Circoli chiusi e circoli aperti del miele… Sergio Zipoli

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Romanengo. Pianura cremonese. Nient’altro che provincia, qualche casa bassa, un macellaio star, un sistema di cascine, rotazione colturale, case basse e foto in bianco e nero. Questo è un orizzonte ormai consumato, non ci sono più fascinose oasi di quiete in cui fermarsi per contemplare l’inverno. Sembra un senza-paesaggio di Paul Morand. L’ascesi della Bassa qui è stata perversa, piegata ad una volontà di hinterland e di riposo dove si vive tra serenità e misteri. È un buon luogo dove ritirarsi dallo stress lavorativo e far crescere i propri figli. E così uno ha anche del tempo per crearsi un’attività e per provare a fare della qualità al di là dell’apparenza.
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Il droghiere che fa il pesto… Roberto Panizza

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Genova è una città offesa, che ha subito l’incuria di una posizione che non è mai stata trasformata in una situazione. È una città portuale, montana, collinare, pretenziosa e sentenziosa. Ha l’anima del dialetto ed è nascosta dietro l’esigenza di mostrarsi. Non puoi non accorgertene, è troppa in tutti i sensi, nonostante l’incuria, le buche, il sovrappopolamento, i grattacieli più bassi d’Italia, l’effetto domino delle case popolari, l’antitetico sguardo sempre cantato, già conosciuto, già sentito. È una città talmente scritta da non rivendicare più nulla. Il fascino delle prostitute, dei caruggi, delle tipicità, delle case diroccate e della puzza di pesce non ha nulla di invidiabile fuori da qui. Ma questo è un luogo fuori dalla discussione, fuori dall’opinione e fuori dal luogo. Alzare lo sguardo è sempre un’architettura sovrapposta, sporca, atemporale. Abbaini napoleonici, finestre marinare, colori pastello, vicoli senza uscita, piazze disarmanti. Ma gli sguardi sono intramontabili e lì la dedica non è tardata ad arrivare. Senza massimizzare il cemento, i morti di Staglieno se la spassano meglio dei vivi della Val Bisagno. E Genova attutisce tutti i contrasti con la tranquillità del lungo corso. Continue reading Il droghiere che fa il pesto… Roberto Panizza

La trasformazione del frutto antico… Paolo Pagani e Anna Maria Messetti

QUIRINUS

Comune sparso di Curino. Bordo della Val Sessera. Qui le prealpi non sono nemmeno più una definizione. Questo è un pezzo di provincia biellese, nascosto, disabitato, in cui la conoscenza rappresenta un vezzo di pochi abitanti e procacciatori di uccelli. Umido e buio fanno il resto. Il navigatore si perde in mezzo a quelle frazioni e a quei cantoni che di un paese hanno lasciato una memoria fatta di accenti agonizzanti e affreschi su pietra. Qui, le dominazioni hanno reso tutto meno manifesto. Dall’imperatore alla curia, gli abitanti di questi luoghi, che dei Celti si portano ancora dentro la morfologia emotiva e la fisiognomica della ribellione, rimangono schivi ad aspettare la somiglianza con il giorno prima. L’identità è un principio di qualità nascoste. Posti selvaggi che hanno ancora il pregio di stupire con una vista senza obbligo. Equidistante da tutto, dalla Valle d’Aosta come dalla Baraggia, Quirino può accoglierti con una strada senza uscita oppure con la vista della casa di Paolo Pagani e Anna Messetti. Un frutteto in discesa, delle manze al pascolo in mezzo agli alberi, una vista rudimentale e una vegetazione che ha terminato di declamare. Il tutto sotto un sole che illumina e non scalda. Una meraviglia in cui rilassarsi è molto più che dovuto. Continue reading La trasformazione del frutto antico… Paolo Pagani e Anna Maria Messetti

La magnificazione del pomodoro… Famiglia Lucifora

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Chiaramonte Gulfi. Piano dell’Acqua, una delle tante contrade nascoste sotto i teloni dell’uva da tavola. Il confine con la provincia di Catania alza la vista sulle serre e incomincia a vorticare in tondo e in discesa. La provincia di Ragusa rimane protetta su un altopiano, come a differenziarsi. Due di un pomeriggio agostano. La religione della pennica è molto oltre questi luoghi, il silenzio è un silenzio macchiato. Il fraintendimento diventa attesa. I frantoi non danno più nemmeno sollievo. Così le foglie di una pianta di fico sono il messaggio più chiaro della provvidenza. Frutti caduti, essiccati al sole sui gradini di scale impiastricciate, dove la tentazione della mano appiccicosa è talmente lusinghevole da non avere antitesi. Le aziende sono un contrasto di prefabbricati nascosti e cancelli arrugginiti dietro cui lasciare sbattere i soliti due cani denutriti. Piano dell’Acqua è autosufficiente ma non dà mostra di sé. È difficile andare oltre le foglie, è tutto molto solidale con l’orario. Una panca di pietra, operai senza etichetta e Giovanni Lucifora che spalanca le porte della sua trasformazione… molto complessa da trovare. Ecco il nascondimento di chi non fa olio. Continue reading La magnificazione del pomodoro… Famiglia Lucifora

