Buen Retiro

Romagna. La puzza di pesce nelle sale delle colazioni e le piadinerie che millantano cagliate congelate per fontine d’alpeggio, erbette e squacqueroni per quel pasto di cui non si può fare a meno, sono ineluttabilmente legate a quel mondo di ombrelloni, bagnini, lungomari e tanti, ma tanti, al kilo. Qui, le cozze, accompagnate al pata negra, il flute tenuto in mano da starlette in declino o da caldeggianti zoccole sono all’ordine delle serate. Qui scompare la qualità. Almeno d’impatto. La riviera romagnola è un luogo losco, impomatato, anacronistico, dai piedi ben piantati per terra. Gli artigiani sonnecchiano o si allontanano verso la collina. Quelli che rimangono, tingono i negozi luxury di fucsia e nero e si fanno chiamare pastry chef. Non ci sono reali motivi che spingono alla qualità. Non ci sono quelle mezze misure dove far fiorire una dote. Per questo e mille altri motivi, io adoro la Romagna. Una terra di contrasti, un posto che col mare ci azzecca il giusto. Privo del fascino delle banchine, privo di puzza di pesce, privo della portualità da albatros o da quella mittel-europea da docks. Il mare è lì, ma potrebbe anche non esserci. La spiaggia è quel centro commerciale che si porta via tutto. Attività, amori e deliqui notturni.

Ma basta spostarsi qualche kilometro e la conformazione diventa tortuosità, una terra di sirene e non di bellezza. Si sentono vicini i comuni scissionisti, quelli che hanno preferito Rimini a Pesaro, si sentono echi marchigiani di genuinità ed emotività.

Qui, un oste-mecenate ha preso i produttori e li ha messi nei piatti. Ma senza i belletti delle tv futuriste, senza l’improvvisazione gergale da kilometro-zero o da “Noi lavoriamo il territorio”, mistificati dietro il listino prezzi di Selecta o di Jolanda de Colò. Qui, c’è veramente un ristoratore che ha chiuso i conti con gli “alleati di talento” e con i cibi preziosi. Mauro Ricciardelli è locandiere, oste, cuoco e agricolo. Fa alzare le temperature di coagulazione ai casari, ritira le forme “invendibili”, sperimenta nei suoi forni i salumi cotti di mora romagnola, stagiona salami, produce olio e raccoglie verdure. Il tutto con garbo ma senza eccedenza. La Locanda Belvedere è un posto equilibrato, dove gli chef-ideologi tornano organizzatori di eventi e studiosi del lievito madre, dove l’arte, grazie a Francesca, può tranquillamente abbandonare i piatti e riprendere le sembianze di un vaso o di un lampadario, dove un parto rimane il parto e dove origini slovene-romagnole si trasformano in quell’ospitalità che non ha bisogno della forma per apparire come progetto. Le fatture e la crisi economica non hanno preso il posto degli artigiani. Facce, nomi e sudori.

Annnarosa Nonne e Andrea Preci coltivano il cardo e creano formaggi di pecora straordinari. Senza cognizioni o astrazioni. Ogni volta è già una nostalgia.

Giovanni e Matteo Zavoli nell’antitesi trovano la soluzione per dei salumi da notti di veglia. Quindici tipi, venti tipi, cento tipi, cereali, olio, macinazione a pietra. Il tutto con lo charme, a metà strada tra il tamarro e il cavalleresco, di allevatori originari. Con quel gusto tranciante che non ha precursori…

Vittorio Beltrami è senza definizioni, perchè è sempre oltre…

Luigi Mancini ha trasformato una falesia in una vigna. D’impareggiabile bellezza. Il resto è etica e giudizio.

Quello che c’è d’altro è di Mauro, di Francesca, di suo padre, di sua madre e di suo fratello. Un posto premuroso…

 

LOCANDA BELVEDERE

VIA SAN GIUSEPPE 736

SALUDECIO (RN)

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