Un macellaio che non si accontenta… Angelo Bergamini

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Poncarale è stato una pieve, si è trasformato in un borgo, è diventato un luogo dove coltivare la vite ed è rimasto un sistema di abitazioni dalla sola rilevanza demografica. Il pomeriggio invernale rimane chiuso dietro tapparelle e immigrazione costretta ad uscire per darsi un tono e dimostrare di avere un paese. Perché una pianura che prova a nascondersi non ha più nulla da ridare indietro. E qui la gente va avanti e indietro e difficilmente sa dove fermarsi. Soprattutto quando le feste finiscono, le luci si spengono, il fragore del Mella continua a non affascinare e la Bassa a nascondere i suoi allevamenti dietro estensioni di stalle senza pace, l’unico bagliore rimane acceso nelle fucine degli artigiani che prendendosi il tempo, investono tempo alla ricerca di un’eccellenza lontana dalla città, per modi e volumi. La Macelleria Bergamini è uno di questi luoghi, anche e soprattutto dopo le violenze subite. Continue reading Un macellaio che non si accontenta… Angelo Bergamini

Un luogo ideale in trasformazione… Francesco Bedussi

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Brescia è la sua borghesia, con quel fare un po’ spento sempre alla ricerca di un classicismo da raccontare al vicino di appartamento, il naso spostato sui profumi ghiotti che circondano le passeggiate e che obbligano gli artigiani a trasformarsi in raffinati mercanti. E così i centri storici si svuotano di pasticcieri e si riempiono di costruttori edili mentre le periferie girano intorno al discorso degli affitti, puntando sempre più sul grande, sul caffè da rotonda, preconfezionato, prefabbricato e pronto ad allungare i tempi della dissolutezza fino a sera inoltrata, garantendo colazioni, pranzi, merende, aperitivi, cene e plausibili e futuristici letti a castello per ripartire l’indomani carichi a molla. Così chi percorre la strada totalizzante dell’offerta globale, si scontra con compratori congelati e compulsivi dell’acquisto unico, parvenu dell’estetica e figli di benestanti che alla fatica han preferito la ricreazione. Questa indubbiamente è la strada più difficile, è l’impostazione sartriana dell’egemonia intellettuale, di tutto un po’. Criticato dai filosofi, dagli sceneggiatori, dai romanzieri, dai letterati e dai drammaturghi ma sempre punto di riferimento. E così la famiglia Bedussi nasce in gelateria ed esplode i suoi confini su tutto lo scibile gastronomico. A Brescia! Continue reading Un luogo ideale in trasformazione… Francesco Bedussi

Una piadina che è rimasta una piadina… Simone Massenza

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Brescia non viene spazzata dall’inverno, non vede il cielo muoversi verso il terso, i bagnini ringalluzzirsi e tirarsi il fisico e i lidi riaprire i paraventi spaventati da quel salmastro che si è portato via, da troppi anni, i colori e le maniere di una riviera sotto vento. Brescia è una città statica in cui le tradizioni artigianali rimaste sono diventate un viaggio verso la provincia. Verso i laghi, verso la bassa e verso le valli. Qui è rimasto un concentrato di centri commerciali e di svincoli periferici, dove ruotare tutt’intorno un centro che non è mai un interesse fino in fondo. A parte candide e avvizzite eccezioni, gli artigiani han preferito rimirare le fatture lateralmente, in quel crescendo acritico che non ha mai posto il problema sotto gli occhi dei bresciani che han continuato a reiterare i propri riti e le proprie abitudini, rimbalzando da un luogo storico a un luogo storico, nonostante vendite, cessioni, fallimenti e accenti stranieri. L’indubbio è rimasto comunque un continuare a cercare, spendere e non smettere. Così ogni tanto qualcuno sbaglia strada e si accorge di come Brescia sia la città perfetta per non essere una città. Continue reading Una piadina che è rimasta una piadina… Simone Massenza

La Milano degli artigiani

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Milano città sepolta, Milano città dimentica delle sue principali abitudini e dei ritmi lavorativi meno sfrontati, quelli non racchiusi in un dovere di perversione ma soprattutto quelli che non dovevano a tutti i costi strizzare l’occhio all’ultima moda, al design, al cocktail (il mixologist rimane sempre e comunque un barista, nel bene e nel male), al vino, al tempo libero e alla necessità di esserci. A Milano gli artigiani non ci sono mai stati, c’erano, sono stati di passaggio e resistono. Ma l’amore è sfiorito presto, senza lasciti o retaggi che vadano oltre una speranza passata che probabilmente non c’è mai stata. E così ci ritroviamo in mano una città con un oggi sempre più stringente, senza uno ieri e con un domani ibridato. Tutto il resto è paesaggio, perché la nascita è sempre un’annunciazione, un battage pubblicitario che rizza le orecchie, tiene informati i food blogger, scongela umanità ma soprattutto sposta le attenzioni. E un luogo come Milano non può prescindere dalle continue aperture, mentre gira volentieri l’orecchio quando si tratta di tracolli, chiusure o fallimenti. E così la smania di aprire prende tutti, piccoli e grandi, capaci e incapaci, artigiani e commercianti dell’ultima ora, quelli che aprono un ristorante o una pizzeria per ospitare gli amici bocconiani la domenica a pranzo, battersi un cinque alto, chiamarsi bomber e far vedere al padre che i 19 in microeconomia non erano poi così pertinenti. Continue reading La Milano degli artigiani

Amsterdam – Seconda Parte

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Per i formaggi siamo al limite della denuncia. Se si è presi dall’entusiasmo di trovare un Henry Willig e una bottega del Gouda ad ogni angolo di strada, si torna a casa con un pacco clamoroso di bucce colorate e non edibili e formaggi che sanno tutti di crosta di pane dolciastra. Formaggi che fondono e che assomigliano irrimediabilmente all’unica idea che il formaggio olandese brandisce in giro per il mondo. Però i canali ci vengono in soccorso, con luoghi meno delibanti, dove i lustrini sono una clientela fedele e un turista senza accetta. Kaaskamer è una bottega antipatica, dove il sostenuto è d’obbligo e dove ancora si vendono i Testun al Barolo di Beppino Occelli dei quali non riuscirò mai a farmene una ragione… però, al di là della patina e dei pacchi preconfezionati, ci sono piccole chicche iper stagionate e un formaggio organico di Jersey di 18 mesi, dall’aspetto poco olandese, letteralmente straordinario. Remeker è una fattoria a una cinquantina di kilometri da Amsterdam, dove hanno deciso che l’uniformità del formaggio locale era un marchio di riconoscenza e di tradimento, qualcosa che andava rimesso in discussione per tirar fuori un luogo alpino, un prodotto giallo ambra, grasso, poco pastoso, da pascoli cuneesi e pianure irrigue. L’Olde Remeker è una pasta cotta che non ricorda nulla di simile, nemmeno fuori dai confini. Continue reading Amsterdam – Seconda Parte

Amsterdam – Prima Parte

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Una città divisa e una città impudica ma senza smacco. Le immagini fastose dei grandi centri commerciali, della puzza di zucchero fritto, delle prostitute in vetrina, della canapa venduta senza prescrizione sono l’ultima forma di pudicizia e di vergogna, una forma di conservatorismo reazionario sotto forma di zoo umano, dove i tamarri di tutta Europa si ritrovano per ribellarsi ad un’autorità che ha implementato il Grande Fratello rendendolo sardonico. E così c’è un rumore di sottofondo e di protesta che rende tutti più uguali, sbavanti e assenti. Traviati dalla forma, han portato in giro quel disumano da cameretta con i poster appesi e i porno dilapidati dalle verruche. La licenziosità di Amsterdam sta in quelle finestre enormi che circondano i canali interni e in quelle serate lunghe e buie dove riempirsi di luci diventa la prima delle mostrazioni, probabilmente la prima e unica vetrina. E così la bellezza, il fascino, la scopofilia, la voglia di cacciare il naso tra le lucine e i divani sono qualcosa di pruriginosamente condiviso. La facilità nordica di spogliarsi diviene il paradosso maggiore di una città divisa, straordinaria nella sua eleganza e nella sua aria pulita e commerciale, nel suo essere buen retiro invernale di diuretici informi dai denti cariati e dalla faccia assonnata. Così mi ritrovo anche stavolta alla ricerca del cibo… di quello vero… di quello prodotto e di quello con una faccia… Continue reading Amsterdam – Prima Parte

Un Parmigiano che ha intrapreso la strada della modernità… Famiglia Gennari

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Collecchio. In mezzo tra il Taro e i boschi di Carrega, in quella provincia parmense che si è dedicata in egual maniera ad industrializzazione e agricoltura, arrivando nell’empireo, sprofondando nel trinciato e riprendendosi in maniera dignitosa grazie alle facce degli astanti, di quelli che erano rimasti lì a guardare il progresso di una tradizione, tra facciate color pastello e piazze copiose di buone maniere, ritualità e chiacchiere. La provincia rubiconda, quella ingrassata dai silenzi e sempre più sanguigna verso il prossimo di passaggio, è stata l’ambiente ideale per la nascita di artigianalità uniche, di quel fazzoletto di terra riconosciuto nel mondo come paese del bengodi, dove vacche e maiali danno indietro il massimo del gusto raggiungibile. Collecchio ha una struttura romana deturpata e delle campagne che, senza mezzi termini, sono state portate a fondo nella scoperta e nello sfruttamento. Lì, a pochi metri dall’autostrada e dalla Parmalat, la famiglia Gennari ha creato una genealogia produttiva, rara anche da queste parti. Continue reading Un Parmigiano che ha intrapreso la strada della modernità… Famiglia Gennari

Conservare le proprie radici… Stefano Franzi

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Olgiate Comasco ovvero dove le colline moreniche ci sono ma non si percepiscono. In quella provincia comasca che, nel tempo, ha perso identità costruendo rotonde e rettifili. I palazzi storici restano adombrati dai centri commerciali e dalle gelaterie “hai 30.000 euro? Te li faccio investire io”, certo rimangono delle ville nascoste con i loro parchi, dove l’apoteosi aristocratica è diventata borghesia imprenditoriale e si è trasformata in location per cerimonie e conferenze, ma non son più che raffinata tappezzeria. Da queste parti le pinete definiscono e ostruiscono, fanno sognare i tifosi e sono emblema della fuga dalla metropoli. Ma è tutto molto affettato, quasi esplicito. Non ci sono più morali e non ci sono più nevralgie, le nebbie non affascinano più, danno solo fastidio e generano tamponamenti a catena. L’eterogenesi dei fini è l’unico dogma ridondante e a sfinimento mi ripeterò: in questi luoghi il dovere artigianale è una delle poche rivincite che il territorio dovrebbe pretendere. E così la famiglia Franzi, da molti anni, sta provando a portare avanti il proprio discorso. Continue reading Conservare le proprie radici… Stefano Franzi