Alba è il luogo giusto per fare tutto. La gastronomia qui non è un’eccellenza casuale. In mezzo alla sofisticazione di chi è arrivato dopo e si è voluto prendere il giochino, in mezzo a quelle diciotto panetterie per poco più di trentamila abitanti, ci sono motivazioni difficili da tenere segrete. Ad un massimo di un’ora di macchina si ha accesso a tutto, dall’uva all’olivo, dai formaggi d’alpeggio alle nocciole, dalla frutta agli allevamenti di Piemontese fino al tartufo. Qui la trasformazione deve essere una dichiarazione d’intenti e di protezione, un modo per evitare l’estemporaneità della cucina contemporanea, perdendo la tradizione per ritrovarla dietro l’angolo, con un tovagliato d’accatto e un’idea di senso da ricercare in un’anzianità gloriosa e in ricette che nella rivisitazione già perdevano il legittimo. Alba è un luogo dissoluto e dissipato, di una bellezza tirata fuori, dove il cibo è diventato più occhio che pancia e dove il giudizio rimane sempre legato ad una territorialità industriale e partigiana. Qui continua ad evolversi una storia silenziosa e irriverente, dove la cortesia è diventata una sottile forma di conservazione. E così quando non trovi manco un’insegna ad attenderti, in una periferia dove la Ferrero ha destato le coscienze all’azione, pensi di essere nel posto giusto al momento giusto. Continue reading Laboratorio di resistenza dolciaria: è tutto nel nome… Maria Cristina e Federico Molinari
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La futura polenta di una volta… Mauro Longo
Fubine. Dove una volta c’era l’aristocrazia ora c’è una sonnolenza incompiuta. Si schivano campi di granoturco e di girasoli e si arriva a guardare l’ennesimo paese che sovrasta sudditi avvezzi al tempo libero. Questo era il paese dei conti Cacherano di Bicherasio, qui veramente il sangue blu si era intinto di rosso e il favore del popolo non era un acquisto d’indulgenza. Emanuele Cacherano di Bicherasio è stato nobile, imprenditore e amico dei più deboli. Ha fondato la Fiat e ha permesso il passaggio dall’oligarchia agricola a un sensato comunismo di gestione. Fino alla morte in circostanze oscure, tra il suicidio e l’avvelenamento. Tutto insabbiato naturalmente, perché un progresso tecnologico che sfami il popolo, ancora oggi, ha una benevolenza da pozzanghera insozzata. Contadini, emigranti e partigiani. La storia di Fubine è uno spaccato del nord Italia, senza scampo. Continue reading La futura polenta di una volta… Mauro Longo
Dove la carne è una laica religione… Vittorio Giovine e Loredana Lovisolo
Nizza Monferrato ha una fama che la precede, è luogo di vini, di ristoranti, di ristoratori e di straordinarie tradizioni gastronomiche, su quella strada che dalla finanziera porta verso la farinata passando per l’agnolotto. In luoghi come questo si è fatta l’Italia, qui la sofisticazione è un rischio assolutamente non calcolato e la presa in giro un locale vuoto. Crescono le nuove generazioni e rimangono interdette: la necessità è che qualcuno le guidi. Non si deve tradire questa storia in questo luogo. E così per poco più di diecimila anime ci sono tredici macellerie non contando i supermercati. Qui la carne è il culto laico dell’appetito. A partire dalla vetrina. C’è uno studio dei particolari, degli abbinamenti, delle tradizioni da non sbagliare e dei colori da restituire alla salivazione che è ieraticamente un continuo contro senso. Rimasto indietro in un anacronismo pantagruelico, il gusto torna bambino e Nizza Monferrato diventa il parco giochi della mia immaginazione culinaria… Continue reading Dove la carne è una laica religione… Vittorio Giovine e Loredana Lovisolo
Pasta fresca e basso profilo… Sergio Tonella
Nizza Monferrato è un bel rimpasto della storia d’Italia. Quella gastronomica che passa dalla barbera agli spumanti, dal bue piemontese al cardo gobbo fino alle conserve Cirio, quella politica, quella architettonica e quella che, non disdegnando la collina, ci ha tenuto a mantenere un’identità atavica inurbata in una contemporaneità senza pietà, dove le aziende da rotonda senza fine si alternano ai portici dalle botteghe storiche pronte ad accadere. Qui le piazze diventano parcheggi e i vicoli mantengono inalterato il desiderio di passeggio. È un luogo perversamente rilassato, adagiato, quasi confuso, dove le membra si sdilinquiscono nell’impossibilità di scelta. Ci sono troppe sollecitazioni, troppi stimoli, qui il cibo è una cosa molto più che seria, le tradizioni sono sempre un punto di arrivo che riguarda il futuro più che il passato. Nizza è un bel posto per qualunque vecchiaia, dove la fiducia verso il bottegaio è costruzione di ospitalità e accoglienza, e dove il riguardo per il tempo che passa difficilmente si trasforma in noia. Qui m’imbatto per caso in un pastificatore sotto traccia, normale, quotidiano e assolutamente legato ad una conoscenza cittadina e ad una esaltazione dei borghesi da fine settimana ristrutturato. Continue reading Pasta fresca e basso profilo… Sergio Tonella
