Bagolino. Nella Valle Sabbia dello spiedo, degli uccellini, delle trappole, del selvatico, dei cacciatori e delle castagne. Qui, dove i laghi sono rimasti laghi e non approdi turistici, l’arrivo della contemporaneità è un silenzioso e quotidiano svolgersi delle cose sempre allo stesso passo. A pochi centimetri dal Bengodi (leggasi Trentino), queste diramazioni, tra il Crocedomini e il Maniva, son sempre state terre di straordinari formaggi, di carnevali rutilanti, di zucchero amaro e di alpeggi incontaminati ormai sempre più vezzo di fotografi inesperti alla ricerca dello scoop o della volgarità. Bagolino è un posto remoto, dischiuso tra la nebbia grazie a strutture medievali e tetti rossi. Qui, boschi, brume e acqua rendono il reale una sovrapposizione di stati d’animo. Non c’è molto da indagare, è tutto una curva a gomito e una preghiera per tenere lontano il dirupo. Fare le cose seriamente, in un luogo senza lussuria, è sempre una sottile forma di ritorno. La morte è più festosa della resurrezione. E così, a Bagolino, per prevenire l’oblio, si portano perfino i celeberrimi campionati italiani di Braccio di Ferro, perché l’inverno che arriva è talmente una condanna da non lasciare per strada nemmeno le voci. Qui dentro, senza confini precisi, la comunità è ancora una comunità. Si respira all’unisono, al di là della ricerca economica. Continue reading Bagoss: dalla leggenda alla realtà … Famiglia Buccio
L’olio in mezzo ai compromessi… Nicoletta Manestrini
Soiano del Lago. Appena al di là del romanticismo turistico delle colline gardesane. Dove il turista vede e il venditore di ciarpame provvede. Qui devi solo sperare di andare avanti e di trovare qualcosa o qualcuno che reintegrino la tua voglia di semplicità. I menù turistici, le pizze, gli spaghetti, i locali tipici sono l’anima marcescente di un luogo che ha mietuto vittime bionde, memoriali e silenti approdi al lago. Squallidi sottoprodotti edilizi lasciano spazio a bellezze efferate, a resort in mezzo agli ulivi e ad antichi conventi rimessi a lucido per dare quel po’ di misticismo che lascia sempre un effetto di sopraffazione. Però qui c’è una luce diversa, c’è molta apertura e molto spazio, il lago affascina ma non angoscia, calma il pregiudizio, ti riporta bambino con un grasso e colorato gelato in mano e la voglia di guardare anatre e cigni dibattersi alla ricerca di una pace. Qui il turista tedesco è diventato ricco e coscienzioso, ha conosciuto la vacanza e il sole, lasciando spazio ai cugini più ad est, da quelle repubbliche fuligginose che hanno sempre visto nel colore della propria pelle l’unica percezione di appartenenza. In mezzo a questi luoghi, la famiglia Manestrini sta portando avanti dall’alba dei tempi il proprio lavoro agricolo. Continue reading L’olio in mezzo ai compromessi… Nicoletta Manestrini
Un pasticciere e la sua vocazione… Mauro Allemanni
San Salvatore Monferrato è un luogo piccolo e particolarmente pieno, dove tutte le linee, gli archi, le piazze e la storia sono messi al punto giusto. C’è molta parola, molto cortile e molta paranoia. In quella zona di confine tra bellezza e industriosità, che ha reso il Monferrato un’enclave di confusione, dove la dimostrazione di essere collina non è bastata a superare i gloriosi anni ’80, in cui Milano sembrava il centro del Mondo e il fine settimana i giorni del “come se non ci fosse un domani”. Adesso questo lato di mondo è più sbiadito e più umano, i ciottoli son tornati ad essere ciottoli, le salite salite e le vendemmie vendemmie. L’acume edilizio è il tempo di una piazza dove i portici e gli intonaci riescono ancora a costruire un languore, per il resto rimangono gli attimi senza occhi delle panchine e dei parchi, dove fermarsi a rimirare e a contemplare un usufrutto che è diventato lavoro. In mezzo alla storia, è rientrato un alessandrino fuggito per il mondo, e che a San Salvatore ha trasformato una prigionia in una pasticceria con un’idea particolarmente precisa. Continue reading Un pasticciere e la sua vocazione… Mauro Allemanni
Cascina Rossi: una commistione di generi… Stefania Bozzo Poggio
Oviglio è un castello che deflagra in una pre-collina, in cui il selvatico è l’unica forma di comunicazione. Qui il coeso è una macchina, una stradina e un profumo di bosco che riempie qualunque passione. Da queste parti ci sono ancora ristoratori che hanno il coraggio di restituire i galloni, per tornare a mangiare con i clienti che li hanno creati, ritrovando il tempo perduto. Se in cerca di una riflessione v’imbattete in queste tartufaie naturali, dove il romantico ha il volto della decadenza e non della tendenza e dove il turista è l’eccezione e non la regola, allora potete rimanere a costruire il nulla per una giornata intera, spostandovi da un sagrato ad una macelleria fino ad un bosco di querce: alla ricerca del tempo libero, in quel rumore silenzioso che è molto più vicino alla metropoli di quanto si possa immaginare. Qui è difficile concentrarsi, mancano i punti fermi dell’eccentrico, è un luogo di noie piacevoli che non può portare che artigianato. Continue reading Cascina Rossi: una commistione di generi… Stefania Bozzo Poggio
