Un agronomo che fa l’agronomo, l’agricoltore, l’apicoltore e il forestale… Guido Calvi

GUIDO CALVI

Edolo. Un paese che divide la Valle Camonica delle aziende, delle dighe, dei centri commerciali e dei trafori, quella troppo larga e inquinata per dimostrare di non essere sotto scacco, dall’alta valle. Una galleria in pietra bagnata, le strade si stringono e cominciano i tornanti. In mezzo… tra le montagne che delimitano la Valtellina e il gruppo dell’Adamello con i suoi ghiacciai, le sue centrali idroelettriche e i suoi boschi di abeti che non smettono mai di togliere il fiato. Edolo è in mezzo. Ha le costruzioni della città di frontiera e del paese da cui fuggire ed è un centro di passaggio circondato da pendii. Uno di questi è la mia meta. La solitudine svanisce con l’incidenza di una macchina abbandonata in mezzo ad una strada troppo stretta per essere vera. Così Guido Calvi mi carica e capisco cosa vuol dire romitaggio. Qui non sale nessuno, non c’è speranza, la strada non è difficile è impossibile. Passano solo due tipologie di automobili e le frizioni non hanno possibilità. Continue reading Un agronomo che fa l’agronomo, l’agricoltore, l’apicoltore e il forestale… Guido Calvi

La mitologia che dà l’addio alla valle… Andrea Bezzi

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Case di Viso. Un eremo senza silenzio tra il Gavia, il Tonale e i monti sopra Pinzolo. È un alpeggio moderno, una sorta di beauty farm dell’ascetismo. Le macchine arrivano alla base delle prime case, abbandonano lo stress da ricerca e rilasciano cercatori di solitudine e di montagna. Così, l’estate è un continuo via vai di peccatori, assaggiatori, camminatori, scalatori e annoiati vacanzieri del pascolo silente. Ma la poesia non ha smesso di portarsi dietro dei lembi. La mattina, la sera e il fuori stagione. Case di Viso è un borgo rurale di case in pietra, senza elettricità e senza manifesta noncuranza. Acciottolati, erba tagliata, un ristorante senza amore e un contesto di acque cadenti, di acque scorrenti e di acque comprate al supermercato dal milanese incontinente e sicuro della sua scelta e del suo eremitismo. Così, quando le macchine, i bambini, gli anziani, i competitivi e gli accompagnatori dei competitivi sono ancora dispersi sulle strade della Val Camonica o a Ponte di Legno a comprare caramelle o energizzanti da supermercato, Case di Viso ha la magia senza tempo del silenzio. Di quella straordinaria montagna immortalata per sempre nella decisione mattutina di mettersi uno zaino in spalla e di provare a sfidarla. Verde, roccia, torrenti, ponti in legno, tetti in pietra e un luogo della Lombardia che manca della Lombardia. Finalmente. Continue reading La mitologia che dà l’addio alla valle… Andrea Bezzi

Capre Saanen e il futuro di queste valli… Ilario Rota

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Brembilla. Un paese dimezzato e diviso, uno di quei luoghi non sufficienti a farsi riconoscere. Il commercio e l’industria hanno trasformato la mezza montagna in pianura necessaria. I fiumi, l’addentrarsi delle valli, i laghi solitari, gli sbocchi verso la Val Taleggio non hanno fatto altro che amplificare l’isolamento estetico di posti come questo. I ragazzi fanno capolino sopra i motorini al di là dei muretti, senza nemmeno il belletto delle sei di pomeriggio e con camicie scucite, blanda imitazione dei modelli senza pudore. Brembilla è le sue frazioni, probabilmente le sue tradizioni, ancora più probabilmente la sua religiosità o le sue funzioni religiose, ha dei tornanti che invitano a fuggire, delle diversità racchiuse nel giardino di casa a rivangare la terra e una bonaccia coatta e di passaggio da cui è impossibile fuggire. Continue reading Capre Saanen e il futuro di queste valli… Ilario Rota

Stracchini e alpeggi delle Alpi Orobiche… Matteo Pesenti

 

