Forez: antiche province dove fare artigianato

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Loira-Alta Loira-Puy de Dome. Non posti per italiani. Qui il turista c’è ma è poco manifesto, non si mette in coda, non crea facili leggende e non si concede alle passeggiate prezzolate tra i vigneti e il lusso. Le sciarpette di seta, le decappottabili e le borse Hermès rimangono nei garage e sono dedicate non alla dimostrazione ma alla normalità. Questi sono luoghi quotidiani con quell’unicità che non ti lascia mai con la speranza di tornare in un periodo diverso. Perché qui in mezzo la Francia si fa lavoro e gratitudine, le bellezze della pianura e quelle della montagna si fondono per non importare a nessuno o a pochi o a me. E così mi ci ritrovo dentro. Perché questa terra, tra Lione, Saint Etienne e Clermont-Ferrand lascia ancora tempo ai produttori, abbandona i villaggi alla propria placidità, tutela gli altipiani e mette in mostra le gole della Loira come antefatto alla propria possibilità. Se ti stimolano, passi oltre, altrimenti ritorni sulle rotte dei vigneti o dei parchi naturali. Il Forez è una via di mezzo dove sei costretto a fare bene. Chambles, Montbrison, Sain Bonnet le Chateau, Montarcher, Cervieres, Marols, Moingt sono alcune ricorrenze medievali o attrattive di luoghi solo leggermente dissepolti, qui in mezzo, alcuni grandi artigiani continuano a lavorare senza pressione, a far girare le macine, a mungere latte, a curare il lievito e a comporre dolci straordinari.

Saint-Just-Saint-Rambert si pone a mezza via tra una provincialità superflua, fatta di rotonde e accessi alle autostrade, e quel minimalismo storico con qualche graticcio e un affaccio sul fiume che si mantiene nella doppiezza del nome. Fascino semplice e distaccato, luogo perfetto per la serietà. E così capita che, nella stessa via, a pochi negozi di distanza, ci si possa imbattere in due dei più talentuosi artigiani della regione.

– Una straordinaria pasticceria, Le Chardon Bleu, atelier di Olivier Buisson, perfettamente a suo agio in quel liberty ricostruito e assolutamente imperioso che svetta dando colore e profondità. I dolci sono impeccabili, forme fluide, sablè e frolle perfettamente friabili, croissant parigini burrosi e sfogliati come san fare solo loro, pralinati sempre presenti, le acidità dei lamponi miscelate perfettamente al croccante, la noce più della nocciola, bavaresi alla vaniglia soavi e aleatorie, cioccolati Callebaut, burro della zona di Montbrison, paste di mandorle che ci sogniamo e una precisione gustativa rara. Anche qui si lotta per le ore di lavoro, Olivier non riesce a comprendere il rapporto tra il mestiere e il lamento ma se ne fa una ragione. Il laboratorio è straordinario (un altro mondo) ma soprattutto economico. Ogni macchinario ha un senso anche nella perversione dei soldi spesi. Le dimostrazioni sono la strada più attuale per togliere qualunque dubbio. Il resto sono chiacchiere e laboratori decadenti, senza alcuna possibilità se non la lamentela.

– David Pouilly è un panificatore a metà strada, uno che fa i concorsi, tecnico, perfettamente integrato con il gotha della panificazione europea… ma uno che con quello sguardo non poteva rimanere un semplice panettiere, uno da alte idratazioni e lunghe autolisi. E così si è messo a cercare grani locali in una zona che l’ultima pietra molitoria l’ha probabilmente vista cento anni fa. Grani teneri e cilindri, profumi a posto, forze anche, sviluppate estensibilità e poca tenacia, i pani sono alveolati, i cereali poveri particolarmente dolci, le acidità a posto, i croissant semplicemente favolosi. Se vivessi in Francia morirei di colazioni. E non credo sarebbe una brutta morte…

La pianura tende ad ingrigirsi e ad affossarsi, le Gorges du Loire portano via la voglia di fascino, stuzzicano dall’alto e aprono scorci infiniti su momenti di deviante onnipotenza. Da lì il passo per gli altipiani, gli abeti e i legnami è breve. Si sale e si scende, i paesi sono preziosi ma sonnolenti, la voglia di formaggio è quasi agli sgoccioli. A metà strada tra Ambert e Montbrison, decido per Montbrison, la sua Fourme è fuori dalle rotte comuni. Queste sono montagne di erborinati, gli allevatori vanno al pascolo con una fialetta di penicillium. La difficoltà festiva non placa i miei animi, nemmeno i cani appesi alla macchina e i piccoli caseifici lasciati incustoditi. Suono fino alla morte e trovo Marie Agnès de la Gaec La ferme Plagne a Sauvain. Il formaggio è strepitoso, poco sale e nessun trigeminale. Le concrezioni spariscono, la forma esplode. Un blu, per noi, impossibile. Solita storia. Latte crudo, serietà, vacche Montbeliard ecc… E così, per i piccoli caseifici, come La fromagerie des Hautes Chaumes, le forme prodotte non si limitano alla serialità ma viaggiano su una qualità molto alta.

Da lì all’artigiano fricchettone il passo è breve. Passè Simple, dolciastri aperitivi, aceti alle erbe, raccolta di spontaneità e senapi corroboranti, è l’inaspettato “in mezzo alle cascine” nel nulla di una scelta fatta di erba in tutti i sensi e passione per l’agro. Dragoncello e salvia. Qui si fa la Francia. Tra le muffe e le acidità, non ci si può che guardare intorno e ruzzolare in un verde totalizzante. E se fosse merda di vacca, sarebbe comunque meglio del ritorno. Perché qui si sogna un rustico, si guarda il giallo dei fiori, si fa nefologia spicciola e si rimane inebetiti nello stupore di un fare semplice e meno dispendioso. Quando è l’ora si chiude e si va avanti a contemplare le nuvole…

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