Capre, possibilità, abbandono e sostenibilità… Marco e Debora Valtolina

Galbiate. Il paese dei demagoghi. Suddiviso tra la poesia volgare manzoniana, con quel lago di Garlate ad imprimere educazione, con i suoi conventi, i suoi moli e i suoi barcaroli, e la poesia eco-manichea di Adriano Celentano, che di questi boschi civilizzati ha fatto il suo quartier generale. Si respira aria di divise scolastiche e forni da merenda. Molta educazione, molta formazione, quel po’ di snobismo applicato alla perfezione ad una voglia di catechizzare. Qui, la chiesa, insieme ai suoi poeti, ha costruito ed erudito. Gli artigiani rimasti, quelli con voluttà da fuga dal mondo, non hanno trovato il selvaggio ma un selvatico edulcorato dall’urbanizzazione, dal conto in banca gonfio e dallo scialle di lino intorno alle spalle.

Galbiate è un paese in salita, diviso tra due laghi, con una vista fuori dall’ordinario e i boschi che salgono verso il Monte Barro a suggellare il tutto di serenità. Ma l’angoscia delle facce sospette, dei cammini sepolti, degli eremi nascosti, non riesce ad abbandonare il colore verde di una vegetazione a metà strada tra la montagna e la città. La scheggia impazzita, dei tronchi e dello stress lavorativo che inurba la collina, mi ha sempre generato quella paura da foglie cadute su strade senza fine, chiuse, misteriose.

Così arrivo al posteggio del ristorante Eremo San Michele, dove una struttura simil-stalla mi fa andare avanti a piedi.

Una macchina, con sul tetto due bambini, mi fa sobbalzare. Forse sono arrivato nel posto giusto. Una ragazza timida, assolutamente educata, quasi vereconda verso una mostrazione che vorrebbe essere diversa, mi stringe la mano, non acquietandosi nella semplicità. Rispetto e deferenza sono le uniche sovrastrutture che andrebbero insegnate. Debora è di un’umiltà da occhi lucidi, ha un istinto materno di naturalezza e fiducia da modello da prendere in prestito.

Stalla e caseificio rappresentano l’inizio di un progetto che ha solo sette anni (e per il formaggio di capra sono nulla…). Niente pascolo e struttura da rimettere a nuovo. Ora sono in affitto, con moralità e istinti che chiamano altrove. Marco si sposterebbe volentieri in alpeggio, magari in Valtellina, Debora vorrebbe rimanere vicino alla famiglia giù in Brianza. Galbiate è una via di mezzo che non permette la quotidianità di un casaro e di un allevatore. In certe situazioni, casa e lavoro, allevamento e pascolo devono essere tutte compresse. Non esistono vacanze, esistono solo periodi di asciutta, ma l’abbandono dionisiaco mai. Questa via di mezzo, con una meravigliosa vista sul lago, si chiama affitto. La ricerca di una nuova stalla, del legno, dei terreni e della pace non possono prescindere da possibilità ed entrate, quelle che in una terra divisa e malsopportata, come quella lariano-brianzola, sono un lusso.

Passo indietro. Il caseificio è impervio, così come le celle di stagionatura, la stalla è chiusa su settanta capre di razza camosciata, qualche coniglio, e un’improvvisata vacca frisona. La pulizia è ragguardevole così come la bellezza di capre e becchi. Marco, unico gestore, allevatore e caseificatore, arriva a conversazione quasi finita. Va subito dalle sue bestie e dimostra una timidezza candida, quasi bella. Uno di quei volti antichi, rubizzi (ancorchè il rosso delle gote rimanga più nell’immaginazione che nella realtà) con il sorriso fiero dell’emancipazione. Da operaio ad allevatore… e credo, fermamente, che la strada non sia finita.

I formaggi hanno dei pregi e dei limiti, dovuti ad alimentazione e libertà. Le cagliate lattiche, nel fresco, sono molto meglio all’assaggio che al naso. Il latte crudo, sviluppato con poca acidità, rilascia, alla lunga delle note estremamente piacevoli. Poca stalla, pochi fiori e poche nocciole, ma equilibrio gustativo. La stagionatura, precipua occupazione di Debora, dipana due strade principali: quella dello stracchino – giovane è un primo sale dove la salatura è un filo fuori controllo, stagionato è una robiola-taleggio, a cagliata presamica, controllata, piacevole, pasta morbida ma non sciolta; sentori di grotta umida, quasi burroso -, e quella della proteolisi. Un po’ il caso, un po’ l’ambiente. Il sotto crosta è molto proteolizzato, crosta fiorita, pasta mantecata (anche nella versione con lo zafferano… molto lontano da quelle lande…) e bianco lucente. I sentori sono amarognoli, per niente salati, con un’ottima masticabilità, per nulla ciccosa. La degradazione delle proteine ha mantecato, ma non sciolto. La Francia è lontana, così come la copia. La precisa edibilità del formaggio è ricercata ma non ancora del tutto trovata. Un erborinato, in nuce, ne è la prova più tangibile. Il penicilium non attecchisce dove dovrebbe, rimangono solo il piccante e il persistente. Le basi ci sono, mancano i dettagli, il contesto e il contorno.

La cultura della capra, che la pone sempre sotto l’egida della scelta, è una sentenza già passata in giudicato. Debora e Marco, che sogna ancora l’alpeggio, la distanza e la mungitura genitoriale, hanno gettato una richiesta. Coglierla è l’attimo esatto in cui mi metto in macchina, guardando, dallo specchietto retrovisore, il volto di quei bambini, del nonno, di una famiglia che ha scelto di non deporre le armi, di continuare a gestire il ribellismo figliare verso uno stato-laico coi sentori dell’assenza e dell’abbandono. Non si possono regolamentare i sogni, creare pascoli, trovare affitti e riuscire a sorridere al di là della finestra della camera da letto, mentre si guarda il gregge brado, però si può educare al ricordo e alla permanenza. Dei luoghi e delle persone… Debora e Marco rappresentano un lascito del nostro passato contadino, quattro occhi e un’umiltà a cui va concessa la terra… ecco tutto…

 

AZIENDA AGRICOLA VALTOLINA MARCO

LOCALITà ALPE CASTELLI

GALBIATE (LC)

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