Alta Val Brembana. Isola di Fondra è un paese che non esiste, le anime sono in disfacimento. Forse un centinaio, forse una cinquantina. Frazioni e molto abbandono. Una straordinaria conca dove il sole si vede poco, dove i larici si alternano agli abeti, garantendo all’autunno la propria appariscenza, e l’acqua, tra il Fiume Brembo e le cascate laterali, intacca la pietra, le chiese e i ruderi rimasti ormai corrosi dal giallo. Ormai c’è solo vista. Ci sono le stagioni, sì, c’è qualche lavoro, ci sono i versanti ripidi della Pietra Quadra che si abbattono sulla possibilità di continuare a richiamare persone e poi c’è quell’opportunità vana di restarci o di passarci. Lì, nel rombo dell’acqua che mette tutti i dolori a posto, in quella vista esoterica che va a sfiorare la prima neve autunnale, turisti dello sci e malgari si dividono il passaggio ulteriore, quello verso la montagna vera, o almeno quello che le Orobie hanno ancora da offrire. Questi paesi, ad ottocento metri d’altezza, sono l’anima perduta di quell’Italia che non ha l’aspetto laccato dei pascoli felici e dell’accento teutonico, che non ha saputo re-inventarsi un modo per portare il decadimento, le centrali idroelettriche e l’intransigenza delle scuole con il predellino al di là del secolo breve. Così le sparizioni diventano più fughe che morti ed Isola di Fondra rimane lì già nella memoria di un passaggio e di quei muri scrostati che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Così, senza nemmeno accorgersene. Continue reading Il Formai de Mut senza patine… Gianfranco Paganoni
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L’anima scura del Carrobiolo (!!?!?)… Pietro Fontana
Monza è una città grigia, senza eminenza, quasi sepolta. I viali alberati portano realtà più che realismo, le rotonde hanno attorniato il parco e le strade divelte hanno reso più facile il vassallaggio nei confronti di una provincia mai sentita come tale. È una città borghese in decadimento, con gli acciottolati, gli accenti anti-melodici e le abitudini a considerare il passato come l’unica fede nella sparizione delle brutture. La Feltrinelli si chiama ancora Ricordi e il Palazzo dell’Upim troneggia enciclopedico per una resistenza diventata vilipendio. La Monza da bere ha portato poco alla gastronomia, sicuramente meno delle sue appendici brianzole e sicuramente più di quello che la gente del Campari pensa di avere tra le mani. In una di queste piazze senza destinazione d’uso, Pietro Fontana ha deciso di trasferire il suo opificio brassicolo dal convento che l’ha ospitato per anni. Il Carrobiolo si è rinnovato e ha creato un luogo che qui, prima e qui, dopo, non c’è mai stato e mai ci sarà: un brewpub di una bellezza contemporanea, mattoni a vista, legno e vetro. Continue reading L’anima scura del Carrobiolo (!!?!?)… Pietro Fontana
Lievitati e classicismo… Alberto Roffia
Milano. Via Melchiorre Gioia. Tra la Maggiolina e Greco, in quell’angolo metropolitano dove le macchine s’incolonnavano nella speranza che non si rompesse lo “spannavetri” e dove la nebbia prendeva gli ultimi lasciti da un hinterland che non era ancora se non nella fabbrica. Molto prima delle abitazioni, dei pubblicisti che occupavano villaggi di case monofamiliari in periferia, della decadenza, dei centri sociali e degli strascichi per contadini urbani e orti idroponici, qui si provavano architetture futuristiche per creare enclavi di benessere al di là di quella Milano a fisarmonica che si è portata via tutto… oltre la ferrovia, oltre quei luoghi che sanguinavano di rosso e che le cicatrici han deciso di richiuderle da sé. Così, Via Melchiorre Gioia è sempre stata fosca di abbandoni e di accoglienze. Chi arriva e chi va. Ma chi l’ha mai guardata? Chi ha cercato una logica consumistica, chi l’ha legata alla città dello stare bene e chi non ha mai smesso di sottoporsi alla necessità della risposta. Gli altri sono passati. Ma un paio di angoli meritano ancora di essere assistiti, magari seduti ad un tavolino, guardando quelle maledette corsie trasferire immondizia e felicità da borse piene. Continue reading Lievitati e classicismo… Alberto Roffia
Salumi ovattati nei segreti… Antonello Beccalli
Costa Masnaga. L’ennesimo paese brianzolo appena fuori dalla Valassina. Case basse, vite rilassate, macchine laccate, industrie tessili, alberi di gelso divelti, colline, acciottolati, torri medievali, strade in salita e strade in discesa, per quello che non è più nemmeno un privilegio ma il solito rituale ripetersi dell’uguale a se stesso. Così bisogna andare in profondità in quella spesa paesana che è ancora compravendita, trattativa, chiacchiera e riprova. In quella critica da prosciutto grasso e prosciutto magro da cui nessuno, nemmeno il più romito degli artigiani iconoclasti, può provare a prescindere. Costa Masnaga effettivamente resta lì, inutilizzabile, chiusa in quelle botteghe che al mondo là fuori hanno smesso di credere, accontentandosi del passa parola, del lattaio, del macellaio e del panettiere. La vita di paese è la dimostrazione di una tensione alla vecchiaia che è la più salda delle grammatiche italiche di sopravvivenza. E così, cappotto infeltrito e giù di dialetto. Continue reading Salumi ovattati nei segreti… Antonello Beccalli