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Camerata Cornello. Cornello Tasso. Tassi. Taxi. Il sistema postale è nato qui dalla famiglia Tasso (che nelle sue discendenze ha acquisito letterati e poeti) che poi è diventata tedesca, nobile e ricchissima. Da un piccolo borgo montanaro al servizio del Sacro Romano Impero. Così, queste quattro case e questo piccolo gioiello mantenuto hanno un senso all’interno di un sistema paese-riconoscimento che non ha più nessun valore. La gente passa, si ferma all’agriturismo evoluto col maneggio, i piatti tipici e l’imprenditore illuminato o prosegue verso l’alta montagna: per sciare o per passeggiare. In questa media montagna, di cui questa Lombardia può fregiarsi della definizione, i boschi, le vette e i silenzi hanno lasciato posto alla decadenza termale, allo stile moderno dei Grand Hotel, alle ciminiere in mattone refrattario e ai fiumi produttivi. Qui, in questo angolo di mondo, ormai poco remoto, le centrali idroelettriche hanno preso il posto degli abeti e andrebbero difese come patrimonio operaio dell’umanità. Architettura classicheggiante austera. L’epitome di queste valli: lavoro e silenzio. Continue reading Stracchini e alpeggi delle Alpi Orobiche… Matteo Pesenti

Macellai senza razza… Diego Liberini

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Rezzato. Punto di snodo tra la città, la Valle Sabbia e quelle destinazioni trentine che portano molto oltre il Lago d’Idro. La montagna è lontana tanto quanto il fascino. Rimane un po’ di collina, qualche vigneto e la Valverde che mostra più il suo nome che le sue grazie. Gli allevatori hanno stabulato le proprie bestie sotto tanta paglia e troppi tetti. Le stalle si alternano ma non si vedono. Si sente ancora un po’ di puzza delle pianure. Le cascine rimangono disattese così come i corsi d’acqua. Le rotonde hanno deciso di tagliare l’intagliabile, rimandando indietro un’immagine di coesione tra grigi. Gli occhi che guardano la strada sono le strade che non sono più né allusione né traccia. Continue reading Macellai senza razza… Diego Liberini

Una pizza concupita… Antonio Pappalardo

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Rezzato. Pedemonte di varie geografie. L’hinterland senza nessi logici con la memoria, la collina di Botticino che non ha nulla di fascinoso nemmeno oltre lo sguardo e il Monte Regogna con le sue cave, che aprirebbe scenari, villette con tetti in pietra, le fabbriche tessili lungo il naviglio e le vecchie cascine stilizzate in una forma di nobiltà che perde pezzi ogni giorno, se non fosse per una strada che non porta da nessuna parte. La via del marmo assomiglia torvamente alla via del cemento. Il Bacino Marmifero della Valle Sabbia, al di là di interessi economici e lavorativi, appare come un’occasione sprecata di ricordo. Eppure il fascino del mantenimento, della lavorazione, della morte, della valle, delle infiltrazioni comunicative tra paesani e forestieri, al di là della banalità museale, manca totalmente di aggregazione, di un senso che possa portare fuori quell’archeologia industriale che continua a dimostrare noi stessi molto più di qualunque Altare della Patria. Continue reading Una pizza concupita… Antonio Pappalardo

Bisogna credere alla cultura delle mani… Fabrizio Zucchi

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Ciliverghe di Mazzano. Rotonde e centri commerciali, centri commerciali e ronde, centri e rotonde commerciali. La commercialità del luogo è talmente tonda che il nome non può che essere mellifluo. È tutto così informe da non avere né più centro né più periferia. Si è scelto per le case basse, magari due piani, magari con un giardino in cemento, si è scelto per non mantenere più la logica della relazione. È tutto molto codardo, le vie di fuga, le code, la necessità di comprare, corroborata dalla facilità di trovare, e quella voglia di non lasciare alle persone che la notte per immaginare la giornata successiva. È hinterland, è lo stesso hinterland che c’è ovunque, privato dell’andito operaio, privato del bisogno di coesione e lasciato marcire sotto il sole rovente del cemento e del prefabbricato. E così, qualcosa che viene fabbricato prima non può che essere senza luogo. Non c’è contemporaneità, non c’è futurismo e non c’è nemmeno passato, eccezion fatta per la notabile Villa Mazzucchelli. Continue reading Bisogna credere alla cultura delle mani… Fabrizio Zucchi

Esistono ancora i gelatieri… Alberto e Anna Sogaro

SAN GIUDA

San Donato Milanese non è un luogo, è una comunità di dipendenti, ex dipendenti, figli di ex dipendenti, nipoti di ex dipendenti, che ruota tutta intorno alla Eni. C’è una tangenziale, ci sono delle concessionarie, qualche industria, una stazione della metropolitana e un cane a sei zampe che contempla tutto dall’alto. San Donato è un posto privo di qualunque diceria. È tutto lì, talmente chiaro da essere quasi programmatico. È una definizione metonimica che prende Metanopoli e la fa diventare una città talmente ideale da renderla distopica. Continue reading Esistono ancora i gelatieri… Alberto e Anna Sogaro