Basi rivierasche per un gelato solido… Matteo Spinola

Chiavari. Paesaggi di riviera disinteressati, promontori in lontananza, persiane verde scuro come da retaggio marinaro e un centro storico da far invidia al prestigio di città adiacenti che certe piazze se le sognano. Eppur c’è un inverno. Questa è la meraviglia di una Liguria che si richiude su sé stessa, tra portici e volte, biciclette e strade che non hanno un’ortogonalità nemmeno come forma di riflessione. Il lungomare è occupato come un’assenza, come un forestiero e come un’eccezione. Il resto è ipocrita cattiva mescolanza. Persone straordinarie si richiudono e la famigerata ospitalità ligure arriva a chi di quell’ospitalità non ne può fare a meno. La borghesia commerciale di riviera si è solo un po’ incanutita, ma è rimasta piegata su tradizioni e sguardi che arrivano sinceri, antichi e assolutamente anacronistici. Lontano dal mare e dalle valli, la Liguria esprime sempre una signoria velata dietro i tendaggi, ma è estate e così sto vicino alla sabbia e cerco un gelato… Continue reading Basi rivierasche per un gelato solido… Matteo Spinola

Antica Trattoria dei Cacciatori : luoghi che resistono all’isolamento… Giacomo Mazzoni

Pietranera frazione di Rovegno. Avamposto della Val Trebbia Ligure che non porta da nessuna parte. Qui c’è una cesura in quello spazio che non concede né il lusso né il precetto, non si inseguono caparbietà o socialità, si è rimasti una decina, si scurisce, ci si illumina, si prendono le stagioni come una variabilità necessaria e si rimane al di fuori di tre kilometri di curve in mezzo alle conifere, in un isolamento imposto, daziario e climatico, in quell’Italia che spera che non succedano mai tragedie. Qualche balla di fieno e qualche prato tagliato riflettono l’architettura razionalista di colonie destinate ai bambini, trasformate in prigionie e rappresaglie, e definitivamente abbandonate ad un’incuria deterrente, che spiazza, rendendo il tutto più profondo. In quel senza centro che impegna attraverso stradine strette e impervie che chiudono i passaggi, le persiane verdi, che della Liguria han creato un effigie, i terrazzamenti, i campanili che non si sono portati dietro le ciminiere, e una quotidianità diafana – dove il silenzio, fuori dagli orari di punta e di convito, è assoluto -, Pietranera desta l’estasi estensiva di un tempo senza fine e senza fini se non la vista. I cieli da epilogo del mondo si sprecano, perché la frontiera non è più nemmeno un passaggio ma un ottenimento di giudizio, qui si viene, ci si guarda in giro, si gode di questa roccaforte rarefatta, e ci si lascia alle spalle le nuvole, le notti e gli inverni. Continue reading Antica Trattoria dei Cacciatori : luoghi che resistono all’isolamento… Giacomo Mazzoni

L’olio come sguardo sul mondo… Agostino Sommariva

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L’altra Albenga è un luogo meno fugace, con del tempo da spendere e un’attrazione verso il mare che lascia tranquillamente da parte le spiagge. Qui si coltiva di tutto, tra serre e campi aperti, il verde è una sublimazione di un lavoro che nel colore trova la sua soddisfazione più grande. Basilico, aneto, pale di fico d’india inattese, cespugli di erbe officinali, olivi, asparagi, carciofi, zucchine e fave, in mezzo ad un susseguirsi di fiori e di recisioni, di principi di vendite, di orchidee al caldo e di quel sistema di cura che tradisce se non spiegato. E così ci pensa Paolino, il cui sorriso si apre a meraviglia appena messa a tema la parola fiore, che ruota vorticosamente tra le sue serre alla ricerca della sorpresa, dell’improbabile e del commestibile. Crescioni, lemon grass, nasturzi e margherite, la riviera, nella sua anticamera prima delle fosche valli che inumidiscono turgori e voluttà, si apre nell’impossibilità di rimanere soli. Un ligure deve tradurre in ligure un ligure per far sì che il forestiero trovi una dimora che si fermi prima di quel luogo comune che appiattisce il senso. Luoghi come questi diventano prodigiosi grazie alle persone che hanno ancora voglia di raccontarli, prevenendoli dalla vendita. Agostino Sommariva è una di queste persone. Continue reading L’olio come sguardo sul mondo… Agostino Sommariva

Bibite territoriali e un non luogo… Matteo Borea e Pierangelo Rossi

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Albenga. Quella terra di mezzo che è più residenza che vacanza, volti scanzonati che si riconoscono per le strade e raccolte fondi che guardano il turista e lo vedono più restio a rimanere. Questo è il classico paese di caruggi e persiane verdi ma con un’identità più protetta, meno abbandonato alle spore della conquista e ancora meno al grido del miracolo come forma di apertura al mondo. Adesso che i milanesi si son stancati di riportare a casa il ragazzo selvaggio per dirozzarlo a dovere e farlo scoprire al mondo, luoghi come Albenga rimangono meno manifesti, più vocati a mostrare chieste stupefacenti, giardini immaginifici e cieli poco tersi. I negozi han deciso di non vendersi l’anima dall’ingresso e così le insegne che li rappresentano mantengono tutte lo stesso stilema, un po’ storico e un po’ rispetto. La spiaggia è un’attrazione che si è persa, che è stata schiavismo e che adesso è segregazione. Per conservare dignità e non identificarsi sempre con il pezzo di focaccia da portare a casa a fine weekend per gli strilli di una cena tra borghesi esausti, Albenga (ma andrà nel capitolo secondo: La Vendetta ndr) ha mantenuto ancora uno straordinario artigianato di sistema e di territorio. Qui in mezzo è rimasto anche spazio per qualche novità. Continue reading Bibite territoriali e un non luogo… Matteo Borea e Pierangelo Rossi

