Castel d’Ario dopo pranzo ha la stessa aria di Castel d’Ario prima di pranzo. Forse le strade si allargano un po’ di più o forse è solo la cinta. Il mio anfitrione, Marcello Travenzoli, è la più dissacrante guida turistica che potessi trovare. Castel d’Ario non viene nemmeno nominato, il centro viene palesemente snobbato così come l’assenza di qualcosa che non siano villette ad un piano. A lui interessa il prodotto, il ruminare, il coltivare, il brandire dei libri diventati zappe in una notte di plenilunio e di indisponibilità d’idiozia indotta. Castel d’Ario, se avesse più barbe, delle riviste che non siano elenchi telefonici scritti da messi comunali e delle tavole di legno eco-componibile, non sembrerebbe comunque Portland. Continue reading Pastai a filiera corta… Antonio Camazzola
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Baffi surrealistici e cereali post-antichi… Marcello Travenzoli
Castel d’Ario. Il paese del riso alla pilota e di Tazio Nuvolari. Case basse e campi di Vialone Nano. L’antropizzazione è un fatto più sociale che territoriale. I posti si definiscono attraverso i luoghi comuni. Il salame è un passa parola così come il mangiar bene. Qui non ci si riconosce nei dogmi. Il Veneto si è portato via ricchezze e povertà. Qui, al confine dell’impero, in una traccia climatica dove la nebbia è nebbia, le zanzare sono zanzare e il caldo stempera la voglia di cercare altrove, la primavera non sa ancora decidersi. Continue reading Baffi surrealistici e cereali post-antichi… Marcello Travenzoli
Il nome è un presagio di pasticceria… Grazia Mazzali
Governolo. Parco del Mincio e frazione di Roncoferraro. In quell’angolo di Lombardia così remoto da togliere la poesia del viaggio da compiere. Il sapere di essere in un crocevia di culture e sensazioni non aggiunge nulla alla difficoltà dell’approccio. Se parti da Milano, hai due scelte: o circumnavighi e arrivi da altre regioni oppure ti appresti all’ignominia politica del traffico. Probabilmente i notabili locali non sono stati così influenti da costruire una linea retta. Questo mantiene pudore e senso. Ed è tutto lì, al di là della bellezza. Tra i pescatori del Mincio e i pioppeti, si alternano capanne, approdi e paesi. Il resto è piatti tipici e identità popolare. Continue reading Il nome è un presagio di pasticceria… Grazia Mazzali
Fare il contadino o vendere ai russi?… Angelo Viscardi
Bergamo, città alta. Impossibile? Invece no. Esistono ancora dei centri storici a vocazione agricola, anche se, lentamente, la bellezza dei tramonti, lo sguardo austero sulle mura e sulle fortezze, la natura punteggiata dalle abitazioni, le cascine rimesse a lusso, stanno lasciando spazio all’incoerenza dei cipressi, alla bellezza come gioco universale, agli ulivi di ricchi imprenditori di ricchi oli, alla desaturazione degli orti e degli agricoltori in una bellezza senza tempo, dove anche piscine e caserme della finanza riescono a trovare il loro posto mimetizzato. Qui, era pieno di contadini che lavoravano sopra il petrolio. Continue reading Fare il contadino o vendere ai russi?… Angelo Viscardi
Un eroe rurale… Giacomo Perletti
Oltressenda Alta. Comune sparso. Un solo obbligo: il passaggio da Villa d’Ogna. La Val Seriana si fa natura ma non dimentica la sua vocazione. Così la Festi Rasini, azienda manifatturiera, ruba la scena a qualunque implosione emotiva. Non ci sono fili d’erba e nemmeno torrenti. C’è solo un complemento d’arredo chiamato bosco. Così le ciminiere, i mattoni refrattari, i tetti a shed, i colori bruciati, i vetri rotti, il cemento da minestrina serale, tolgono la nebbia industriale, mantenendo intatto il proprio monumento. Rimanere sarebbe un vile espatrio, così sono costretto a rimirare tutto dall’alto, dove la natura è stata costretta a ritornare natura. Continue reading Un eroe rurale… Giacomo Perletti
Un dolce autentico… Giancarlo Cortinovis
Ranica. Un paese troppo vicino a Bergamo e non ancora Val Seriana. L’industria del tessile e quel fascino archeologico non hanno ancora del tutto preso le anse del fiume Serio. Ma già hanno la loro meditazione. L’acqua ha portato una rivoluzione industriale e investitori stranieri. Più la valle sale, più ciminiere e fabbriche mostrano la loro fatica. L’abbandono è un viatico più che un pensiero. Mattoni refrattari, fornaci, vetri rotti, ponti scoscesi, bordi del fiume, ponti in acciaio e legno, rapide in serie e un continuo cambio di paesaggio. Ranica è solo l’accenno di un’archeologia industriale che, in mancanza dell’Unesco, dovrebbe essere tutelata quanto meno dall’etica pura di fottersene del popolo. “Pane e fornaci” sarebbe il motto di una zona che dovrebbe vivere sul fascino della dimenticanza. I fallimenti, gli scioperi e l’abbandono non sono buone maschere per il sabato pomeriggio. Continue reading Un dolce autentico… Giancarlo Cortinovis
La campagna pavese, i suoi salami e le sue stupefazioni… Chiara Contardi
Località Rivazza. Borgo Priolo. Quando la campagna non ha più molto da aggiungere. Paesi e stradoni sono tagliati fuori, la natura non è ancora collina, l’asfalto delle strade inizia a produrre buche e disinteresse e i filari di vigneti non compongono né graticci né castelli. Qui, c’è il solito abbandono misto a disinteresse che lascia il gracidare al gracidare, il gracchiare al gracchiare e le cascine alla decadenza. La cultura gastronomica è fatta di piatti nebbiosi, ma senza reticenza. Tutto ruota attorno ai salumi, anzi, ad un salume, quello per cui non si scende a compromessi, nei gusti e nel prezzo: il salame. La famiglia Contardi, dai ricordi complessi e dolorosi, ha ripreso in mano un vecchio market su un curvone, dove provvedere alla somministrazione per le quattrocento anime vive della frazione. Continue reading La campagna pavese, i suoi salami e le sue stupefazioni… Chiara Contardi
Dalla macchina al cioccolato… Famiglia Datei
Borgo Priolo. Un insieme di frazioni che suddividono la geografia. Dal basso verso l’alto. L’industria scompare, compaiono le campagne, le campagne scompaiono, compaiono i vigneti. È un succedersi di minuscoli centri abitati intervallati da curve all’inizio di quell’Oltrepò Pavese che non ha ancora visto un’urbanizzazione spinta. I canali rimangono canali, la natura è diventata coltivazione, i monti sono in realtà colline e l’estensione è quella di un capoluogo di provincia con centomila abitanti in meno. Per ogni indigeno ci sono tre filari di vigneti, dieci alberi, quattro pietre e un paio di curve per sovrammercato. Produrre qualcosa che non provenga dalla terra è uno stravolgimento dell’ozio. Continue reading Dalla macchina al cioccolato… Famiglia Datei