Berlino. L’impatto della mia adolescenza fuori dalla bambagia, il primo viaggio, quell’olfatto di strada bagnata e lattiginosa, dove il tempo della contrazione stava già diventando sottrazione e sgomento. Era una Berlino maggiormente definita, schiva e lasciva, come solo le lettere consumate sanno essere, si usavano ancora taccuini e penne Bic, c’era il rimorso di aver sprecato così tanto tempo e l’esaltazione di trovarsi sulle strade della propria vita, così poco capita e ancor meno condivisa. C’era e per certi versi c’è ancora. Il cielo è logoro, gli spazi sono immensi, il fragore è una continuità che si leva per caso, il socialismo è divenuto l’opportunità da non sprecare, i plattenbau sono talmente esposti da non essere nemmeno più sacrileghi, l’iconoclastia è diventata quell’opportunità e Berlino l’ha colta alla perfezione. Il sostegno si è capovolto più volte, quello che era centro è diventato periferia e viceversa, ha mancato di poco la libertà, pur spacciandola attraverso il concetto di vuoto, di ripetizione, di facilità, di arbitrio. Berlino è un’exclave apolide, uno di quei luoghi che tutti hanno voluto, desiderato, odiato, dove si sono formati, hanno soddisfatto la propria adolescenza, dato un nome alle proprie nostalgie e un tenore alle proprie nevrosi. È la città di tutti quelli che nel sogno industriale non hanno mai smesso di credere. Continue reading A Berlino i giorni si susseguono…
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Markthalle Neun: il pane in una Berlino che c’è ancora… Alfredo Sironi
Kreuzberg è il più classico dei crocevia. Da Berlino americana a Berlino turca, passando per una controrivoluzione punk-dada salvifica dal degrado e finendo per rappresentare una frontiera che è centro in quanto movimento e tessuto sociale. Il muro dietro l’angolo è invasivo folklore di un tempo che non è mai stato privamento di possesso e così Kreuzberg sopravvive agli hipster, ai palazzoni, ai mercati urbani, ai kebab, alla socialità come forma d’arte, alla gentrificazione che ha trasformato tutto in un wurstel, in un caffè e in un risvolto. Dalle farmacie alla decadenza, la trasformazione è stata voragine che ha mantenuto le sedute in legno, la scomodità della cultura e il ribrezzo verso il conformismo. Così, il nero dark è diventato colore, sorrisi e biologico, uno Straight Edge alla berlinese meno cupo e con quei sorrisi barbuti che ormai sono in mezzo tra la deferenza e l’anacronistico. Qui si passeggia, si va in bici, si sta bene e si aggirano i tempi morti attraverso il tepore delle sere impegnate, quelle calorose, che anche se vendi passeggini sei comunque un locale… Continue reading Markthalle Neun: il pane in una Berlino che c’è ancora… Alfredo Sironi