Senale-San Felice. Alta Val di Non o Nonsberg. Frontiera Nascosta. Qui in mezzo c’è una sottile linea rossa che separa la cultura romanza trentina dalla cultura tirolese altoatesina. L’ordine di St. Felix si trasforma(va) nella flessibilità di Tret (frazione di Fondo), la chiave di lettura rimaneva nel potere e non nella cultura. Le idee, la lingua e il linguaggio sono rimasti strumenti insondabili per provare ad entrare nell’etnicità del luogo che non si scompone nella natura ma nell’ideologia. La verità ancestrale, da una parte, e la discussione, dall’altra, il maso chiuso contro il maso aperto, una società patriarcale sprangata contro l’adattabilità della specie. Il confine flessibile di oggi, che ha rivoluzionato quello degli etnografi Wolf e Cole, rimane sempre una barriera dal punto di vista linguistico. Uno scontro che nessuno dei due limiti è riuscito a far suo: le frontiere sono rimaste frontiere, nessuna delle due regioni è stata inglobata nell’altra. Non è avvenuto quello che solitamente avviene sul confine. Ognuno ha mantenuto – nel tempo il Trentino è diventato più malleabile agli spostamenti e l’Alto Adige ai conferimenti del latte – e il tempo dei masi è rimasto un’attinenza contadina e familiare da una parte e una spartizione fuori tempo massimo dall’altra. Una giornata a cavallo della frontiera, avanti e indietro, salendo e scendendo, dove la cultura ha imposto la prima delle sue discrepanze nelle coltura: in Trentino si producono mele, in Alto Adige boschi. 800 abitanti, due comuni uniti, poi separati, poi disuniti e poi di nuovo uniti, Senale e San Felice sono villaggi che ruotano attorno ad una piazza e ad una chiesa, dove una miriade di particolarità è intervenuta nel tempo per rendere uguale l’abitudine alla tradizione. Continue reading Roatnocker: un maso alla fine del mondo… Georg Weiss
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Viti e meleti possono salvaguardare il territorio… Valerio Rizzi
Cloz. Terza sponda della Val di Non, dove la Melinda è reggente unico, autoritario e ormai indulgente. Un territorio consorziato a partire dalle facce, in cui l’ingerenza industriale ha solo mostrato un volto più affine alla natura e l’uomo ha imposto il suo unico credo: filari, pieno vento e fusetto. Il meleto non ha dato scampo quasi a nessuno, la monocoltura, intervallata da qualche vigna di Groppello, rappresenta, senza maniera, il postulato di un luogo che ha svenduto i gelsi a causa delle malattie e ha preso le potature e le serie come forma di rinascita. Seimila agricoltori consorziati e denominati. Operai delle colture che al posto delle catene di montaggio mandano avanti indifferentemente una regione all’interno di una regione. La Val di Non come l’Alsazia come il Bacino della Ruhr, imposizioni umane… troppo umane. Fabbriche di frutta che hanno ripudiato da tempo il paesaggio, prima di tutto, e l’individualità, in seconda battuta, non dimenticando nemmeno per un istante le mode. E così il biologico si è insinuato negli arrovellamenti dei carri armati consorziati, cominciando a produrre le prime gemme molto al di là dell’imposizione territoriale. Da qui parte la nostra storia… Continue reading Viti e meleti possono salvaguardare il territorio… Valerio Rizzi
Le donne, l’alpeggio e il tempo condiviso… Mandra Schennach
Valdaone. Malga Stabolone che è appena diventata Malga Rolla. Approdi antichi e lontani di fiumi, laghi e cascate che diventano improvvisamente val di Fumo intatta, dove il selvaggio richiama solamente la caccia di selezione e il tempo speso ad aspettare l’improvvisarsi dell’animale. Qui ci sono postazioni, altane fisse e una sfida alla natura che diventa analisi e roccia. L’attesa e l’etica sono richiami di una solitudine che non può essere prevaricata, qui la montagna diventa assioma, sussistenza e cadavere, qui il tempo non concede margini di errore, cervi, camosci e caprioli sono presenze erranti di una foresta che nella sfida per la sopravvivenza ha sempre nascosto il proprio motivo. Animali addomesticati e animali selvatici, funghi porcini e salvia spontanea, ogni curva segna il passo di un fraintendimento che non può essere messo su carta bollata, che non può essere messo in comunione con una borghesia urbana civilizzatasi al di qua della ruralità e del buio invernale. La stanzialità che ha reso l’uomo Uomo non ha mai attecchito del tutto nelle anime più montane, e così transumanze, spinaci di malga, alpeggi e cacciatori han sempre invaso il tempo dopo la riflessione, quello di un’azione macabra o di un’azione scalza, quelle che prevengono da altri problemi e che portano sulle tavole affumicati e profumi di rododendro e ginestrino, in formaggi scremati dalla povertà dell’abitudine. Questi sono luoghi di malghe e di leggende, qui c’è il lavoro invernale e quello estivo. E così la storia di Mandra Schennach diviene riassuntiva di un linguaggio. Continue reading Le donne, l’alpeggio e il tempo condiviso… Mandra Schennach
Un allevatore iconoclasta in mezzo a terre irriconoscenti… Armando Bronzini
