Al Berlinghetto: salumi bresciani da filiera raffinata… Luigi Bellini

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Berlingo. Bassa Bresciana. Un luogo indefinito fatto di frazioni e case basse, dove la quotidianità è l’unico reale legame con un territorio produttivo e vicino. Questa non è terra di compromessi e di fantasie, qui si guarda al concreto, all’oggi, a quella cena da mettere in tavola e alla sveglia presto la mattina, i sogni sono stati incubati in un modello di canali di bonifica e di fontanili, cascine a corte chiusa e quello spazio intimo limitato e limitante. Qui la Chiesa è il cardine della crisi, qui non si dirime, si tiene dentro, si spera e si nasconde, in quella convergenza territoriale che di questi luoghi ha riempito l’Italia. Paradigma di una pianura inscalfibile e profondamente benpensante, gli olezzi si nascondono sotto terra, gli insilati nelle bocche degli animali e i profitti sotto il materasso. Prima o poi, qualche traccia di rivoluzione sarebbe dovuta apparire sotto le suole spesse delle scarpe grosse, qualche cervello fino si sarebbe dovuto necessariamente scontrare contro l’ancien régime per provare un gusto meno sobrio. Ecco, Luigi Bellini incarna alla perfezione una rivoluzione reazionaria. Continue reading Al Berlinghetto: salumi bresciani da filiera raffinata… Luigi Bellini

Agli albori della panificazione e della ricerca… Daniele Astori

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Coccaglio. Classico paesone del bresciano, alle pendici del Monte Orfano, un pelo fuori la Franciacorta, non del tutto bassa. La collina s’intravede e prende possesso di un luogo che ha mantenuto una struttura contenuta, degli abitanti dialettali e un’insofferenza al nuovo che dall’alto è sempre sotto l’occhio vigile ed estetico del convento della Santissima Annunciata, che lì rimane come un privilegio. Di là la ricchezza, le degustazioni, le gite in mezzo ai vigneti e verso le funamboliche passerelle sulle acque, di qua una concentrazione di selvatico e di vita di paese, dove trarre forza non lasciandosi ingannare dall’ispirazione. Perché nessuno è profeta in patria in paesi come questo, bisogna guadagnarsi ogni grammo di innovazione, figurarsi l’emblema di una pre-rivoluzione ai tempi dell’onnivora e non curante assimilazione di cibo. Qui, fuori dagli schemi è uscito Daniele Astori, che ti aspetteresti sfuggente e predicatore, e ritrovi profondamente legato alla sua professione e alla sua materia: il pane. Continue reading Agli albori della panificazione e della ricerca… Daniele Astori

Dulciarius: un lievitista che ha capito quasi tutto… Enrico Pisoni

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Lograto. Un territorio di granoturco e condomini da riposo notturno, dove il fulgore di una scelta è stato soggiogato dalla quotidianità dei bambini e della natura, dove le costruzioni sono il peggiore degli orpelli e dove la crescita sana, fuori da vicoli pericolosi e lontano dalle inquietudini formative, diventa la sublimazione della borghesia. In queste pianure dal pezzo storico onnicomprensivo, la bassa bresciana esprime perfettamente la sua voglia di lavoro, di esserci, di considerare il mondo soltanto attraverso la lente della produttività, della fugacità del weekend e della giovinetta da non trasformare in una gigolette da bordello adiacente. Sguardo fiero e parlata sicura, il bresciano nebbioso ha imparato alla perfezione a dimostrare, a definire e a confinare, ora ha bisogno di qualcuno che gli riconduca il tempo per imparare ad attendere e a godere di quell’attesa. Enrico Pisoni ha portato in provincia un’idea rivoluzionaria dopo trent’anni di lavoro nella gran parte dei laboratori padani. Dulciarius è la realizzazione di un progetto bello, studiato e sostenibile. Continue reading Dulciarius: un lievitista che ha capito quasi tutto… Enrico Pisoni

Una Fontina rimasta nell’ombra… Elio Quendoz

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Jovencan. Un luogo senza risalto, in quella bellezza di fondo valle che fonde stili e passaggi e rimane sempre strenuamente legata all’agricoltura, nume tutelare di un posto che non lascia nulla al senso dell’appartenenza. C’è il paese più dedito alle mele, quello più portato alla viticoltura, la frazione abbarbicata dove si allevano bovini valdostani, ma il comun denominatore rimane sempre la coerente difesa di un territorio da portare avanti compatto, da mostrare al mondo come una forma di equilibrio perfetto, per poi abbandonarsi nei mesi morti a faide burocratiche e interne, dove le giurisdizioni e le legislazioni diventano sempre una messa in discussione e quel lato oscuro in cui il vicino di casa ha avuto di più pur producendo di meno. La corsa al numero è tenuta nascosta ma è il fanatismo di terre estetiche ed estatiche dove tutto sembra andare meglio di un orologio svizzero. Continue reading Una Fontina rimasta nell’ombra… Elio Quendoz