L’ultimo taleggio d’alpeggio… Antonella Doniselli e Natalino Baruffaldi
Val Biandino dal Parcheggio delle acque Norda a Primaluna. Asfalto, sassi e buche. Il rifugio Tavecchia prevede le richieste del cliente e manda giù fuoristrada, togliendomi dall’impaccio di scontrarmi con gli anni diventati kili. Valle chiusa, la Valsassina non diventa nemmeno un puntino, sparisce in mezzo a tutti quei passi metropolitani di milanesi ciancianti avventure nel mondo, tripudi di abbronzatura, scalate inverosimili e cani laccati. Queste valli sono estremamente cittadine, molto bagnate e assolutamente piene di gente. Qui le tradizioni si sono scontrate con la voglia di costruire e con la voglia di trasformare la montagna in qualcosa di accessibile. La Valsassina, in quegli sguardi bronzei, consapevoli e vanagloriosi, diventa un pezzo di Dancalia, un racconto di una polenta mangiata su tavoli di legno per vivere il brivido del fine settimana. Eppure ci sono ancora persone e luoghi seri. Perché la natura si svuota di chiacchiere e si riempie di pietre, gli alberi finiscono e rimane una vallata straordinaria dove l’alpeggio è stato ingentilito, i fiumi dividono e i larici arrivano fino al Lago di Sasso dove la montagna diventa luna e stambecchi. La mano dell’uomo ha provato a portare tutto alle categorie di valle, riuscendoci a tratti. La famiglia Buzzoni gestisce un rifugio preso d’assalto senza molti compromessi, garantendo ancora ospitalità e soprattutto una scelta mirata di prodotti buoni. Continue reading L’ultimo taleggio d’alpeggio… Antonella Doniselli e Natalino Baruffaldi
Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli
Caslino d’Erba. Finalmente. La Brianza diventa una definizione priva di senso e il lago di Como non patina ancora quella verità che pende dalla roccia. Qui si allevavano capre e si producevano i caprini di Caslino, ora si allevano le capre e qualche famiglia si produce il formaggio per sé e per i propri amici, in quel retaggio carbonaro da parola d’ordine e scambio del latticino dietro l’angolo tra il lattaio e il fabbro. Cascate in città, acqua limpidissima, un gruppo di anziani squadranti che non diminuiscono la soglia d’attenzione verso il forestiero almeno dal 1957, sensi unici e molta pietra. Caslino è un piccolo gioiello medievale prestato al secolo lungo senza dissensi e senza dissidi, perché qui le persone non hanno ancora scoperto la brevità del tempo. Così, quando Damiano Fumagalli, ormai qualche anno addietro, si è messo a cercare un forno a legna per produrre il proprio pane, ha visto in Caslino il posto giusto dove “crederci” senza sforzi. Continue reading Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli
Prodotti nella nebbia… Fratelli X*
X. Pianura sud-occidentale bergamasca. Tra l’Adda, i palazzi surreali, i palazzi casolari, i palazzi nobiliari, gli inceneritori, le rotonde, le prostitute sotto schiaffo ma soprattutto la distruzione dell’antropizzazione della mia adolescenza. La BreBeMi e la nuova Rivoltana hanno lasciato sul campo piccoli artigiani, piccole aziende, grandi aziende, grandi artigiani, alberghi-trattorie da omicidio appena compiuto e necessità di un nascondiglio, venditori ambulanti, Pippo il melunaro, che vendeva angurie e cipolle di Tropea sulla Cassanese e che è stato costretto a spostarsi sulla soglia del primo albero con radici, ma soprattutto interi paesi completamente tagliati fuori da tutto, dallo scibile e dall’invisibile. La Pianura Padana è il nostro Far West, la conquista più facile di personaggi in giacca e cravatta e dalla cadenza dilazionata tra l’itagliano e il missionario. Con strette di mano convinte, cravatte annodate, giacche sudate e pedaggi astronomici. Continue reading Prodotti nella nebbia… Fratelli X*
Dei profumi assolutamente inaspettati… Alessandro Bignamini
Melegnano non è altro che un casello autostradale. In questo nome flessuoso, non c’è nient’altro che un pedaggio da pagare, file da decomporre e un rientro dalle vacanze che rilascia solo nostalgia. Eppure ci sono delle persone che qui vi abitano, che qui lavorano e che qui passeggiano. Esiste un centro, delle rotonde, delle enclave di migliorabilità, uno snodo tranviario, un palazzo comunale, i giardini del castello e un acciottolato che, al di là di tutto, lo rende più piacevole di qualunque svincolo. Eppure, rimane sempre un punto di passaggio, tra l’Emilia e la Lombardia, su quel fiume Lambro che non lascia nient’altro che campi di granoturco e di soia, rogge e strade troppo strette. Così, in una via anonima, di luoghi dove i lavoratori si sono sempre succeduti, almeno fino alla crisi, la famiglia Bignamini-Bellomi, negli anni ’80, dopo aver visto, in un racconto tra il surreale e l’avanguardistico, l’insegna “Amico”, l’ha importata apponendola al proprio panificio.
A monte di una comunicazione anacronistica… Continue reading Dei profumi assolutamente inaspettati… Alessandro Bignamini