Maiorchini, pecorini e un tempo che non è stato abbandonato… Domenico Isgrò

Furnari è uno di quei luoghi della Sicilia a metà strada, in quella collina della Val Demone a cui è stato tolto il fascino della propaganda enologica. Il mare perbenista dei porti turistici a pochi passi, Tindari in bella vista e i Peloritani alle spalle, queste strade curve ricalcano la non esistenza di un paese fagocitato dalle sue frazioni e da una montagna richiesta, dove le tradizione dell’oliva e del pascolo stanno provando ad insistere, a mantenersi al di là delle dilazioni commerciali, quelle che han confuso lo scontrino con il santino, genuflettendo quotidianità ed opportunità. Luoghi come Furnari, soprattutto quando esci dal conosciuto e dal lambiccato, appaiono come una grossa pozzanghera, dove tirare fuori della bellezza è una questione di riflessi e di riflessione. E così arrivare da Domenico Isgrò, non dovendo raggiungere Novara o Montalbano, attiene a quella via di mezzo che non deve necessariamente perseguire il suggestivo decadente.

Allevamento e caseificio attigui, stanze di stagionatura sotto la casa di famiglia e pascoli tutt’intorno, in mezzo agli ulivi, intersecando proprietà, dove capre e pecore possono ancora vagare liberamente alla ricerca del cibo primaverile ed estivo. Il Maiorchino è sempre stato un formaggio a sé, a livello caseario in Italia non ci sono simili, pesi del genere, circa 15/18 kili a forma, per un cacio con latte misto, pecora e capra, nella contemporaneità, sono difficili anche solo al pensiero. Adesso, le regole più lasche hanno permesso di poterlo “tagliare” anche con del latte di vacca, abiurando alla tradizione in cui il Maiorchino va prodotto da febbraio a giugno, quando entrambi gli ovini sono in lattazione e, sopratutto, quando il grano (tra cui il Maiorca) e le leguminose sono in fioritura e gli animali possono usufruirne. Domenico ha mantenuto la tradizione, fa una forma al giorno con latte di pecore comisane e capre maltesi lavorato nella quarara (caldera) chiaramente crudo. Il Maiorchino, le cui forme più stagionate ruzzolano giù per le strade nei giorni di festa, è una pasta dura, cotta, che stagiona fino ai due anni, che in concessione può ancora utilizzare vecchi utensili e vecchie fascere, che vanno strette fermamente per spurgare e ricompattare. I sapori si evolvono, a volte la formazione di gas porta verso il mellifluo, a volte si vira verso il trigeminale, quando la pasta è compatta e con l’affinamento inizia a sgranare, il grasso della pecora e la finezza della capra si compongono in un erbaceo estremamente persistente.

Nella sua curiosità e in quel tempo dedicato agli altri formaggi, ha messo in piedi un pecorino straordinario, dopo un anno, semplicemente perfetto, sapido e piccante equilibratissimi, dolcezza anche, nessun fermento, struttura non elastica e profumi inebrianti. Poi ci sono le sicurezze della semplicità di ricotte, ricotte infornate e caprini presamici a cui non c’è nulla da chiedere oltre. Quella di Domenico è una Sicilia più nascosta, senza la necessità del turismo, con quella voglia di apprendere, che è cultura al di là di tutto. Quelle sue e di suo padre, sempre presente, tra la mungitura e la caseificazione, non sono preoccupazioni estetiche di mantenimento di una Trinacria che non c’è più, fatta di case con l’eco, profumi di elicriso e prodotti impagliati al gusto, qui ci si evolve, c’è abbastanza disincanto per non cadere nel romanticismo della terra, in quel ritorno indiscriminato che è intelletto e poco altro. Qui ci alza la mattina e si fa una fatica senza lasciti, ripagata – e non sempre -, dopo non meno di un anno, al taglio, quando gli occhi strabuzzano e lo sbalordimento sconquassa…

AZIENDA AGRICOLA ISGRO’

CONTRADA CARONE

FURNARI (ME)

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