Milano. Piazzale Bacone. Quando i legami tornano e rientrano, questa città mostra sempre quel po’ di gratitudine invernale che, nella foschia di una meta sbiadita, non riesce più a compiacere se stessa. Ogni tanto, si affaccia qualche artigiano che riesce a farmi ricredere sulla punizione di vivere in questo luogo, senza più origini e incapace di approcciarsi all’ortodossia come alla diversità. La sbandierata apertura, il diniego della provincialità e il multiculturalismo come rotondità imperante han cominciato a farmi apprezzare i semafori. Quegli stop indotti che fanno sprofondare su una poltrona, senza la preoccupazione di nessun vicino, di nessuna chiacchiera e di nessun saluto. La Milano intima, quella condotta in maniera algida, priva di confidenze e con luci fioche che si spengono in cucine introverse, quella dei menù dei tavoli singoli o delle domeniche con la nonna, dove le livree si alternano ai semifreddi Bindi, la stessa che riporta la centralità del bancone, del riservato rapporto col cliente e della bottega come salvezza dalla tapparella abbassata. In questa Milano, trovare un pasticciere milanese, per di più giovane, in un’anacronistica pasticceria di quartiere, attiene a quella transcultura che ci rende milanesi e riconoscibili.
Marcello Rapisardi e la sua compagna Francesca hanno girato l’Italia, tra sale, cucine e laboratori, da Knam a Cedroni fino a Blumenthal, si sono ritrovati con l’opportunità di stabilirsi in una città deferente e assolutamente incomprensibile. Lei comasca, lui di un quartiere popolare milanese, sono subentrati ad un’antica dolceria che dell’antiquato aveva fatto il suo stilema. Marmo e legno, nessun tavolino, un laboratorio ristretto e una clientela, fidelizzata alle vecchie maniere del dolce come soddisfazione, da rendere più sbarazzina. Marcello è entrato in quei desideri e ha provato a a sgrassarli, a ripulirli, a decostruirli, non toccando il fondamento. Lentamente ha portato fuori qualche torta moderna e qualche creazione fuori sistema, provando a rivoluzionare palati reazionari e conservativi.
Straordinario lavoro sulla panna montata (meringhe cuneesi e bignè), quella che non vuole più nessuno perché legata ad un immaginario anni ’80 che tutto si è portato via, un prodotto lodigiano, una lavorazione soave e un balzo di trent’anni avanti, altro che yuppismo. Marcello ha il tocco, tempera ancora a mano, alleggerisce le ricette, produce ginevrine e gelatine, portando l’innovazione degli oli essenziali più estremi all’interno della caramella confidenziale, quella che ricorda la nonna, da cui visivamente non ci si può staccare. Nasconde nelle praline la mastica (resina) del lentisco o il plancton, ma sorprende maggiormente con la zucca o con la frolla, riporta tutto al sorriso e al gergo, supportato da Francesca, dietro al bancone, completamento di un percorso e di un territorio. Via gli architetti, via i progettatori di arredamenti e spazio ad un passato che è prima di tutto gentilezza. Soprattutto quando non attesa, soprattutto in una mattina casuale di un giorno qualunque, in cui il dolce torna ad occupare la sua centralità… consueta, attuale, démodé e milanese…
PASTICCERIA & DESSERT – MARCELLO RAPISARDI
PIAZZALE BACONE 12
MILANO
Sarà sicuramente una delle mie tappe appena tornerò a Milano