Circoli chiusi e circoli aperti del miele… Sergio Zipoli

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Romanengo. Pianura cremonese. Nient’altro che provincia, qualche casa bassa, un macellaio star, un sistema di cascine, rotazione colturale, case basse e foto in bianco e nero. Questo è un orizzonte ormai consumato, non ci sono più fascinose oasi di quiete in cui fermarsi per contemplare l’inverno. Sembra un senza-paesaggio di Paul Morand. L’ascesi della Bassa qui è stata perversa, piegata ad una volontà di hinterland e di riposo dove si vive tra serenità e misteri. È un buon luogo dove ritirarsi dallo stress lavorativo e far crescere i propri figli. E così uno ha anche del tempo per crearsi un’attività e per provare a fare della qualità al di là dell’apparenza.
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La profonda disparità dell’alpeggio…

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Ecco il nostro sogno del pascolo vagante. Un’immagine dai contorni poco delineati, fumosi, assolutamente pre-giudicati. Perché l’alpeggio è un versante talmente candido che a volte non si chiede più contezza della bontà. Il formaggio è definito dal luogo in cui viene prodotto e i palati iniziano a sentire sinfonie estive di erbe e fiori. Lì c’è una storia che andrebbe letta per paragrafi prosaici o per antitetici menestrelli.

Si parte 3500 anni prima di Cristo… Continue reading La profonda disparità dell’alpeggio…

L’estremo rispetto dello stagionatore… Stefano Lunardi

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Aosta. Pochi parcheggi, centro storico delimitato, irriguardosa presenza di bellezze naturali e di accenti apotropaici che tolgono la velleità di lamentarsi. Il patois locale è un’inflessione recuperata ma mai scomparsa, parlata ma mai imposta. Qui siamo in una di quelle zone di confine dove una Nazione diventa un’altra. Il limite come terra di mezzo tra soglia e confine. Qui l’Italia necessariamente diventa Francia. Senza complimenti e senza recisioni. Aosta è il luogo simbolo del passeggio e del passaggio. La gente corre e si allontana sulla strada per Pila o per la Valtournanche, rimane giusto il tempo di un negozio. Il resto è sguardo e nostalgia. Perché qui c’è una bellezza disillusa che non riesce a richiamare perché divertimento e relax sono concorrenti troppo ostici. Così chi rimane deve fare le cose seriamente, guardando al territorio e alla tradizione. Continue reading L’estremo rispetto dello stagionatore… Stefano Lunardi

Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre

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Ayas. Un’estate che non vedo se non attraverso vecchie fotografie di un borgo recuperato. La valle più bella della Val d’Aosta. Almeno così nei racconti. L’immaginazione è quella di un luogo molto oltre i suoi duemila metri, i borghi recuperati e la pietra a vista. Le caratteristiche abitative non appartengono ad un invasione ma ad una collisione. Legno, roccia ed erba. Fuori e dentro la casa. Con quei pascoli che si vanno svuotando, rendendo l’oltre impossibile. Il cielo è il limite e così le vacche mangiano il mangiabile ridando indietro un po’ di Sicilia e un po’ di Irlanda. Ma questo è inverno e c’è ancora, rarità nella rarità, chi ha deciso di produrre il proprio formaggio solo in alpeggio. Quattro mesi all’anno o poco più. Il resto è una transumanza, meditata dagli anni che passano, verso un luogo e verso una professione che è diventata casa nel corso degli anni. Continue reading Tome d’alpeggio e sabot della Val d’Ayas… Mario Favre

Formaggi, errori, linciaggi e perdoni… Giacomo Romelli

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Breno. Strada per il Passo Crocedomini. Là, verso quel valico ormai chiuso per la troppa neve, i pastori hanno sempre fatto i pastori, gli animali hanno sempre fatto gli animali e i turisti hanno sempre fatto i turisti. Tutti buoni e tutti stronzi. Questo articolo è un pensiero condiviso da quattro persone, probabilmente becere e qualunquiste, ma sicuramente alla vana ricerca di togliersi almeno uno dei pregiudizi…

Questa è una storia di linciaggio, di morte e di assenza di redenzione. È una storia di occhi svuotati dalla morte e dalla disperazione. Che il mondo di oggi sia un mondo senza Dio non devo certo corroborarlo, basta guardare il luogo dell’ignominia dove alberga il giudizio sull’altro, per non riconoscerlo più come gusto ma come disgusto. Alla fine, ci continuiamo a nascondere, e siamo diventati tutti un po’ più cattivi. Eppure, un paio di migliaia di anni fa, un tipo abbastanza brillante, tunica e barba lunga, parlava di pietre scagliate, di perdono e di redenzione. Ma l’ascolto non è riuscito a diventare un rogo. Continue reading Formaggi, errori, linciaggi e perdoni… Giacomo Romelli

