Verona. Una città a ridosso delle colline, uno splendore ducale di palazzi, vicoli, sguardi dall’alto, ponti e archi romani, campanili, i colori pastello delle facciate, il rosso coppo dei tetti, lo sguardo raffinato e ruvido di un sistema abitazione di chi ha sempre cercato di stare all’interno. Tutto questo nonostante le persone. Quelle che riempiono, che si mettono in coda e che rimangono borghesi per il semplice motivo di stare al centro. Perché qui, al di là del clima, della secolarizzazione dell’industria, di un dialetto duro e stretto e di un’ironia tetragona, giocata più sulla confidenza che sull’amichevole accattivante, non manca molto a livello estatico per sfiorare l’effetto pigmalione e rimanere lì giorni e giorni a rimirare e rimirarsi. Per trovare Narcisi, Verona è un luogo confortante. E così gli artigiani rimangono, ci sono i torrefattori, aprono pizzerie come se non ci fosse un domani, i dolci sono giustamente in vetrine edulcorate e la Lessinia viene invitata sempre più spesso a presenziare ai deschi più o meno imbellettati. In uno di questi, due giovani andanti hanno deciso di sfoderare la loro passione verso il pascolo, il grass fed e le carni che, nell’esotismo, trovano la notabilità. Continue reading Butcher: frollature e somministrazioni… Sergio Maggio e Antonio Guerra
Guardare i vigneti e vederci un salume… Eugenio Caprini
Negrar. Arrivare attraverso una conca che trasforma la pianura in collina e la collina in montagna porta in dote un orizzonte differente, enorme e limitato insieme, verso quella Lessinia dolce, morbida e depredata che trasforma lentamente la Valpolicella in un dovere di marmo, in pascoli pianeggianti e in uno sguardo che si ritrova tra i crinali, quando la luce manca di vividezza e il riverbero crea effetti distorti, e che toglie qualunque pensiero verso un silenzio, sepolto e bianco, che riporta in vetta l’esigenza di trovare ancora pittori e ruffiani che mantengano senza sperperare. Negrar è un luogo geometrico, dove le ville venete hanno mantenuto eredi danteschi e sguardi patrizi di famiglie del vino coese con un passato sempre fervido e un futuro di imberbi beoti, in cui le case basse rimangono chiare e le attività si possono tramandare di genitore in genitore. Qui la famiglia Caprini, da quattro generazioni, porta avanti la sua storia, con il merito della riservatezza e la coerenza della rivoluzione. Continue reading Guardare i vigneti e vederci un salume… Eugenio Caprini
Parco Nazionale del Gran Paradiso: artigiani e animali protetti
Valsavarenche e Valle di Cogne. Lati della stessa medaglia di un parco che mantiene e contiene l’unico quattromila metri tutto in territorio italiano, retaggio da sussidiario e da scuole elementari, immagine di stambecchi e re a cavallo, riserva di caccia personale di Casa Savoia, mulattiere selciate a regalare un po’ di facilità al selvatico, divieti, confino per espiatori di pene, bracconaggio, straordinari crinali e persone sospese tra l’abiezione e l’estasi, tra il dover sopravvivere ad un ambiente, che non sempre è una finestra sul mondo, e la stessa finestra che si apre su un’immaginazione sempre diversa. Continue reading Parco Nazionale del Gran Paradiso: artigiani e animali protetti
Una famiglia in cui la Fontina intreccia altre storie… Bruno Jeantet e Mirella Paduano
Cogne. Parco nazionale del Gran Paradiso, dove i prati di Sant’Orso hanno impossibilitato l’uomo, rendendo la battaglia una questione tra vacche. Manca il selvatico di altre valli, manca l’ambiguo del tempo, sostituito bene dall’oscurità senza confini della notizia e dello spauracchio benestante e borghese, manca l’improvvisazione delle valanghe o l’azzardo dell’isolamento, ma il domestico ha un effetto contundente. Sul bianco invernale e sul verde estivo, il fascino non è altro che un non-luogo di continui sguardi, piste da sci di fondo, declivi appena accennati, una conca che si esprime in miniere, mulattiere e pesca alla trota. Con le vette tutt’intorno, dove gli alpeggi riflettono ancora su quale sia la miglior modalità per non estinguersi, la vallata può passare dall’incanto all’incombenza, perché qui quando l’avverso si mette ancora più contro, il cielo non ha pietà di molti. Qui si passa dall’idillio all’abisso senza l’opportunità della redenzione. I luoghi scoscesi e candidi hanno forse il tempo di mettersi dietro le mura domestiche ed aspettare. E così, in mezzo ad uno di questi prati, sulla strada che porta verso Valnontey, la famiglia Jeantet si è garantita il lasciapassare per la meraviglia. Continue reading Una famiglia in cui la Fontina intreccia altre storie… Bruno Jeantet e Mirella Paduano
Macellerie Crosetti: Gian Pietro, la sua famiglia e quel servizio da dare