Autarchia siciliana… Giovanni Parisi

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Scicli. Territorio di Scicli. Muretti a secco vista mare, strade senza indicazioni stradali, ulivi e carrubi. Tra Donnalucata e Sampieri il mare è una questione di stime. Qui, Montalbano ha preso le case diroccate e le ha trasformate in pentole piene d’oro. In meno di vent’anni. La fornace Penna, o Pisciuottu per gli abitanti della zona, è stata la volontà di potenza del Barone Penna che, ad inizio Novecento, ha cominciato a produrre laterizi a bordo del mare. Bruciata vent’anni dopo, è rimasta lì, archeologia industriale di potentati folli che avrebbero potuto costruire anche sopra le onde. Fascino codardo, tempio del lavoro e ciminiera molto oltre qualsiasi decadimento. Questo è il nostro tempo e il nostro abbandono. Lasciare Sampieri, il suo mare e i suoi forni presi dalla vegetazione, è un’imposizione. Giovanni Parisi è l’obiettivo di un territorio che comincia a mostrare le prime serre e le prime contrade senza definizione se non data da qualche curva. Continue reading Autarchia siciliana… Giovanni Parisi

Un agronomo che fa l’agronomo, l’agricoltore, l’apicoltore e il forestale… Guido Calvi

GUIDO CALVI

Edolo. Un paese che divide la Valle Camonica delle aziende, delle dighe, dei centri commerciali e dei trafori, quella troppo larga e inquinata per dimostrare di non essere sotto scacco, dall’alta valle. Una galleria in pietra bagnata, le strade si stringono e cominciano i tornanti. In mezzo… tra le montagne che delimitano la Valtellina e il gruppo dell’Adamello con i suoi ghiacciai, le sue centrali idroelettriche e i suoi boschi di abeti che non smettono mai di togliere il fiato. Edolo è in mezzo. Ha le costruzioni della città di frontiera e del paese da cui fuggire ed è un centro di passaggio circondato da pendii. Uno di questi è la mia meta. La solitudine svanisce con l’incidenza di una macchina abbandonata in mezzo ad una strada troppo stretta per essere vera. Così Guido Calvi mi carica e capisco cosa vuol dire romitaggio. Qui non sale nessuno, non c’è speranza, la strada non è difficile è impossibile. Passano solo due tipologie di automobili e le frizioni non hanno possibilità. Continue reading Un agronomo che fa l’agronomo, l’agricoltore, l’apicoltore e il forestale… Guido Calvi

Il ri-conoscimento di una stupefazione… Noris Cunaccia

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Val di Borzago. Quattro kilometri sulla sinistra di Spiazzo. Poche curve e il cellulare non ha più campo. La solitudine diventa baita e abitanti, un’accoglienza turistica, una bandiera, un campo di mirtilli, abeti a non finire e un fiume che cambia con i colori e con le luci del cielo. I sassi sono questa valle di acqua e felci. I colori non comprendono nulla, sono lì nell’infittirsi del bosco che sale sempre più fino al ghiacciaio del Carè Alto, quello che diventa rosa e luna, domina tutto, impedisce distrazioni e ammanta il sotto-messo-bosco di colori e visioni. Verde, giallo, viola, il rumore del fiume, le felci che sembrano la corona di un re che si sta schiudendo su quella che non è quasi più primavera. La montagna non ha ricordi e non ha compromessi. È tutta lì in quella valle. Senza patine, senza luoghi del desiderio, senza sguardi melliflui onnicomprensivi di tintarella, puttane e gatti delle nevi. È lì, in quanto necessaria, è necessaria in quanto irrealizzabile. E così non ha contraddittori e nemmeno antinomie. È una valle di fiori e di persone al di fuori di qualsiasi speranza. Perché è concreta, ha i piedi ben piantati nella terra e soprattutto ha dei suoni che non potranno mai essere né definizione né nota. La paura, l’informe, l’istinto, è tutto lì. L’uomo, privato di definizioni con cui difendersi, è costretto ad ascoltare: il fiume, il vento, i campanacci, la ruminazione, gli chef antropofagi, ma soprattutto colei che mangia i fiori con educazione e cura: Eleonora Noris Cunaccia. Continue reading Il ri-conoscimento di una stupefazione… Noris Cunaccia

Il pesto e la sua resistenza… Gianni Sacco

Pra’. Genova. Entrarci, prendendone coscienza è devastante. L’autostrada è sempre stata un passaggio per il mare o per qualcosa che assomigliasse ad un centro storico. Fermarsi vuol dire rendersi conto della degenerazione. Vuol dire finire nel cul de sac del Porto Container che ha distrutto il litorale praese dove i nobili e i borghesi genovesi avevano stabilito il loro buen retiro, con estensioni di terreno date agli agricoltori in quella forma di mezzadria che tutto coltivava. Dal basilico alla melanzana. Pra’ era una distesa sabbiosa che diventava montagna e agricoltura. Continue reading Il pesto e la sua resistenza… Gianni Sacco