Asparago violetto, zucchina trombetta e carciofo spinoso. Il mondo di Marisa Parodi Montano

Asparago-violetto-di-Albenga

Ceriale. Confine territoriale, la passione della spiaggia spostata di qualche centinaio di metri e un incedere di serre, salvezza e cruccio per decine di agricoltori che in questa terra hanno trovato una forma distesa di ragione sociale. Luoghi adatti per svernare, dove le rughe mantengono il proprio tenore e l’avvizzire è più tra gli alberghi e i giochi condivisi che nella realtà convenzionale dell’inverno nel mite. Lusinghe audaci si disperdono presto nell’idea di consumo, nei volti abbronzati e nell’incapacità di andare oltre il rilucere del sole. In luoghi come questo, la ferrovia è un punto di non ritorno, qualcosa che spacca, che mantiene nascosta e che nella manifestazione non cede mai a se stessa. Dietro ci sono le orchidee ammansite e una cattività “di chi s’arrende per poco”, perché in questa Riviera delle Palme, che disseppelisce facilmente il formidabile contemporaneo, sotto forma di colori e sapori, persone come Marisa Parodi sono il fondamento del mio lavoro e di qualunque lavoro. Continue reading Asparago violetto, zucchina trombetta e carciofo spinoso. Il mondo di Marisa Parodi Montano

Leggendari confiseur italiani… Pietro Romanengo

ROMANENGO

Genova è un atriaorto del sud del mondo accidentalmente gettata sulle rive della Liguria. Quegli odori, quelle urla, quei volti, quelle tradizioni, quel mangiare di strada, quegli acciottolati, quei caruggi e quelle crêuze sono incidenti non casuali di una maniera mediorientale di guardare il mondo, di intendere il centro, il negozio e il suo mercanteggiare. Senza divisioni. La passeggiata è già una compravendita. I monumenti possono rimanere stabili e nascosti, l’interesse non sarà mai una contemplazione, almeno da queste parti, in questo modo di intendere il mare come una beatitudine e un consumo, come qualcosa d’individualmente presente, e la natura delle cose sarà sempre scrostata, libidinosa e ironica. Non ci si può nascondere tra le crepe, bisogna uscire fuori e dimostrare di possedere una delle città più incredibili del mondo. Guazzabugli di anime talmente differenti da non avere alcuna direzione, qui si scoprono pudori e tradizioni che riportano verso le navi e verso il passato. I mercanti non si son mai profumati e così chi è arrivato fino ad oggi o ha una storia o è senza patria. Continue reading Leggendari confiseur italiani… Pietro Romanengo

Lavagè: l’eterno ritorno degli uguali… Mirella Ravera

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Rossiglione, pressoché Liguria. Parco naturale regionale del Beigua altrimenti detto Valle Stura. Quella manciata di terra al confine con lo sfruttamento culturale piemontese che prova a contenere la voglia di cacciarsi nel selvatico, mantenendo a distanza il mare, l’ipocrisia, l’ansia e le viste distensive. Il moderno che si staglia sull’orizzonte fotografico dell’antico è di una bruttura senza redenzione, qui gli allevamenti bovini sono sempre stati la priorità – le cooperative cooperavano e imbottigliavano latte per cercare un’identità – , hanno svenduto, sono andati in decadenza, hanno perso la successione e si son trovati senza più voce. Così in questi luoghi che una giustizia condivisa non l’hanno mai avuta, auspicando il passato per trasformarlo in passaggio, la possibilità di fare le cose per bene, lentamente, senza pressioni, recuperando senza leggende, è quella maniera rimasta per non dare l’idea di essere un disadattato in pomeriggi disadattati tra tavolini e macchine truccate. Il contraltare della fuga si chiama territorio e lì hanno insistito giustamente i fratelli Ravera. Continue reading Lavagè: l’eterno ritorno degli uguali… Mirella Ravera

Il Forno di San Nicola: alla ricerca della focaccia genovese…Marco e Luca Oberti

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Genova. Castelletto. Quell’altura immaginifica che apre la città alla vista come fosse un luogo di riviera, chiudendola dagli olezzi lancinanti che l’han sempre definita molto più di qualunque prospettiva, di qualunque politica e di qualunque economia. Le persiane verdi acquisiscono altri colori come per darsi un tono, una ritualità, una copertura del rivo, quel modo un po’ altezzoso di mettersi sopra un fortilizio aspettando di essere rimirati, magari in una giornata di sole, con un retro-sguardo che possa definire la bellezza solo attraverso il bello, lasciando da parte quel fascino sempre ricercato quando si parla di Genova, di antico e di porto. Questa è una città di quartieri, assidua nelle sue divisioni dirompenti che tracciano delle linee asimmetriche e marcate tra zone complementari e confinanti ma assolutamente lontane, nello stile, nello sguardo e nell’architettura. E l’accento non sempre riesce a sussumere tutto sotto lo stesso tetto. Qui ci sono belvederi inaspettati e il fruitore può tornare ad essere spettatore non guardato, un voyeur di una città fatta di giudizi e pregiudizi. Dalle mulattiere alla circonvallazione. E che meraviglia se ciò che resta della tradizione è spiegato lentamente dal cibo e da una clientela sempre uguale a se stessa. Anche in un quartiere ma soprattutto perché in un quartiere. Continue reading Il Forno di San Nicola: alla ricerca della focaccia genovese…Marco e Luca Oberti