Formaggi territoriali e rifugi antiaerei… Il Brè e Rosario “Beppe” Gelfi

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Breno. Fondo valle. Giornata cupa. Inizio dicembre. Sommessamente perso tra le nuvole basse, l’asfalto incomincia a diventare sampietrino e le piazze iniziano a colorarsi di pastello. La Valle Camonica ha uno spaccato al di là dell’industrializzazione coatta che l’ha resa immensa fuori dall’immaginazione. E questi viali, i palazzi, il castello, le chiese, la dedizione di un orario che porta a stare dentro più che fuori ma soprattutto le fontane, la continua presenza di acqua, l’umidità, l’ombra del Crocedomini, la presenza del neolitico, il ritrovamento del solito cereale nel solito tascapane dell’ennesima copia di Ötzi, fanno di Breno un luogo diverso perché senza fretta. Turistico con delle bellezze che riescono a mantenere intatti i silenzi di una natura che non c’è più. O almeno non c’è lì. Perché basta alzare lo sguardo e il territorio diventa prati e alpeggi, diventa la stessa idea supportata da quel luogo e da quei paraggi. Pietra, acqua e stagionatura dei formaggi. I pascoli del territorio brenese sono tra i migliori in Lombardia. Si fa Silter, si tacita il Bagoss e si sofistica il Bagosso. Perché lassù, in quel trivio dove i formaggi bresciani hanno creato la leggenda, l’erba è talmente buona da diventare conservazione. Continue reading Formaggi territoriali e rifugi antiaerei… Il Brè e Rosario “Beppe” Gelfi

Enoici salumi di pianura… Roberto Migliorati

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Cremosano ma per pura casualità. Il cartello che definisce la fine di Crema è un pelo prima, il paese è lontano sull’imperdibile Strada Provinciale 2, una freccia che taglia la pianura senza alcun tipo di desiderio. I monumenti cittadini sono alle spalle, il freddo lacera le rotonde con quelle macchine che trapassano i non-luoghi senza nemmeno accorgersene. Un centro commerciale lascia spazio ad una concessionaria che lascia spazio ad un capannone in produzione di muletti e così l’intercessione non è più nemmeno una questione di fede. Qui si abbandona, si passa e si lavora. Il resto bisogna cercarlo un po’ più fuori, tra fiumi e boschi, o più dentro, tra chiese e piazze. Così è meglio non affiancare la vendita alla produzione. Un po’ di nascondimento, un furgone refrigerato e la voglia di viaggiare bastano alla genesi di un artigiano. Roberto Migliorati fa il norcino dalla notte dei tempi, suo padre faceva il norcino dalla notte dei tempi, suo nonno… forse suo nonno no… ma son dettagli…

Il calore del salume è lontano, le osterie che spengono la nebbia e accendono i camini, rendendo alla bassa quella vita che si è persa nella sonnolenza, anche, il capannone è l’immagine produttiva di qualcosa che non si edulcora più o che non si è mai edulcorato. Roberto girava per le cascine, portava in saccoccia la sua arte, imparando a mangiare ma soprattutto imparando a bere. Continue reading Enoici salumi di pianura… Roberto Migliorati

Paste e nebbie… Sandra Viviani

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Cortemaggiore. Perpendicolarità romana all’interno di una struttura agricola che lascia intatte le chiese, i portici e quei colori pastello che sembrano trasportati da una Mitteleuropa lontana anni luce. Soprattutto nella decadenza. Qui si coltivavano pere e si coltivano pere, si piantava mais e si raccoglie mais, si estraeva petrolio e non si estrae più nulla. Cortemaggiore è rimasta una provincia piacevole, uno di quei paesi dove non è così necessario che il paesaggio rimanga solo passaggio. Ci si può anche fermare per scaldarsi, per guardare i decumani, per sedersi ad un tavolino o sotto i gradini di una chiesa, per guardare quei campi lascito culturale di un’Italia ferma al bianco e nero, alla serietà, alla prosopopea e alla caricatura. Dove si mangia in casa e dove si mangia al ristorante, perché siamo molto oltre o molto prima del prodotto tipico, di quei luoghi talmente pantagruelici da non avere eguali nel mondo. Da nessuna parte. In questa provincia, l’esaltazione culinaria non è mai scesa a compromessi, si è solo un po’ sporcata e un po’ digitalizzata. Ma il pudore delle rughe continua ad infarinare mattarelli. E così nasce il mestiere della pastaia che ha appreso la manualità dei ristoranti, dei Cantarelli e di tutte quelle trattorie che han creato un’eponima maniera di definire questi luoghi, bassa padana. Qui, Sandra Viviani ha deciso di sfidare l’establishment e di provare a fare del tortello un mestiere. Continue reading Paste e nebbie… Sandra Viviani