Brescia, città infarinata, agguerrita e percorsa dalle mani in pasta. Sarà per il Vate, sarà per le scuole, sarà per le associazioni, ma qui c’è la più alta concentrazione di lievitisti di livello d’Italia. Eppure continua nel suo essere una città squadrata, borghesemente convinta di non dover mai concedere il passo alla sensibilità. In quello statico ridondante per cui l’altro non è mai un punto di fierezza e nemmeno di arrivo. La virtù si controlla a cena, la si narra poco e la si mette a letto presto. Il lavoratore indefesso non ha bisogno del vanto milanese o della chiacchiera sulla stanchezza, la fatica è nel dna di una città che si sveglia presto, diventa imprenditrice come sistema di devozione, punta su una religiosità asettica e simbolica e nel sepolcro della bellezza getta tutti i suoi riferimenti. Brescia non avrà mai fascino nonostante il palato.
Qui, al posto di un’insegna storica che è invecchiata male soprattutto nella pensione sfaccendata, Bruno Andreoletti ha deciso, meno di tre anni fa, di aprire il suo secondo locale (e il suo secondo laboratorio), riprendendo in mano la pasticceria Almici. Tutto questo a 28 anni. La sua è una storia di prodigiosa adolescenza e imprenditoria precoce. A 12 anni, poca voglia di studiare e notti in motorino nella bassa a far da spola tra casa sua e il panificio dello zio. A 16 anni l’incontro con Iginio Massari, che gli chiede di fermarsi del tempo per una di quelle necessità dolciarie che ancora occupavano gli offellieri nell’epoca pre-tsunami, dove colori e fotografie erano succedanei al lavoro. Così quasi sei anni, apprendimento e affidabilità. Fino alla svolta. 2009 e la decisione, nel suo paese, Offlaga, di aprire la sua pasticceria. Lievitati, pasticceria classica, dolci della tradizione rimessi in ordine e quel po’ di cromatismo che non stancasse i palati. L’incontro con Veronica, la sua compagna, e una nuova possibilità condivisa. Trattative, locali da rimettere a posto e una clientela da rinnovare o da restaurare nell’infausto periodo delle festività natalizie. Così, dopo i primi giri a vuoto, il suo nome e quello dei vecchi proprietari vengono adombrati dalla qualità del suo prodotto. Panettoni, bossolà, dolce di Sant’Imerio (lievitato con albicocche semi-candite e olio d’oliva), pandori e colombe. Nella maniera imparata, ma senza quella stuttura aromatica aggressiva. Prodotti più panificatori, morbidi, ricchi ma senza l’alveolo filato perfetto, la ghiaccia imperiale e la sfida dei rosiconi.
La pasticceria di Bruno e il banco di Veronica sono luoghi rilassati, molta gioventù, colori adeguati a materie prime riguardose, creme pasticcere addizionate col rum, un po’ stordente e fuori dai miei canoni ma di un anacronismo armonioso, le crostate con la marmellata (rivendico il nome marmellata…), la Torta delle Rose, qualche azzardo a specchio, la sfoglia, la frolla e le masse montate. Basi solidissime, trent’anni e un passato sogno di una provincia dolce che non esiste più, in cui il mestiere si rubava e si faticava. L’ottenimento odierno è la normalità e così Bruno, che sull’età potrebbe scriverci una tesi di laurea, ha una saggezza antica che nel dialogo pone sempre il dubbio. E così, ogni tanto, riemergo…
PASTICCERIA ANDREOLETTI
VIA ALEARDO ALEARDI 20/D
BRESCIA