Il vitello sanato, una forma disillusa di tradizione…
Viverone è un lago diviso da tre principi, il nascondimento dell’autostrada e dei boschi, il turismo lacustre che non lascia scampo e la dolcezza di colline coltivate a kiwi e vigneti. Come prolungamento dell’Erbaluce e di una vinificazione sepolta da anni dissidenti che non han portato altro che uno stato di cose in transizione, questi luoghi han resistito al verde scuro. I boschi sono stati messi in riga dagli allevatori e dai raccoglitori di legname, da quelle persone che hanno invaso con circospezione e costanza, che han fatto della natura un mestiere senza necessariamente tradirla. Sono sentieri con poche indicazioni e ancora meno strutture recettive. C’è quell’unico ristorante che ha visto sposarsi, cresimarsi e battezzarsi tutti i membri delle famiglie agricole. Perché qui la vicinanza è più che fondamentale e l’abbandono non è nemmeno un cenno di resa. 365 giorni all’anno al lavoro. Perché gli animali non aspettano il decoro. Continue reading Il vitello sanato, una forma disillusa di tradizione…
La certezza della panificazione… Luca Piantanida
Coggiola. Val Sessera. Un luogo remoto, plumbeo, dove hanno permesso ai boschi di diventare boschi. Un verde convinto, scuro, ingombrante e un paese rimasto. Così come dovrebbero rimanere tutti i paesi. L’Oasi Zegna e la Valsesia la racchiudono come a dimenticarla, rilasciando al mondo la bellezza di un selvatico domestico che qui è ancora rito di passaggio di pastori e autoctoni. I paesi sono rimasti fermi ad uno sviluppo industriale demotivato. Quando si dava lavoro a migliaia di persone e i telai tradizionali erano l’anima marchiata a fuoco della fuliggine quotidiana. Il laniero e i suoi dipendenti erano il contraltare della Paletta, salume povero per un proletariato suburbano da pranzi suadenti. E così si è arrivati fino all’oggi, a quella bellezza candida da cinque del pomeriggio e da tranquillità al di là delle siepe. Perché qui il tempo non è più un intralcio. Continue reading La certezza della panificazione… Luca Piantanida
Sogni e progetti di un macellaio gastronomo… Alberto Mosca
Biella. Una strada che taglia e una piccola città che gli ruota attorno. La borghesia avviluppa il centro e di quel distretto industriale, che ha sempre goduto delle seconde case e del sabato libero come raggiungimento di uno status elettivo, rimane la voglia iconografica di filanda. Qui il tessile, il settore laniero su tutti, ha cortocircuitato l’intellettuale, comprandolo e rendendo tutto fruibile. L’economia è stata quella forma di cultura che ha tirato fuori le possibilità e il pensiero unico. La borghesia subalpina ha rallentato i ritmi, non ha permesso lo sviluppo del tempo e della rivoluzione. E una volta morente, ha continuato a sonnecchiare nella risata e nel dileggio. Perché questa è veramente un’enclave di stile e di scarpe basse, nonostante il secolo. E così, arrivare a Biella, attiene al grigiore di ogni giorno e al riguardo verso la suggestione, quella da deferenza, da sogno mancato e da Principe di Galles accarezzato appena sotto l’orecchio. Il conservatorismo è dietro l’angolo e l’abitudine ha provato ad essere deflagrata dalla grande distribuzione organizzata con risultati alterni. L’Esselunga fa capolino dietro i portici, ci si entra ma sempre con sospetto. Perché la svendita non è più appartenenza. E così può resistere, nel suo mondo semi-monopolistico, il paradigma di quelle gastronomie italiane che hanno traguardato l’oggi, decostruendo la guerra, colorando gli anni ’60 e rampando negli ottanta: la gastronomia Mosca, un Bon Marchè ai tempi di Rossi e Grassi, con quello straordinario artigianato, base per qualunque vendita. Continue reading Sogni e progetti di un macellaio gastronomo… Alberto Mosca
La pasta è un buon inizio… Leonardo Cappo
Borgiallo è un luogo chiuso e dedicato. Castellamonte, che si lascia alle spalle le sue bellezze e le sue botteghe di tome acarizzate all’inverosimile, è una strada provinciale che cede spazio a quel tipico asfalto che non porta verso nulla, che abbandona indietro le curve e che non prevede nulla sul proprio cammino. Il paese è un insieme di case distanti e strade che lasciano il percorso alla furia del bosco, con tronchi sparsi, buche mai ricoperte e quella carreggiata che diventa mulattiera. Pochi negozi, un’attività per ogni tipo di funzione vitale, molti parcheggi, il Comune, un asilo nido che richiama pace e un vecchio caseificio sociale (di cui è rimasta solo l’insegna) che è diventato laboratorio e bottega di un giovane provveduto con una laurea in tasca e una voglia di trasformare la quotidianità familiare in un mestiere. Continue reading La pasta è un buon inizio… Leonardo Cappo