Bleggio Superiore. Tra Fusine e Balbido. Streghe e croci di ferro, strade che diventano sempre più anguste e frazioni che riportano al silenzio e alla superstizione. Scene di vita quotidiana, fontane sempre aperte e chiese sempre chiuse, l’asfalto lentamente cede spazio alla terra e la vista si chiude in valli più strette con approdi dello sguardo che non spaziano più e rimangono balocchi su quelle vette che fan venir voglia di raggiungerle senza mezzi e con troppe speranze. Una fantasia di alberi di noce e meleti molto più che accennati, di patate di montagna e di apparenze molto oltre il rigore. Finché non metti piede a terra, fuoriuscendo dall’incanto delle curve, l’altopiano del Bleggio sembra molto più nascosto del mistero, e così la mia propedeutica la devo sudare su un campo volo improvvisato in mezzo ai frutteti. Continue reading Un allevatore iconoclasta in mezzo a terre irriconoscenti… Armando Bronzini
Una stagionatura da portare fuori… Natale Iori
Frazione Bivedo. Bleggio Superiore. Un insieme di masi e frazioni dove è nata la cooperazione trentina, quella forma economica di sussistenza che ha reso grande una regione e che sta perdendo i pezzi a favore di un’autonomia funzionale al di là del vicino di casa. La collaborazione dal basso, tra contadini e artigiani, è solcata in queste strade sempre più strette e con una vista corroborante su un territorio poco conosciuto e assolutamente slegato dal turismo trentino per antonomasia. Qui, nella vicina Larido, nacque la prima cassa rurale, vita e morte di quella forma consorziata che ha reso il Trentino molto più di qualsiasi montagna. Famiglie cooperative, caseifici sociali, cooperative di consumo e cantine sociali. Qui, nel Bleggio, è scattata una scintilla rimasta più nella voglia di contributi che in quella di contribuire. Il modello Trentino e il modello Emilia stanno mostrando le rughe, i consorzi cambiano colore e la pelle al sole è sempre quella dei contadini. Così si è cominciato a pensare e a mettere in opera delle idee. Continue reading Una stagionatura da portare fuori… Natale Iori
Un passato, un presente e un futuro… Agitu Ideo Gudeta
Valle San Felice, comune di Mori, propaggini della Val di Gresta, dove il distretto del biologico ha portato un nome prima di qualunque discussione. Un luogo mitigato e terrazzato dove i paesi diventano frazioni e le frazioni non superano mai il nitore. Qui ci sono poche cose definite, il bar, la banca, la fontana, il centro, l’acciottolato, i bambini, le sigarette e il caldo. È difficile prescindere dall’incontro e dalla richiesta, è tutto così facile, pieno, quasi fiabesco. I posti sono di un moderno decadente, anima puerile di un tipo di architettura tragica, quella che non progetta il futuro ma lo preconizza. È un biologico desueto, con nomi anacronistici e coltivatori di cavoli sostenibili. Qualcosa pre-armonizzazione e pre-comunicazione. E così le barbe lasciano ancora il posto alle rughe. Da queste parti una ragazza etiope ha imposto il suo credo e il suo allevamento come deterrente naturale all’abbandono, facendo della sua storia il paradigma di un racconto che ha solleticato le parole di molti… Continue reading Un passato, un presente e un futuro… Agitu Ideo Gudeta
Cà dei Baghi: la precisione della frutta… Famiglia Valcanover
Bosentino. Un fondo valle appena diventato montagna, di fronte al lago di Caldonazzo, con quei momenti pedemontani che richiamano anzianità da tutta la regione. Luoghi placidi di coltivazioni di mele e di granoturco, con la Valsugana appena fatta fuori in quei retaggi da sfruttamento tenue che il Trentino cerca sempre di far dimenticare. Perché qui è tutto geometricamente roseo, il candore è la maschera d’eccellenza di una mattina e di un’estate che non può mai essere disillusa, qui gli alpeggi sono abbastanza distanti e così le piste da sci. Lavarone, Lagorai e Folgaria sono richiami solidi almeno tanto quanto il lago, ma la distanza provoca sempre urticanti idiosincrasie e così Bosentino rimane vagante tra bellezza e richiamo. Qui fare l’artigiano è una redenzione sulla strada della cooperazione. Quando i prezzi scendono troppo, quando consorziare il proprio prodotto significa dividere la minestra in due o tre, la soluzione è quella di provare a fare da sé, sapendo benissimo di dover trasformare il pregiudizio in critica e la critica in ammirazione. E così la famiglia Valcanover è passata da una padella ad un regalo e da un regalo ad una lotta all’ossidazione… Continue reading Cà dei Baghi: la precisione della frutta… Famiglia Valcanover
Lagorai: un malgaro iconoclasta… Marco Pompermaier
Comune di Torcegno. Malga Casapinello. Lagorai. Un nome che incute timore, lontano dalle rotte turistiche, sospeso tra la passeggiata del fine settimana e una vista senza requie. Non è un luogo remoto ma nascosto. Chi lo conosce se lo tiene per sé, perché la bellezza di questa montagna senza contingenze ti richiama verso l’infinito e verso la paura. Di guardare di sotto, di aspettare che la notte diventi notte e di guardare quegli animali al pascolo contendersi il possesso della montagna. Perché qui si fa formaggio da centinaia di anni e il sistema malghe è uno dei meglio strutturati dell’arco alpino. Si possono fare i maggenghi, le erbe sono in abbondanza e Valsugana e Val di Fiemme tengono per sé tutte le contraddizioni dell’estate in quota. Questa è una montagna facile che ha ancora il vezzo dell’illusione. Privati, clero, feudi e comuni. Qui la faccia dei malgari è sempre passata da scelte altrui. Il possesso è un fievole affitto da condividere in sussistenza, portando su le vacche degli alpeggiatori in contumacia. Continue reading Lagorai: un malgaro iconoclasta… Marco Pompermaier