Il formaggio di capra all’interno del dogma… Rita Challancin
Arnad. Paese di lardo e paese di inverni, freddi, gelidi quasi sepolti. Qui si coltivano le noci, le annate che vanno bene, e si nascondono i maiali, tutti gli altri anni. I lardifici hanno preso gli sguardi attraverso l’autostrada, i vigneti sonnecchiano tra rupi e forti e la montagna è un pensiero coperto d’ombra per buona parte della giornata. Qui si fa Fontina, si mangia Fontina e si vende Fontina. Le bovine valdostane si cibano di fieno valdostano e fanno formaggio valdostano. Qui consorziare è significato tirarsi fuori dall’autarchia, quella che ti faceva allevare tutto e ti faceva vendere un manzo da carne con cui coprirsi di surplus. Tetti in ardesia e case in pietra, la vecchiaia è l’unico motivo di ammirazione, qui sono riusciti a tenersi stretti i tavolini da briscola in quattro e il fascino della notte calata al di sopra di ubbie e patois. Qui, una ragazza poco più che ventenne, sta provando ad attualizzare una rivoluzione mai fatta. Continue reading Il formaggio di capra all’interno del dogma… Rita Challancin
Tenuta degli Angeli: balsamico lombardo… Acetaia Testa
Carobbio degli Angeli è uno sguardo diviso tra un campetto di calcio, dove i bambini provano a crescere in quel vivaio orobico che ha portato in giro per l’Italia tacchetti e metodi arditi, e quei cimiteri con criterio che avanzano placidi al di là di qualunque svista. E così anche il Castello degli Angeli, da fortezza inclusiva, si è normalizzato in sala meeting con piscina. Il resto lo fanno i vigneti e quel senso di pace che ti pervade in mezzo ai ciottoli e che ti fa rimanere in silenzio nel rispetto della fissità locale, che rimane intatta nella sua processione di giardini, villette e strisce pedonali. Carobbio è un luogo manifesto, dove rimanere per fare cultura e dove addentrarsi tra le varie curve per scoprire che non c’è nulla se non una strettoia. Continue reading Tenuta degli Angeli: balsamico lombardo… Acetaia Testa
Tenuta Maria: un luogo nascosto dove la bellezza non basta…
Cenate Sopra. Imbocco della Val Cavallina. Territorio senza legami, molto compito e altrettanto devoto, dove fuoriuscire dalle righe, finanche attraverso la bellezza, è una forma mancata di rispetto che non riesce nemmeno più a scuotere. Qui si va per boschi, si vedono i cambi delle stagioni, si va a messa e ci si conosce un po’ tutti e un po’ poco. Escursioni semplici, sentieri selvatici senza paradigmi, i rami s’intersecano sempre nei piedi e gli alberi chiudono più che aprire. Cenate Sopra è un posto tranquillo a metà strada. Senza fascino e senza attualità. Di una bellezza spoglia ma assolutamente quotidiana. E così bisogna uscire dal paese, sbagliare strada, inerpicarsi e tornare indietro. Tenuta Maria è un luogo fuori, esteticamente perfetto in un nascondimento profondo, quello della provincia bergamasca e quello di una gestione che ha provato ad arrivare attraverso il silenzio.
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Un passato, un presente e un futuro… Agitu Ideo Gudeta
Valle San Felice, comune di Mori, propaggini della Val di Gresta, dove il distretto del biologico ha portato un nome prima di qualunque discussione. Un luogo mitigato e terrazzato dove i paesi diventano frazioni e le frazioni non superano mai il nitore. Qui ci sono poche cose definite, il bar, la banca, la fontana, il centro, l’acciottolato, i bambini, le sigarette e il caldo. È difficile prescindere dall’incontro e dalla richiesta, è tutto così facile, pieno, quasi fiabesco. I posti sono di un moderno decadente, anima puerile di un tipo di architettura tragica, quella che non progetta il futuro ma lo preconizza. È un biologico desueto, con nomi anacronistici e coltivatori di cavoli sostenibili. Qualcosa pre-armonizzazione e pre-comunicazione. E così le barbe lasciano ancora il posto alle rughe. Da queste parti una ragazza etiope ha imposto il suo credo e il suo allevamento come deterrente naturale all’abbandono, facendo della sua storia il paradigma di un racconto che ha solleticato le parole di molti… Continue reading Un passato, un presente e un futuro… Agitu Ideo Gudeta