Cascina Rossi: una commistione di generi… Stefania Bozzo Poggio

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Oviglio è un castello che deflagra in una pre-collina, in cui il selvatico è l’unica forma di comunicazione. Qui il coeso è una macchina, una stradina e un profumo di bosco che riempie qualunque passione. Da queste parti ci sono ancora ristoratori che hanno il coraggio di restituire i galloni, per tornare a mangiare con i clienti che li hanno creati, ritrovando il tempo perduto. Se in cerca di una riflessione v’imbattete in queste tartufaie naturali, dove il romantico ha il volto della decadenza e non della tendenza e dove il turista è l’eccezione e non la regola, allora potete rimanere a costruire il nulla per una giornata intera, spostandovi da un sagrato ad una macelleria fino ad un bosco di querce: alla ricerca del tempo libero, in quel rumore silenzioso che è molto più vicino alla metropoli di quanto si possa immaginare. Qui è difficile concentrarsi, mancano i punti fermi dell’eccentrico, è un luogo di noie piacevoli che non può portare che artigianato.

Stefania Bozzo Poggio è una persona che si intuisce dal volto, non si può confonderla, non si può rimanere annebbiati. Ha quella verità difforme che occhi e guance non possono fare altro che corroborare, esce da un viaggio che una vita sarebbe troppo breve per racchiudere. A partire dalla culla per arrivare in quella gerla che suo padre Quirico, 72 anni, porta da sessantanni su in alpeggio a Rima San Giuseppe in Alta Valsesia. Estate in malga e inverno a fondo valle, con quella transumanza stabile, fatta di prati e piccole coltivazioni, che nella piana vercellese han sempre funzionato. Poi il rinnovamento e gli affitti cambiati. Così Stefania, insieme ai suoi due figli e a suo marito Massimiliano, consulente finanziario, han deciso di trovarsi un posto loro, una cascina, con dei comfort cittadini e una ruralità da ettari di pascolo, cereali da piantare, stalla e caseificio.

Così, senza indicazioni e senza preclusioni, mi ritrovo a Cascina Rossi tra una vacca bruna alpina e una cantina di stagionatura ricoperta di volte e pietre, in un agreste che è molto più di una dedizione. Stefania (insieme a Quirico d’inverno) munge la mattina e fa il formaggio, munge la sera e fa il formaggio. Non ci sono distrazioni, gli animali sono una dedizione. Una toma come il Maccagno, una ricotta e un burro di siero. Niente altro, nessuna invenzione e nessuna sofisticazione. I sapori sono quelli del latte, delle muffe e delle cantine. Qui si lavora sul fresco in caseificio e sullo stagionato su assi di legno sprofondate tra lieviti e acari. Non ci sono eccezioni…

Quirico è l’emblema di ciò che ancora ci rappresenta nel mondo. Senza sofismi e senza perbenismi. È un uomo che tiene in mano un artigianato che non possiamo, pena la perdita della nostra peculiarità, né disperdere né trascurare. E così il grazie deve necessariamente diventare la possibilità di un insegnamento e di un ripensamento in chiave moderna di un alpe fiera e nitida.

Il Maccagno d’alpeggio è straordinario, pieno, giallo, proteolizzato, con le occhiature a feritoia e assolutamente estetico. L’amarezza è solo quella delle erbe, il resto è latte e cambiamenti di stagionatura. Quelli fatti in cascina, di varie pezzature e forme, sono più rapsodici, hanno della acidità da far affinare e, a volte, un amaro da entusiasta metropolitano a contatto con le croste fiorite.

Stefania e Quirico hanno una realtà di fondo che può anche accordarsi con un economista metropolitano, capace di creare e spiegare i soldi, che, probabilmente, ai suoi clienti porta in dono delle tome, formatrici subitanee di empatia e coesione. E così deve essere. Se io affidassi i miei soldi al marito di una famiglia di alpeggiatori, mi sentirei particolarmente tranquillo… ma anche se dovessi scrivere di una famiglia di alpeggiatori che ha sposato un consulente finanziario… e così è ed è stato… Cascina Rossi è un luogo sereno in cui seppellire i peccati…

CASCINA ROSSI

REGIONE BOSCHI

OVIGLIO (AL)

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