À la recherche du Tourtière perdu… Lot et Garonne

tourtiere

Il paese delle prugne. Il Lot et Garonne è una regione a metà strada tra il Perigord e il mare, tralasciato dai flussi turistici. Campagna, belle fortificazioni, paesini silenti che alle dieci di sera spengono luci e voci, e un substrato di produttività che rende tutto gastronomico. La porta di Agen, città senza infamia e e senza lode, è quella della ricerca delle Pruneaux, prugne essiccate lavorate con Armagnac, limone, crema e in qualunque maniera possibile e immaginabile, caratteristicamente diverse dalla tipica e insopportabile consistenza collosa. Boisson è un ottimo indirizzo dallo charme intatto nel corso del tempo. Ma Agen non ha bisogno di tempo, così si può ripartire per luoghi senza principio. Direzione Bordeaux, Port Saint Marie e diramazione a destra nel nulla, alla ricerca de La Roc e di un personaggio straordinario, degna propedeutica per l’unica vera motivazione che mi spinge in quelle valli.

Jean-Francois Berthelot è un panificatore contadino anzi un contadino panificatore dove la preminenza di definizione è data alle sue colture. Duecento tipi di cereali da tutto il mondo. Dalla Calabria alla Cina passando per le antiche varietà locali. Dal monococco alla segale, dal grano duro al grano del faraone. In mezzo a quelle piantagioni, dove le varie tipologie sono segnalate da cartellini scritti a mano, il recupero della biodiversità fuoriesce dagli schemi dogmatici e assonnati dei parolai italiani. Qui si fa veramente cultura e non tanto per un principio di bontà ma per uno di integrità dove le varie dimensioni vengono riprese e miscelate, per dare struttura agli impasti, alle macinazioni e alle pastificazioni. Perchè Jean-Francois ha un mulino a pietra assolutamente poco folkloristico, moderno e funzionante, due forni estetici e un figlio che ha iniziato, lontano da qualunque filologia, a produrre la sua pasta. In mezzo filari di alberi da frutta, dei più diversi, varie leguminose, recupero di antiche tipologie di ceci e di lenticchie, un mais da polenta, un olio di cardo (cartamo) e uno di girasole. E lì la rivoluzione si compie del tutto. Al di là dell’antichità, dei grani, dell’estetica e delle varie cascine, nell’olio di girasole, i francesi sono arrivati alla piena maturazione delle proprie compulsioni reazionarie. Qui si vedono le differenze, il disinteresse verso una coltura lontana, l’olivo, e una forma mentis che non deprezza quello che è uno strepitoso prodotto territoriale, estremamente più utile alla causa artigiana e particolarmente economico, anche nella sua versione migliore.

Noi siamo ancora lì a sostituire oliva e semi in ricette dalle connotazioni terribilmente rancide o marinate di mare. Perché, avendo avuto troppo, ci siamo macerati nell’assenza di pensiero.

Torniamo al motivo del viaggio. La ricerca di un dolce mitologico. La Tourtiere de Lot et Garonne è qualcosa ben al di là dell’umana difficoltà. I tavoli infarinati si tramandano, i pasticceri han smesso di farla da anni, economicamente inaffrontabile, quello che rimane sono le giornate di festa e un passaparola che nell’anzianità rivela sempre il suo principio. Così arrivo a Villeneuve sur Lot con un’idea. Chiaramente frustrata. Trovo due ragazze cortesi all’ufficio del turismo che confermano i miei sospetti sulla difficoltà, corroborando la mia unica ingenua possibilità. C’è una fattoria che la prepara su ordinazione. Ecco, mi disinteresso della distanza. Mi lascio sdilinquire da castelli e vigneti, mangio uno straordinario paté di fegato all’Auberge du Brelan, dove un giovane cuoco-pasticcere sta cercando la grazia in mezzo al nulla, e vado a letto fremente.

Ferme des Tuileries a Fongrave. Elodie Chauvel non è un’anziana del posto dal lento saggio al posto del disprezzo, è una ragazza che ha imparato il mestiere grazie al tempo. Contadina e artigiana. Coltiva frutti antichi e prepara la tourtiere. Nessun grasso, se non una punta d’olio, zucchero, mele, farina, vaniglia, Armagnac e una sfoglia da far impallidire Carême. Un tavolo di tre metri per due e uno spessore infinitesimo. Nella preparazione si vede il tavolo. La bellezza del risultato finale è appagante. Cinque giorni di conservazione e un sovrapporsi di strati che deflagra l’immaginazione. Ecco il mio Lot et Garonne. Ecco la Francia nella sua inventiva più fulgida…

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *