Una storia conquistata… Claudio Gatti

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Tabiano Terme. Città del respiro e del turismo dopo il turismo. I primi venti, le prime nuvole e la città si è sempre riempita di cortei ducali e rughe senza temperanza. Così, nella cogenza di una pelle da restaurare, lo zolfo più pregiato d’Europa è sempre servito come succedaneo della bellezza. Il turismo arrivava, si tappava il naso per le esalazioni e tornava ad immergersi in un clima di relax, un po’ lascivo e un po’ sonnolento. Con quel languore, a metà strada tra l’estate e l’autunno, che dei balli, delle cerimonie, dei maglioncini di cotone sulle spalle e soprattutto della struttura decadente della vita, quell’architettura belle epoque senza smagliature, ha scritto le pagine fondanti di un turismo che non esiste più se non nei nomi. I bagni di Tabiano sono preda di pullman convenzionati con il calcolo dei decessi: salute uguale guadagno. Così il castello fa storia a sé e il paese è un intrecciarsi di parcheggi, alberghi ed edifici languidi. Però che meraviglia questa possibilità tardiva di non conformarsi al progresso. Che rimanga così nel suo anacronismo e su quei colli agricoli che di sfruttamento han sempre campato!
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Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli

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Caslino d’Erba. Finalmente. La Brianza diventa una definizione priva di senso e il lago di Como non patina ancora quella verità che pende dalla roccia. Qui si allevavano capre e si producevano i caprini di Caslino, ora si allevano le capre e qualche famiglia si produce il formaggio per sé e per i propri amici, in quel retaggio carbonaro da parola d’ordine e scambio del latticino dietro l’angolo tra il lattaio e il fabbro. Cascate in città, acqua limpidissima, un gruppo di anziani squadranti che non diminuiscono la soglia d’attenzione verso il forestiero almeno dal 1957, sensi unici e molta pietra. Caslino è un piccolo gioiello medievale prestato al secolo lungo senza dissensi e senza dissidi, perché qui le persone non hanno ancora scoperto la brevità del tempo. Così, quando Damiano Fumagalli, ormai qualche anno addietro, si è messo a cercare un forno a legna per produrre il proprio pane, ha visto in Caslino il posto giusto dove “crederci” senza sforzi. Continue reading Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli

Albori di qualità… Pierluigi Fornero e Emanuela Calliero

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Luserna San Giovanni. La pianura puzza ancora di industrie tessili e diindustrie dolciarie. Qui ci si complicò la vita con il gianduiotto e si continuò a guardare le valli valdesi come una forma di comunità al di là di tutto. Il calcio è diventato hockey su ghiaccio e le Alpi Cozie hanno dato sostentamento e visibilità alla valle. I formaggi si sono nascosti dietro e sono fuoriusciti i tetti in pietra. Qui, le cave della pietra di Luserna, che ricadono principalmente in Valle Po, i fiumi che imbottigliano acqua andando sul ghiaccio, quel liscio e piatto che dei tetti di tutto il mondo ha creato un paradigma, non hanno lasciato molto alla terra, volgendo gli sguardi nella certezza di qualcosa di maturo. Così, fermarsi è un elogio più che un desiderio. Il motivo è quello di una pasticceria dal nome evocativo: l’Alpina. Continue reading Albori di qualità… Pierluigi Fornero e Emanuela Calliero

Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

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Osasco. Pochi kilometri fuori Pinerolo. La provincia di Torino è sempre stata un po’ nascosta e un po’ triste. Il capoluogo ha dissuaso gli animi meno stanchi. Ci sono delle strade statali che portano verso le valli, ci sono campi di granoturco, qualche coltivazione fuori luogo e fuori tempo massimo, una voglia di fuga che non costringe e una montagna talmente vicina da non diventare mai fascino. Qui, tutto è molto concreto, l’immaginazione e il lavoro sono antipodi di una stessa mancanza. Questa provincia torinese non ha retaggi, non ha richiami, non ha bisogni e non ha desideri. Fiacca e nebbiosa, blocca le gambe sia per il mestiere che per il diletto. La bellezza del dialogo ha una struttura che passa per troppi sospetti e così le persone che incontro han perso quel po’ di tipicità, rendendo le chiese tutte un po’ più squadrate. La cascina, come stratificazione sociale, è stata ricoperta di tegole e di energie rinnovabili. La zappa è stata sostituita dalle catene di Sant’Antonio. Ma un cancello in ferro richiede ancora un po’ di tempo, prima di una classica passeggiata autunnale alla ricerca di un cioccolato pinerolese da labbra tumefatte. Il cartello scandisce “Elicicola Osaschese” e disegna una chiocciola… Continue reading Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

Il paese dei balocchi dei macellai… Dario Geymonat

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Bobbio Pellice. Val Pellice. Una delle Valli Valdesi. Insediamenti umani, ritorno affettato ad un cristianesimo primigenio ma progressista e aperto alla diversità, gli anti-Amish locali senza cuffietta e senza più retaggi. A pochi passi da qui si svolge il Sinodo annuale dove tutti i rappresentanti delle varie Chiese si riuniscono per deliberare e mettere in discussione. Intanto, nel mentre, in quello scorrere di un fiume con poca acqua, la Val Pellice non è stata messa in vendita e non è stata nemmeno acquistata. Pochi turisti, strade sempre più strette, pochi approdi facili alla libertà della vista, alberghi pressoché inesistenti, pochi ristoranti, poche aziende agricole in vendita diretta e gli allevatori/casari tutti in alpeggio a produrre Seirass del Fen (la loro ricotta stagionata nel fieno) e una toma assolutamente da controllare. Bobbio Pellice è l’ultimo paese di una valle fin troppo nascosta, affascinante, boscosa, con i tetti in pietra di Luserna e i tornanti ripidi tra castagni e betulle. Qui c’è ancora la cultura del raccolto e della costruzione, ma soprattutto, in un abitato di poco più di cinquecento anime, tra il benedetto e l’eretico, ci sono due botteghe di macelleria, due prodotti tipici, ma soprattutto due macelli. Continue reading Il paese dei balocchi dei macellai… Dario Geymonat

Profumi di forno a legna e fatica… Nazareno Tusa

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Monreale è un paese di panifici, panettieri e casalinghi possidenti un Fiorino, che la domenica si trasferiscono a Palermo a vendere il pane a tutti quei cittadini che non riescono ad esimersi dal rito del pane caldo. Perché la Sicilia è un luogo dove il sesamo, la rapida lievitazione, il calore della mollica e la fragranza di un rimacinato a colpi di martello, sono sempre stati effigie di qualcosa che va molto al di là della semplice fragranza del pane. Mettersi in coda al panificio alle sette di sera continua ad essere un rito. Non c’è nemmeno bisogno di collocare fuori i cartelli, il palermitano mangia pane caldo a pranzo e pane caldo a cena. E la domenica è costretto ad accontentarsi di un’oleografia del pane monrealese o almeno di quello che si faceva una volta, quando la povertà era la più fiera oppositrice del calore dei lievitati. A Monreale, però, c’è un forno a legna, dove le abitudini non sono così tanto cambiate e dove la fatica dell’artigiano è un parossismo impossibile ai più. Continue reading Profumi di forno a legna e fatica… Nazareno Tusa

Sicilia rurale, capre Girgentane, meloni siccagni e un mondo dove il giudizio è sospeso… Fratelli Capuano (featuring Gino Romana)

Caltavuturo è un paese sfiorato. Ha delle vie, qualche bottega, una piazza ristrutturata, emigranti e reduci, maestri elementari, corriere da prendere, qualche volto meno dilaniato e qualche volto trattenuto, giovani che se ne vanno senza ritornare e giovani che ritornano senza mai essersi mossi, vista a perdita d’occhio e una quantità di campagna agra, difficile, meravigliosa, che toglie il senso a tutte le Sicilie che non siano questa, quella dei carovanieri, dei pastori, della siccità, del vento tramortente, delle gradazioni di giallo e marrone, degli olivi e dei pomodori. Il barocco e le isole sono esempi straordinari di civiltà, ma solo in queste lande si esce fuori dal tempo, riappropriandosi di una dimensione rurale. Qui, la pennichella e il sole gestiscono ancora umori, rumori, gradazioni e tempi scenici. Continue reading Sicilia rurale, capre Girgentane, meloni siccagni e un mondo dove il giudizio è sospeso… Fratelli Capuano (featuring Gino Romana)

C’è ancora un cannolo a Piana degli Albanesi… Marco Cuccia

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Piana degli Albanesi. Minoranza etnico-linguistica arbereshe. Rito greco-bizantino. Un luogo con una doppia lingua e con una civiltà evoluta, dove il dialogo non è mai una certezza. Un lago artificiale di mezza-montagna, una strage dimenticata se non fosse per una decina di monoliti, stile Stonehenge, a ricordare gli undici lavoratori uccisi da non si sa bene chi (strano!!), delle tradizioni gastronomiche e un centro storico nascosto in mezzo ad una conca a settecento metri d’altezza, a metà strada tra il medioevo e il barocco. Qui si è mantenuta una cultura, i territori sono sconfinati, le varie guerre di mafia hanno messo in testa più di una pietra, a mafiosi e ad innocenti. Piana degli Albanesi è un luogo isolato senza un reale retaggio turistico. Unico, sopra tutto, il cannolo e quelle dimensioni che, nelle leggende, più si sono allontanate dalla fonte, più sono diventante pantagrueliche, enormi, sesquipedali, senza più un recinto. Così la necessità al nutrimento ne ha fatto un’effigie e il geometrico contemporaneo un ostracismo. Ma il sentito dire è il motore di una sagra di paese, il resto è lavoro e quotidianità, in quell’andito dove Marco Cuccia ha deciso di normalizzare il tutto verso la strada della qualità. Continue reading C’è ancora un cannolo a Piana degli Albanesi… Marco Cuccia