Frazione Coazze. Ultimo lembo di San Benedetto Po ma legato culturalmente a Moglia. Qui i segni del terremoto sono ancora visibili. Nelle campagne, nei tetti divelti, nella paglia lasciata ad affondare, il rigore di terreni geometrici e coltivazioni intensive ha subito lo smacco di una ribellione senza un colpevole. E così questi luoghi da feste sull’aia, da retaggi contadini innalzati al dio del recupero, di gelate invernali e di terreni argillosi che diventano sabbiosi per ritornare argillosi, in quella sempiterna lotta tra zucca e cocomero, rimangono argini di tradizioni millenarie conficcati in un’Italia Rurale che è rappresentazione molto prima che fascino. L’eco della bellezza e dei paesi si sente nell’esigenza di parlare tutti una lingua comune, qualcosa che riporti ad un’appartenenza e ad un sistema. Uno scenario cinematografico che è sempre sistema e mai eccezione. I Gonzaga, i tortelli, i norcini, i salumi, la nebbia, le abbazie, i ciottoli, i sagrati, la religione, i nobili, le case di campagna, i contadini, il vino, il Po e il fascino senza luogo di immagini utilizzate da tutti perché eterne. Qui in mezzo c’è anche chi, con la gioventù dalla sua, sta cercando di attuare un recupero di forme più che di tradizioni.
Nicola Assandri e Arianna Ferrari hanno ripreso una cascina, da una storia a metà tra l’agricoltura e l’abbandono, e gli han ridato una vita più etica che estetica. Si sono dovuti sobbarcare il peso di frisone stabulate per condividere gli appezzamenti, riportando indietro tutto quello che l’edilizia contadina ha costruito negli ultimi, diciamo, quarant’anni. Han cominciato con l’allevamento di oche Pezzate Venete e sono arrivati a Nazareno Strampelli, agronomo e genetista, precursore della “rivoluzione verde” e dell’ibridazione come forma di salvezza. Origine e imbastardimento, l’Ardito, anima delle sementi elette, è stato un incrocio tra il grano Rieti, un olandese ad alta resa e un rosso giapponese, ognuno apportava le caratteristiche del metodo Strampelli, resistenza alla ruggine, all’allettamento e alla stretta, e precocità di maturazione. Progetti per il futuro: Senatore Cappelli, non ancora presente nei campi ma accarezzato nella possibilità. Antichità e migliorie, Corte Cappelletta ha un non so che di simbolico, qualcosa che richiama, rilanciando. E così, mentre un gruppo di oche sincroniche e sinfoniche, dal dorso pezzato, zampettano sull’aia, ci addentriamo nel pollaio di Nicola, un’anima genetista che ha deciso di non scendere a compromessi.
Gallina modenese dalle straordinarie uova bianche, qualche pollo romagnolo e un paio di millefiori di Lonigo, un recupero sui tacchini, così mortificati dalla grande distribuzione neuronale che occupa compratori e venditori seriali, di rara importanza con Bronzati comuni, Parmensi, Castani e l’introvabile Lilla di Corticella, qualche faraona Azzurra Ghigi razzolante, riproduttori di anatre di Rouen, e per il futuro all’orizzonte uno studio sui maiali di razza rossa Modenese, da portare a fondo con i ragazzi di Porcalora, in quegli stati semi-bradi padani e nebbiosi, ormai racchiusi in nicchie anti-governative e insature.
Nicola è un genetista in nuce, un precursore e un conservatore. Al di là delle trasformazioni delle farine in buoni biscotti quotidiani, dell’orzo mondo tostato da Alessandro Vesentini di Manifattura Caffè o delle loro zucche nei Tortelli scappati, evidenza di una terra e di una tradizione che nella conservazione trova ancora il suo perché, Corte Cappelletta è un luogo agli albori della preservazione. Frutta antica, animali da cortile, cereali rimessi in circolo, una storia che è prima di tutto una filologia, dei trasformati che non sono trovate o slogan pubblicitari ma necessari passaggi di valorizzazione. Qui, tra dieci o vent’anni si potranno aprire università e si potranno far cadere mitologie inesatte, bisogna solo continuare a crederci, superare il folklore e il tedio sussiegoso dei vicini di terreno, e portare tutto verso una produzione e verso una salvezza…
FATTORIA CORTE CAPPELLETTA
STRADA COAZZE 11
SAN BENEDETTO PO (MN)
una presentazione degna del lavoro di Nicola e Arianna. Oggi ci sono anche delle mucche bianche padane. Dall’ottimo latte che si trasforma in altrettanto ottimo formaggio. Sapori nuovi ma antichi che fanno sperare in una campagna piena di vita.