La vacca Cinisara e le sue carni…

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San Cipirello. Una frana, una ricostruzione, il distaccamento da San Giuseppe Jato e la creazione dell’ennesima quasi enclave siciliana che unisce due paesi slegandoli dal resto del territorio. Qui si sono proclamate autonomie, si è rimasti imbrigliati nella restaurazione e si è tornati a pronunciare l’effigie di un popolo libero. Queste sono terre difficili, con un passato sotterrato e campagne a perdita ad occhio e a retaggio violento e azzardato, luoghi di pastorizia e di reticenza, di silenzi e pale di fico d’india, di una Sicilia assolata con pochi sguardi, passìo pomeridiano, camice a maniche corte e carte da briscola incurvate sotto i colpacci di incalliti professionisti del tavolino. Non c’è un tempo ulteriore qua in mezzo, c’è una quotidianità da schivare, cognomi scomodi da condividere e una ricostruzione da rimettere in circolo grazie a quei pochi che sono riusciti ad evadere dalla confidenza. A pochi kilometri dal centro del paese, Salvino Polizzi sta portando avanti e comunicando la vacca nera siciliana come nessuno fino ad ora. E così la testimonianza di formaggi in continua evoluzione, fuori dall’ordinario già su queste pagine, è testimonianza di un lavoro sulla Cinisara strenuamente legato ad un territorio che non è più né perversione né pregiudizio.

E così quella che era la carne delle macellerie islamiche, alacremente tenuta distante dalle botteghe borghesi assise alla vendita inconscia di filetti di polacche sotto vuoto di dubbia provenienza, delizioso spunto dissanguato per kebab proditori, è diventata una possibilità. Si è iniziato da una sorta di bresaola, per passare alla macellazione, al di là delle giovenche e delle vacche dal latte stanco, di alcuni vitelli e vitelloni, e arrivare alla frollatura, a quell’unico macellaio della valle dello Jato, Alessandro Vicari con il suo Barbecue, che sta provando a dare un senso ad un prodotto povero ma pieno di ragioni. Passare dalla vendita all’artigianato, in pochi colpi e senza la dedizione della cultura, è affar duro. E così la bottega rimane comunque una carnezzeria di paese, senza apertura e con delle sbavature che devono essere limate. Il confine paesano è comunque un’imposizione al di là di tutto e così lascio stare e mi dedico all’assaggio. Da masticazione, da proteolizzare con più sostanza e dal sapore autentico e identitario. Salvino le sue bestie le lascia disperse, nemmeno al pascolo, ma in quella fascia di montagna che ha solo il tempo della notte e delle mungiture. Oltre l’erba e oltre la comprensione. La Cinisara, o vacca nera siciliana, sopravvive all’infuori del rustico e all’infuori del caciocavallo. Anche grazie a formaggi sempre nuovi e sempre più raffinati e a carni che hanno bisogno dell’ozio giusto per dedicarcisi senza il pensiero di averle sempre viste.

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