Catania. Una giornata ricorrente dove il tempo del porto non è più un’esigenza ma una mostra, in cui rifugiati e murales sovrappongono la propria contraddizione. Oltre il centro, superate le bracerie di carne di cavallo, i palazzi rilucenti e l’industriosità agricola della deterrenza, Catania appare come una terra di conquista, uno di quei luoghi dove sembra possibile l’idea stessa di avanguardia. Sia per il passato necessario e assolutamente traslato dal luogo comune (leggasi Uzeda), sia per il futuro punto di riferimento di un’isola che si è sempre ritorta sul concetto di privilegio, non privilegiando mai il format sacrificio. Ecco, proprio qui, Valeria Messina ha potuto cambiare vita e dedicarsi ad una ricerca.
Era un avvocato, aveva una famiglia naturale importante alle spalle (come tutte le famiglie, assenti o presenti che siano), ma soprattutto un’acquisita con la storia dentro i cereali antichi, la stazione sperimentale di granicoltura di Caltagirone e la riscoperta di un dovere. E così è nato Biancuccia, un luogo dove si lavorano esclusivamente cereali siciliani (Del Ponte e Soprano… unica concessione la segale), realmente cereali siciliani, veramente cereali siciliani, visti-con-i-miei-occhi cereali siciliani. Non ci sono farine da battaglia, comunicazioni fuorvianti, collettività abindolanti e poi, dietro la facciata, i crostoni di calce farinata… qui c’è solo quello che inseguo. E si arrivano a fare anche cento kili di pane al giorno, nei giorni in cui il tempo libero della gente è inversamente proporzionale a quello di Valeria.
Perciasacchi, Tumminia, Russello, Maiorca, pani speciali, seguendo i giorni, in due tra laboratorio e vendita, biscotti straordinari, filologici, territoriali, reali, con gli ingredienti al posto giusto, qualche concessione al salutismo modernista e una chiusura al palato sempre tra il friabile e il sapido.
Poi dal nulla, dall’atavismo cerealicolo familiare e siciliano, Valeria tira fuori una copia di un libello straordinario, il Panificio Trasparente, con le indicazione su come, dove e perchè aprire una bottega. In bianco-nero e come adesso, il tempo non ha scalfito granché la motivazione che dovrebbe rimuovere l’abbandono del necessario. Perché, al di là della tecnica, dei maestri, della capacità di proporre un pane “di ricerca up-to-date (aaahahahaha muoio!)”, qui il desueto pane fitto, la sicilianità buona del cereale al di là di tutto, ha convertito sapientemente i dettami del passato in propositi per il futuro. Piccolo, curato, femminile, con grazia. Al pane, alimento basico che ancora si salva dal gourmet come forma di rassegnazione al prezzo, basta un luogo…
FORNO BIANCUCCIA
VIA SANGIORGI 12
CATANIA