Tra gelateria e lievitazione, soluzioni polimorfe… Ivan Gorlani

Tra Monza e Verolanuova. Su quella Bre.Be.Mi. priva di senso e di macchine, la pianura non ha più un trascorso, le attività sono state divelte, il passaggio non è stato nemmeno alterato, ma definitivamente incastrato all’interno di una logica urbanistica che nella pianura ha visto solo terzo Paesaggio. Frammenti indecisi e migratori che non hanno più nulla di stanziale, dove si pagano pedaggi per allontanarsi e avvicinarsi al terzo Stato, a quella borghesia commerciale centripeta e costosa. Così Monza, satellite eletto, può ben rappresentare un nuovo luogo di fuga, una nuova maniera di vedere l’ineluttabile e il non circondabile. In queste città di provincia, che sono monumenti del mai portato a fondo, si possono ben spendere i propri soldi nei mesi invernali e ormai nei mesi estivi. E non ci si chiede più quale desiderio possa percorrere decine di kilometri in mezzo alle brume. L’espansione è un atto di vicinanza. Continue reading Tra gelateria e lievitazione, soluzioni polimorfe… Ivan Gorlani

Ai Piani di Bobbio si può anche alpeggiare… Simone Bergamini

Piani di Bobbio lontano dal fracasso sciistico. Meno accenti milanesi e meno presunzione, una ferrovia che porta su, una montagna facile, che spiana, che non gela troppo e non si allontana dai sentieri, luoghi che si sono trasformati in rifugi dove folklore e polenta sono diventati l’ultimo dei retaggi. Chi voleva lavorare, trovando erbe da pascolo e non da trekking, si è dovuto spostare altrove, in valli laterali più portate e più pronte a ricevere sudore al posto delle borracce. Ma come tutte le regolarità, anche qui c’è la necessità di qualche eccezione, un paio al massimo, forse una. E così appaiono delle pezzate rosse al pascolo, dei massi, qualche fiore e delle stanze di caseificazione. Qui Simone Bergamini ha deciso di trascorrere le sue estati. Continue reading Ai Piani di Bobbio si può anche alpeggiare… Simone Bergamini

Il casaro speleologo… Dario Zidaric (di Laura Filios)

A destra l’Adriatico, piatto e lattiginoso, a sinistra le vie che salgono fino all’Altopiano. A metà strada il profumo di salsedine che inizia a confondersi con quello dei boschi. Querce, frassini e betulle. Il Carso è una conformazione geologica, grotte che corrono sottoterra per chilometri e chilometri. Ciò che per qualcuno è l’inizio per qualcun altro è la fine, e viceversa. Ma anche uno stato dell’anima. Forse ancora di più in provincia di Trieste, terra di confine tra mare e montagna, Italia e Slovenia, Storia passata e presente, tra sopra e sotto. Ed è proprio “da sotto” che arriva uno dei formaggi più unici che rari del panorama caseario italiano. L’inventore è Dario Zidaric, “colui che entra in grotta”, proprio come il suo “Jamar”. Continue reading Il casaro speleologo… Dario Zidaric (di Laura Filios)

Monte Agrella: quando basta uno sguardo… Attilio Melesi e Mirko Vittori

Primaluna. Al confine tra una natura che ancora si adopera a mettere radici e un modello fabbrica tra lo sbiadito e il sepolto. La Valsassina è una valle incompleta che i milanesi hanno tentato in tutte le maniere di rendere più gretta mentre i locali l’adattavano ad un’operosità che, nel taleggio, nella sua promozione e nella sua irrispettosa prepotenza, ha avuto la sua più concreta rappresentazione. Queste, ormai, sono strade di compratori di formaggi padani, finte grotte e affinatori dal fermento lavato. Bisogna impegnarsi per andare oltre lo sproposito, tornando alle cose semplici, all’allevamento e all’agricoltura, bisogna mettere da parte la necessità del ritrovo comune, per fuoriuscire dal coro, magari attraverso coltivazioni tradizionali fatte con un garbo diverso, magari semplicemente con degli sguardi più autentici. E stavolta sono fortunato: ne trovo due. Quelli di Mirko Vittori e di Attilio Melesi, giovani rutilanti… Continue reading Monte Agrella: quando basta uno sguardo… Attilio Melesi e Mirko Vittori

