Uova di Selva sotto la neve… Massimo Rapella

gallina

Morbegno è una buona rappresentazione della Valtellina. L’Adda, le case color pastello, la vista sulla costiera dei Cech, l’influsso delle Alpi Retiche e delle Prealpi Orobiche, le rupi del vino, il torrente Bitto che apre la storia della Val Gerola e del formaggio, i sentori d’alpeggio, i terminali del grano saraceno, pizzoccheri e bresaola come principio e i Fratelli Ciapponi che, con le loro straordinarie cantine di stagionatura e di affinamento, interpretano bene il ruolo di rappresentanti di questo pezzo di mondo: un po’ imbonitori, un po’ salvatori, un po’ venditori.

Qui i colori non sono mai nitidi, c’è come un velo a modificare la percezione che rende tutto dilatato. Le sfumature diventano boschi e foglie cadute. I tornanti che portano ad Arzo e che guardano il Passo San Marco e le Orobiche, in località La Gramola hanno una cesura in una curva di architettura organica. Massimo Rapella e sua moglie Elisabetta, qui, stanno provando una rivoluzione.

Erano operatori sociali ed educatori, avevano una comunità alloggio per minori con gravi problemi e sono stati costretti a chiudere poco tempo fa a causa di una burocrazia che spende un sacco di soldi nell’apparenza del momento e un po’ meno nel lungo periodo della cura. I servizi sono diventati la produzione. La selva di famiglia è stata trasformata in un bosco per galline. Un piccolo pollaio e settecento Isa Warren, produttive (siamo sulle 600 uova al giorno), classiche, con una certificazione biologica imminente, libere e alimentate a radici, castagne (che ha provato a trasformare in farina ma non ce n’è stato bisogno… le galline le beccavano lo stesso…) erba e un’integrazione di mangime controllato.

La “selva” della Famiglia Rapella, da situazione di comodo soggiorno, con tronchi intagliati per pensatori zen, case sull’albero, capanno degli attrezzi in “pietra che muove i sensi” e pentoloni fumanti uova cucinate due giorni dopo la deposizione, non vendute e date in alimentazione alle stesse galline, si è trasformata in un pollaio e in un recinto anti-volpi in mezzo a questi alberi di castagno dove Massimo ha costruito dei nidi di paglia tra i tronchi dove le uova sono “veramente” deposte. Qui, l’estetica e le fotografie sdilinquenti delle zampette in mezzo alla neve sono solamente un corredo ad un’esigenza molto più profonda: un’etica di natura che si supporti da sé.

I principi Slow che Massimo cita per tonalità, necessità e credo, non sono l’ennesimo effetto Pigmalione che vede gli animali trasformarsi in Tabù da adorare mentre la luna non è ancora del tutto piena, ma attengono alla quotidianità di raccolta delle uova, ad avere un terreno e un pensiero sulla sua trasformazione, a dare una piccola possibilità a quei ragazzi che hanno lasciato la Casa per un divano disperato dove l’ottenimento non è più nemmeno un pensiero. Massimo ha guardato il bosco e ci ha visto delle galline, ora sta guardando più in alto, verso i picchi, verso la neve e verso le baite. Alla progettualità qualcosa sfugge sempre, “un resto innumerabile sempre riapre il calcolo che si credeva chiuso” ed è per questo che la fiducia è una pre-determinazione destinata al fallimento. Il tempo cambia le cose, ma l’intenzione è talmente esaltante da valere molto di più di una cartolina. Guardare quei boschi tristi, quelle lamentele da dieci centesimi, quelle montagne da caricatori di pascoli e vederci una struttura è già un assaggio…

Le uova cotte sono impercettibili, la diversità è una corsa lenta verso l’uguaglianza. Il tuorlo crudo è incredibile: colloso, con quella freschezza che non deve diventare una presa per il culo da latte di capra e uovo nell’occhio, ingloba aria eccezionalmente in quanto FRESCO non in quanto a la page, è figo non perché ha una struttura proteica fuori dal comune ma perché è FRESCO. Noi mangiamo quello che mangiano le galline, la loro libertà e il loro benessere. Se i capannoni vanno a scalare da latte fresco a latte in polvere fino ad assenza di latte, il valore decade. Quello che rimane è il prezzo, la faciloneria pornografica e un “leggero gusto castagnato” (cit.)…  anche quello di Massimo è “castagnato”… cazzo… ma qui ci sono i Castagni! è naturale, è conseguente, quasi tautologico.. e poi è di una leggerezza fuori dal comune…

Il punto è sempre quello, al di là della scelta etica di non usare contenitori in cartone, ma in plastica riutilizzabile e in vimini poetico, e Massimo lo sottolinea con naturalezza: un uovo è un uovo. La differenza fondamentale è sempre e solo la freschezza. Il resto è benessere animale.

Massimo, con il suo sarcasmo stabilizzante e il noviziato artigianale, ha già preso in mano buona parte della Valtellina gastronomica. Naive e anticonformista, con due storie da raccontare, la decostruzione e la ricostruzione, e delle cartoline talmente connotative che sono già un indirizzo sul navigatore satellitare…

 

AZIENDA AGRICOLA LA GRAMOLA

VIA GANDA 80

MORBEGNO (SO)

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