocento metri d’altezza, sono l’anima perduta di quell’Italia che non ha l’aspetto laccato dei pascoli felici e dell’accento teutonico, che non ha saputo re-inventarsi un modo per portare il decadimento, le centrali idroelettriche e l’intransigenza delle scuole con il predellino al di là del secolo breve. Così le sparizioni diventano più fughe che morti ed Isola di Fondra rimane lì già nella memoria di un passaggio e di quei muri scrostati che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Così, senza nemmeno accorgersene. Continue reading Il Formai de Mut senza patine… Gianfranco Paganoni
L’anima scura del Carrobiolo (!!?!?)… Pietro Fontana
Monza è una città grigia, senza eminenza, quasi sepolta. I viali alberati portano realtà più che realismo, le rotonde hanno attorniato il parco e le strade divelte hanno reso più facile il vassallaggio nei confronti di una provincia mai sentita come tale. È una città borghese in decadimento, con gli acciottolati, gli accenti anti-melodici e le abitudini a considerare il passato come l’unica fede nella sparizione delle brutture. La Feltrinelli si chiama ancora Ricordi e il Palazzo dell’Upim troneggia enciclopedico per una resistenza diventata vilipendio. La Monza da bere ha portato poco alla gastronomia, sicuramente meno delle sue appendici brianzole e sicuramente più di quello che la gente del Campari pensa di avere tra le mani. In una di queste piazze senza destinazione d’uso, Pietro Fontana ha deciso di trasferire il suo opificio brassicolo dal convento che l’ha ospitato per anni. Il Carrobiolo si è rinnovato e ha creato un luogo che qui, prima e qui, dopo, non c’è mai stato e mai ci sarà: un brewpub di una bellezza contemporanea, mattoni a vista, legno e vetro. Continue reading L’anima scura del Carrobiolo (!!?!?)… Pietro Fontana
La trasformazione del frutto antico… Paolo Pagani e Anna Maria Messetti
Comune sparso di Curino. Bordo della Val Sessera. Qui le prealpi non sono nemmeno più una definizione. Questo è un pezzo di provincia biellese, nascosto, disabitato, in cui la conoscenza rappresenta un vezzo di pochi abitanti e procacciatori di uccelli. Umido e buio fanno il resto. Il navigatore si perde in mezzo a quelle frazioni e a quei cantoni che di un paese hanno lasciato una memoria fatta di accenti agonizzanti e affreschi su pietra. Qui, le dominazioni hanno reso tutto meno manifesto. Dall’imperatore alla curia, gli abitanti di questi luoghi, che dei Celti si portano ancora dentro la morfologia emotiva e la fisiognomica della ribellione, rimangono schivi ad aspettare la somiglianza con il giorno prima. L’identità è un principio di qualità nascoste. Posti selvaggi che hanno ancora il pregio di stupire con una vista senza obbligo. Equidistante da tutto, dalla Valle d’Aosta come dalla Baraggia, Quirino può accoglierti con una strada senza uscita oppure con la vista della casa di Paolo Pagani e Anna Messetti. Un frutteto in discesa, delle manze al pascolo in mezzo agli alberi, una vista rudimentale e una vegetazione che ha terminato di declamare. Il tutto sotto un sole che illumina e non scalda. Una meraviglia in cui rilassarsi è molto più che dovuto. Continue reading La trasformazione del frutto antico… Paolo Pagani e Anna Maria Messetti
Raspino: la pasticceria parte dall’origine… Gino Rigobello
Torino. Regio Parco. I portici sono una lezione imparata di storia sabauda che non riesce a guardare oltre la fronte corrucciata di chi ormai ha perso interesse per il cielo e per il tempo. Dalla lavorazione del tabacco alle case di ringhiera operaie fino alla suadenza da parcheggio comodo e parchetto canino, il quartiere si è evoluto ripulendosi dalla fuliggine e da quelle facciate in stile sanatorio che della quadratura han sempre reso un’immagine impossibile da rendere più vivida. Torino è sempre rimasta un cielo coperto e delle insegne al neon catalizzanti le direzioni delle strade. Colori vividi su una materia rimasta grigia, apocrifa, sconsacrata… taverne, pasticcerie, ristoranti cinesi e bar a mezz’aria, nel culto del giornale, nel riposo di mezz’ora, nell’operosità blanda di manovalanza fine a se stessa. Torino si è sempre allargata senza mai interessarsi dell’orizzonte da cui era vista e da cui era macchiata. Così ha mantenuto dei luoghi tenui dove rifugiarsi molto oltre l’estetica vintage del caffè e della boiserie. Continue reading Raspino: la pasticceria parte dall’origine… Gino Rigobello