Apparizioni: formaggio di pecora in Valle d’Aosta… Daniele Morzenti

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Aymavilles. Tra la terra e il cielo, i castelli s’innalzano, i vigneti degradano e i meleti avvolgono quel bordo di Valle che è ovunque, sempre e comunque. Qui si è sempre vissuto in mezzo e attraverso la terra, gli sguardi facoltosi e quelli proletari si sono sempre incrociati, seduti insieme e rimasti nel lato della coscienza. Questa è una terra di storie e di persone che senza abbandono vivono in una foschia profonda, in un sentore comune che è tutto e per tutti. Qui la comunità si è sempre consorziata e si è sempre nascosta. Pochi nomi e tante bestie. Si guardano le montagne e si vedono i malgari e i ricchi dall’alpeggio facile. La Fontina è una forma comune che, pur non accontentando nessuno, ha plasmato una regione a sua immagine e somiglianza. E così il dissidente rimane al gelo, nell’incoerenza di essere diverso, di restare imprigionato all’acqua, alla corteccia e ai fieni. E scegliere di lasciare da parte le vacche per provare la strada del latte di pecora, a queste latitudini, ha significati impronunciabili, quasi beffardi. Continue reading Apparizioni: formaggio di pecora in Valle d’Aosta… Daniele Morzenti

Spiriti selvaggi in mezzo alle montagne… Silvia Vuillermin

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Champoluc. Fuori stagione, fuori da quei tornanti che portano metropolitani e riportano pelli arse al sole, neve sporca e imprese da raccontare in ufficio. L’alta val d’Ayas in tutta la sua tranquillità e indifferenza, in quella forma di codardia deposta che succede sempre ad un’ondata turistica o precede un’estate di passeggiate. Bastano gli occhi, lo sguardo alzato verso le nuvole che coprono il Monte Rosa per rendersi conto di stare bene, di dare respiro a quelle noncuranze che ci siamo portati dietro fino a lì, fino ai venticinque kilometri di salita, fino all’imborghesito bolso che porta a casa tre kili di Fontina con il sorriso lercio di chi l’ha provato a far rilucere a forza di ringiovanimenti. La val d’Ayas però è altro, va oltre gli impianti, rimane in quell’apertura che, dallo scuro umido dell’autostrada verso Courmayeur, si apre in un verde erba misto tra il trifoglio e il muschio dei fiumi che scorrono impetuosi, nascondendosi dietro un’opacità di roccia. Il pungente ti stringe la pelle dentro la camicia, ti si pianta in faccia come ad un bambino in una giornata di sole, è una panacea per qualunque ammissione di pensiero. Continue reading Spiriti selvaggi in mezzo alle montagne… Silvia Vuillermin

Alle Radici di quel che resta… Famiglia Ruiu/Gaddi

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Alpe Blessagno, sopra San Fedele d’Intelvi. Dieci kilometri dalla mondanità, da quel Lario che non è altro che approdi, curve, silenzi e misteri. Le prime curve si snodano, poi comincia il bosco senza pascolo, qui le bestie hanno preso la compulsione dei loro padroni. Stalle piene e verde scuro, così le valli lombarde continuano ad adombrare se stesse, tenendo lontano quel turismo da foto ricordo e indelebile ricerca della bellezza. Qui si chiude tutto, i bar non sono azzimati, gli alberghi sono scaduti insieme ad un viandante preso da posti più preziosi. Le colonie non bastano più, i divertimenti sopra i duemila metri non sono di queste valli e così le malghe romite alla ricerca della pace. La vista che resta è verso montagne di altre regioni e di altre nazioni, in quel fluire di confine che ha trasformato le tradizioni in rughe senza un desiderio, senza una brama di modernità e di visi sbarbati. Sui manifesti campeggiano ancora divisioni post-belliche tra fascisti e comunisti, qui si parla alla gente seguendo i problemi reali, scendendo in piazza perché tanto ci si conosce tutti. E così per trovare ancora un po’ di realismo bisogna percorrere un kilometro di strada dissestata, meglio se accompagnati, per giungere in una radura riconciliante, di fatica prima che di poesia. Continue reading Alle Radici di quel che resta… Famiglia Ruiu/Gaddi

Le Golose Imperfezioni di una storia riscritta… Alessandra Abordi

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Como. La raffinatezza di un tetto mogano e di una facciata pastello, l’incombenza di una necessità di accoglienza ormai poco condivisa e assolutamente prepotente in quel modo di aderire ad un progetto che non è mai stato esplicitato ed è naturalmente chiaro a tutti e a tutto. Una missione che è già costrizione a non rimanere, a rendere la città un passaggio e un passato, ad adombrarsi con le stagioni, chiudendosi in un misterioso borghesismo sinistro e imprenditoriale. Una ricchezza diffusa ha sempre mostrato Como come una puzza sotto il naso senza altri retaggi, schiava di una rappresentazione di sé attraverso la distanza e la supponenza. E qui in mezzo non ci sono altri modi se non il confine e il confino, quello dove si sono ritirati gli artigiani e gli artisti pedissequi. Lacustre sempre un po’ impenetrabile, sguardi di circostanza e mani che al massimo si stringono, questi vicoli, che tengono dietro la domanda per arrivare da qualche parte, ogni tanto, fanno breccia all’interno di un mondo che ha bisogno di un approccio. Alessandra Abrodi, insieme ai suoi soci, Marco e Francesco, ha deciso di ridefinire l’artigianato per sottrazione. Continue reading Le Golose Imperfezioni di una storia riscritta… Alessandra Abordi