Pastori sardi nella Romagna Toscana… Salvatore Urrai

Tra Tredozio e Marradi, sul confine tra Romagna e Toscana, al culmine del Monte Collina, definizione perfetta per modi ed altezze, una strada bianca di tre kilometri squarcia bosco e cielo, lasciando l’impressione di un orizzonte giallo ocra. Mentre il sole cala e i dialetti vanno a farsi benedire, i territori di Tredozio e di Marradi scompaiono tra gli stessi volti palindromi. Qui l’identità è una cosa sfuggente che è sfuggita di mano. Si sale da Faenza, s’incontrano frutteti a perdita d’occhio, la valle si chiude, non si superano i 300 metri ma s’incomincia ad annusare la montagna. Le ombre creano il disincanto mentre si arriva a Tredozio; tra il fiume, le case in pietra e i giardini all’italiana, si superano i ponti e si cambia regione. Le strade bianche segnano il passaggio, l’assenza di cartelli e la vaghezza del bosco fanno il resto. Qui, fino agli anni ’20 era tutta Toscana. Una Toscana isolata, al di qua della soglia, dove il sole batteva altre necessità. E così gli abitanti della valle del Tramazzo, al di fuori delle vie di comunicazioni, han sempre cercato di sovvertire l’ordine costituito. Ci ha pensato Mussolini a mettere il punto. Tredozio entrava a far parte della Romagna insieme ad altri dieci comuni, per due ordini di motivi: ingrandimento del territorio e inclusione della sorgente del Tevere, “fiume sacro ai destini di Roma”, all’interno della provincia di Forlì, la stessa che ha dato alla luce il Duce. Continue reading Pastori sardi nella Romagna Toscana… Salvatore Urrai

Agricoltura biologica per uscire dal folklore… Mila di San Bonifacio e Federico Trombetta

Fano. Villa Giulia. Appartato dalle mura, dall’indefinito e dal mare ferroviario, in un accenno di collina a tre chilometri dal centro. Con una vista sull’Adriatico dove i colori petrolio vengono sfumati dalla lontananza e gli alberi di ulivo dai campi arati e dalle colline, l’agricoltura dovrebbe essere la prima delle missioni e la più spontanea delle resistenze. La Valle del Metauro, nonostante inizi a puzzare di bitume e di sandali, si schermisce ancora davanti al selvaggio. Rimane un passo indietro, antropizza ma con raffinatezza, tra una strada dissestata e un susseguirsi di curve, circonda tutto con rispetto e vista. Questi luoghi rendono ancora le Marche degne di non essere riconosciute. Continue reading Agricoltura biologica per uscire dal folklore… Mila di San Bonifacio e Federico Trombetta

Il Pergolato Dalla Maria: piadina sfogliata e tagliatelle con i fagioli… Maria e Antonella Manna

Novilara. Pesaro. Borgo murato vista mare con tendenze verso Fano. Il caldo soffocante, le strade in salita, gli ulivi che degradano in campi coltivati e boschi rendono l’atto una necessità. In luoghi come questi, le vie grigie sono sempre meno sfumate, c’è il manicheismo da villaggio ricamato, dove è tutto in posa quando serve e quando non serve è difficile trovare qualcuno che condivida la tua lingua. Così, farsi sciogliere le caviglie dal cemento – andando alla ricerca di qualcosa di immediato che, alla stessa stregua di una lisergica fata morgana, scompare nel tentativo di attirarla a sé – sembra la cosa più semplice. Nonostante il medievale ripreso. E così già che ci sei, butti un occhio e cerchi l’ombra. E cosa c’è di meglio, in un afoso mezzogiorno agostano, di un bel piatto di tagliatelle con i fagioli? Della cui sopra necessità non si fa beffe nessuno, siamo a Novilara per scaldarci davanti alle fiamme della signora Maria, oltre ottant’anni e una resistenza da mezzofondista… Continue reading Il Pergolato Dalla Maria: piadina sfogliata e tagliatelle con i fagioli… Maria e Antonella Manna

Lou Pan abou Pasioun: pani antichi in Valle Maira… Diego Garnero

San Damiano Macra. Valle Maira appena accennata, architettura strettamente piemontese, nessuna concessione al di più, acciugai e montanari che si scambiano le stagioni e un patrimonio incordato, preda selvaggia di guerriglieri e speculatori. L’antichità è un sentimento represso che non fa parte nemmeno più del linguaggio, l’occitano appare come forma di preponderanza e come mezzo di esclusione. Sono i giovani ad aver bisogno di accendere fiamme e di subire racconti, altrimenti, per esclusione, qui si perdono cento abitanti ogni dieci anni, le persiane si chiudono e le attività devono accontentarsi del viandante, quello che si ferma sulla parola tipico, che non si guarda troppo intorno e che antepone la meta alla sorpresa. Così, in un incrocio, la strada di un vecchio panettiere, con un figlio infingardo, che aveva deciso di chiudere bottega, e quella di due ragazzi di Busca, alla ricerca di uno stravolgimento genealogico della propria esistenza, si sono incrociate nell’unico forno a legna rimasto in tutta la valle. Continue reading Lou Pan abou Pasioun: pani antichi in Valle Maira… Diego Garnero