Lievitati e classicismo… Alberto Roffia
Milano. Via Melchiorre Gioia. Tra la Maggiolina e Greco, in quell’angolo metropolitano dove le macchine s’incolonnavano nella speranza che non si rompesse lo “spannavetri” e dove la nebbia prendeva gli ultimi lasciti da un hinterland che non era ancora se non nella fabbrica. Molto prima delle abitazioni, dei pubblicisti che occupavano villaggi di case monofamiliari in periferia, della decadenza, dei centri sociali e degli strascichi per contadini urbani e orti idroponici, qui si provavano architetture futuristiche per creare enclavi di benessere al di là di quella Milano a fisarmonica che si è portata via tutto… oltre la ferrovia, oltre quei luoghi che sanguinavano di rosso e che le cicatrici han deciso di richiuderle da sé. Così, Via Melchiorre Gioia è sempre stata fosca di abbandoni e di accoglienze. Chi arriva e chi va. Ma chi l’ha mai guardata? Chi ha cercato una logica consumistica, chi l’ha legata alla città dello stare bene e chi non ha mai smesso di sottoporsi alla necessità della risposta. Gli altri sono passati. Ma un paio di angoli meritano ancora di essere assistiti, magari seduti ad un tavolino, guardando quelle maledette corsie trasferire immondizia e felicità da borse piene. Continue reading Lievitati e classicismo… Alberto Roffia
Uno chef prestato alla pizza… Francesco Cassarino
Ragusa è un luogo tralasciato, pieno di vicoli, rotonde e discese che non portano a nulla se non a girare intorno a quell’unico motivo impossibile attraverso cui si è riuscito a ricreare la natività all’interno di un’apparizione. Che viene cercata e che non si fa mai trovare simile a se stessa. Bisogna affidarsi e guardare oltre quel terremoto che ha scardinato il medioevo, rendendo indietro quel tardo barocco che ha reso il Val di Noto quello scrigno presenzialista che non può mai essere evitato in una discussione che vuole la Sicilia come centro di smistamento delle cazzate vacanziere. Superato l’oltre di queste facciate, il molto oltre, dopo aver capito che ruota tutto intorno a quell’impiantito medievale-bizantino, dopo aver visto le luci notturne, dopo aver surrogato il nero con il luminoso dorato della pietra locale e dopo aver rimesso in discussione il concetto di pretesa, appare l’unico motivo attorno a cui ruota tutto: Ibla. Nata dalla morte per essere ammirata. E così la ricchezza non è più un barlume di limone raccolto, di zolfo prelevato o di cannolo riempito, è lì sotto una forma lacerata di povertà, quasi traslata verso una Sicilia che non è più appartenenza e non è più nemmeno possesso. Continue reading Uno chef prestato alla pizza… Francesco Cassarino
Salumi ovattati nei segreti… Antonello Beccalli
Costa Masnaga. L’ennesimo paese brianzolo appena fuori dalla Valassina. Case basse, vite rilassate, macchine laccate, industrie tessili, alberi di gelso divelti, colline, acciottolati, torri medievali, strade in salita e strade in discesa, per quello che non è più nemmeno un privilegio ma il solito rituale ripetersi dell’uguale a se stesso. Così bisogna andare in profondità in quella spesa paesana che è ancora compravendita, trattativa, chiacchiera e riprova. In quella critica da prosciutto grasso e prosciutto magro da cui nessuno, nemmeno il più romito degli artigiani iconoclasti, può provare a prescindere. Costa Masnaga effettivamente resta lì, inutilizzabile, chiusa in quelle botteghe che al mondo là fuori hanno smesso di credere, accontentandosi del passa parola, del lattaio, del macellaio e del panettiere. La vita di paese è la dimostrazione di una tensione alla vecchiaia che è la più salda delle grammatiche italiche di sopravvivenza. E così, cappotto infeltrito e giù di dialetto. Continue reading Salumi ovattati nei segreti… Antonello Beccalli