Tra Crodo, Valle Antigorio, e Formazza, nell’omonima valle. Venticinque kilometri di distanza che definiscono alla perfezione questo lato di mondo. Altipiani, gallerie, cascate, piste di fondo, sci per bambini, alpeggi del Bettelmatt, boschi incontaminati, ghiaccio, ombra e l’elemento acqua che connota tutto e si porta via tutto. Soprattutto il turista. Che arriva ma per faticare non per ammirare. Questi sono luoghi sommersi, in cui hai l’obbligo di riemergere pena la soffitta. È un Piemonte che conosce talmente bene se stesso da mantenere il resto a distanza di sicurezza, molto remoto, molto geometrico, in quel confine che è sempre acquisizione e mai spargimento, perché la Svizzera circonda ma senza osmosi, in quella chiusura montana che tiene ognuno al proprio posto. Nonostante il cielo. Lì in mezzo, a Crodo e Formazza per l’esattezza, Gian Pietro Crosetti, insieme a sua moglie e ai suoi figli, mantiene viva la macellazione, la scelta, la trasformazione e la vendita del bovino. Continue reading Macellerie Crosetti: Gian Pietro, la sua famiglia e quel servizio da dare
Il Bettelmatt riprende sembianze umane… Massimo Bernardini
Viceno. Frazione di Crodo. In quella terra Walser che, digradando verso il fondo valle, ha cominciato a perdere le sfumature dei pianali, degli altipiani e delle case in pietra e legno, che si sono mantenute anche al di qua delle polente gettate sui paioli, trovando la raffinatezza che il turismo compulsivo da sci sempre in carreggiata non gli avrebbe mai permesso. Questo incedere di frazioni ai piedi del Monte Cistella, dove i boschi sono il voluttuoso e dove il ghiaccio ti ha già ucciso se hai provato ad allontanarti dalle stufe o dai camini, non richiama altro che silenzio e previsioni meteo che, in qualunque condizione, mostrano un Piemonte diverso, dove i Walser hanno concesso distanza e il riconoscimento non è diventato sottomissione. Questo lato di mondo, più raffinato, dove la Svizzera lega nella cura e in cui roccia e verde tolgono quel po’ di ombroso piemontese che trasforma i dialoghi in silenzi, si porta dietro quell’eccedenza di fiabesco che di solito sei destinato a cercare altrove. E il merito potrebbe essere di quegli animali che pascolano, rischiarando. Continue reading Il Bettelmatt riprende sembianze umane… Massimo Bernardini
Fotografi e panificatori notturni… Baldovino Midali
Branzi. Alta Val Brembana. Terra di formaggi e di sci composto, quello che cerca un paio di piste vicino a Milano, per non arroccarsi in mezzo alle montagne e mangiare un capriolo con polenta per palati congelati. Basse vette, case prive di fascino, strade dritte, aziende agricole e alpeggi. La facilità ha permesso a tanti di salire, di accorgersi, di guardare oltre la Valtellina, verso le Retiche, e di provare a fare come. Consorziandosi, svendendosi, unendosi senza un principio, a volte si sono dimenticati dell’agricoltura, altre volte l’hanno portata al parossismo. Cinque formaggi tipici in una valle e nelle sue diramazioni. Branzi, Formai de Mut, Stracchino a munta calda, Agrì e Strachitunt, più tutta una serie di formaggelle, grassi e semigrassi senza nome e per sovrammercato alcuni alpeggi di Bitto e Storico Ribelle. In una valle. Pregio e disprezzo insieme, gratificazione per vite difficili e protezioni per uno o due entità per formaggio. Esagerazioni e dimenticanze. La Val Brembana nasconde alcuni tra i più straordinari casari italiani e Branzi si porta il presagio nel nome. Con le sue cascate, i suoi rifugi e quella bellezza nascosta d’inverno, ghiacciata o innevata, che lascia ancora intatto il piacere della domanda. Ed è tutto ancora più strano. Perché ero lì per incontrare un panificatore, fotografo e documentarista che quelle montagne le conosce pietra per pietra. Continue reading Fotografi e panificatori notturni… Baldovino Midali
Luoghi a metà strada… Massimo Gherardi
Miragolo San Salvatore (Zogno) e la fortuna di aver trovato del sole ad alternarsi con il ghiaccio. La vetta sui mille metri è un’enclave calda, le curve, il fondo valle e i misteri dei canyon brembani sono un apparato di ghiaccio desueto che, al posto di una neve ormai riluttante, occupano i principi dell’arrivo dell’inverno e di quel bianco che tutto confonde. Qui non ci si arriva per caso, non c’è niente oltre la tranquillità e un verde prescindibile, le case si assottigliano, la vetta è un cammino blando, i boschi cadono e la vista rimane parallela all’orizzonte. Una montagna da pensionato che attira l’arco dei 70 kilometri, che garantisce la bell’aria e il portafoglio da gestire con i prodotti tipici in cui sguazzare, per poi rientrare in città, facendo degustare i formaggi e i salumi del contadino dalla faccia sanguigna e dal vino della casa sempre pronto. Così per stupire a sua volta il borghese con una tirata di orecchie e una lotta “butteri contro indiani”. Ma non è sempre così. Ormai anche in mezzo ai pascoli hanno cominciato a studiare la fisiognomica dell’idiota e poche volte ti va bene. A metà strada c’è l’azienda di Massimo Gherardi e di sua moglie Cristina che nel compromesso ci si sono ritrovati. Continue reading Luoghi a metà strada… Massimo Gherardi