La gestione della bontà e della bellezza… Maria Novella Uzielli

uzielli

Tenuta di Paganico. Mille cinquecento ettari lontani dalla conoscenza. Lo spazio non diventa mai uniforme, si apre sugli allevamenti e sui vigneti, si chiude sui boschi dove caprioli, cinghiali e cacciatori di frodo hanno messo la propria dimora e si riapre sulla sobrietà delle costruzioni, mai scortesi e mai pretenziose.
Il luogo è diffidente, il viso del concittadino guarda la macchina, cercando di capire la direzione. Il territorio è immenso. La caccia diventa la religione. Lo sguardo sterminato tra le razze pregiate, all’interno di una jeep polverosa e un po’ radical chic, aggrava il mio stato latente di indigenza. La libertà è un quadretto senza spine. Questo non mi acquieta, ma mi eccita. Trattoristi, butteri, macellai e impiegati hanno lo sguardo brado del dovere, ma non ne percepiscono la reale direzione. È tutto molto affettato nella propria naturalezza. Questo mi tiene vivo, non mi rilassa e mi fa domandare. Gli allevamenti sono ordinati, la natura è ordinata, gli animali hanno dei nomi, hanno la finzione del gioco di ruolo. Il toro montante e usurpatore dei diritti degli allevatori. Le limousine lontane ma mai selvagge. Le chianine rabbonite perchè l’omeopatica cura di attenzioni e le distese infinite ne fiaccano le velleità pauperistiche. Le cinte senesi che si fanno accarezzare, aduste al sole, nella siesta mattutina. Alla base, una calma apparente. E un volto di donna che, nella sua vita, ha gestito la menzogna, sotto forma di casa farmaceutica, e si è trovata nelle mani la beatitudine. Da vegetariana scarmigliata con i soffitti alti sei metri e “coperti di ragnatele”…
La squadra ruota bene, i prodotti hanno delle punte d’eccellenza non indifferente. Ma è come se fosse tutto un filo staccato. Senza quel clamore della passione che fa sfregare le mani e che spalanca le palpebre nelle notti di fine giugno. Le zanzare annoiano, forse disturbano, ma non dilaniano l’animo. Maria Novella ha quel fare distaccato, molto cittadino, con i tratti dello snobismo francese così caro ai critici cinematografici. Capelli brizzolati e forse impolverati di distacco. È un’imprenditrice agricola che si è scontrata con i vecchi credo, quelli degli allevatori e dei butteri lasciati in eredità da suo nonno, e che ha vinto, portando dogma, laddove l’imprudenza veniva scambiata per discrezione. I ruoli sono ben definiti. Come quello del suo compagno. Si occupa del commerciale, della vendita e del gusto del cliente. Con un filo di superficie spiccia del venditore di case. Mi rimanda a macellai ed allevatori. Soprattutto a un tal Jacopo che, malgrè moi, non è presente e che pare essere la vera anima contadina dell’azienda…Quella che è sfuggita all’afasia del macellaio, che conosce, che apprezza ma che comunica quello che può (nei tagli della carne si dimostra un vero professore…) e quella che è sfuggita a ragazzi che si sono inventatifazenderos, privilegiando la fiducia (passaggio giustissimo e fondamentale…) all’istruzione.
Il dilemma è quello dell’artigiano, anzi quello dell’artigiano d’eccellenza. O non ce ne sono o sono troppi. E Maria Novella è lì invischiata. Deve mostrare, deve dimostrare e deve accogliere. Il tutto con l’abbrivio della conoscenza. A volte ci riesce, a volte meno. Ma lo fa comunque con palle e classe, ancorchè usurpata da un’etichetta così facile da appiccicarle.
Ma poi, se i prodotti hanno questo tenore e questa vita, l’analisi sensoriale è talmente preponderante, da lasciare intontiti e gratificati.
La Limousine è una razza dall’ottima adattabilità, dalla buona carne ma dal risibileappeal. La Chianina ha i lasciti di un passato nobile e fascinoso, ha il presente di una Fiorentina cotta sulla brace, ma ha un futuro, almeno nelle intenzioni di Maria Novella, che continuerà dalla parte ombrosa del bivio…

Maremmana, il motivo che mi ha spinto lì. Fettine e carne trita ottime ma senza quel lascito di meraviglia che merita un dilungamento. Poi mi illumino. Mi sovvengono le parole di quel macellaio che mi parlò di questa razza come perfetta nelle lunghe cotture, ma un filo dura e selvatica (causa allevamenti dei vitelli) nelle paradigmatiche costate, nei filetti e nei controfiletti. Mi aspettavo un bluff, mi son trovato in bocca un riassunto di come e di cosa dovrebbe essere una costata. Marezzatura profonda, glutammato bilanciato, breve cottura, retrolfatto di bosco e pascolo, gusto di masticazione riflessa. Eccezionale.

Cinta senese: l’inaspettato ospite che al posto di puzzare dopo tre giorni, ha iniziato a profumare di ricordi. Strati di grasso polinsaturo sciolti sulla lingua alla temperatura del palato, carne morbida e selvatica. Salumi poco cerebrali ma altrettanto profondi. Su tutti, una pancetta arrotolata, con una giustapposizione di lardo e carne composita, bilanciata e sdilinquente, e una rosmarina – pasta di salame lavorata con finocchio, grasso e altre spezie – da crostino o da primo piatto, che non si è portata dietro nemmeno un aggettivo…

L’eccellenza, e qui me ne dolgo, non ha sempre bisogno di un pavimento in maiolica o di una seduzione, e Maria Novella mi è parsa una donna assolutamente contemporanea, con quell’oggi che non lascia scampo al mio divagare…

TENUTA DI PAGANICO
VIA DELLA STAZIONE, 10
PAGANICO (GR)

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