Affinare l’antica arte di fare formaggio… Silvio Zanini

San Colombano, frazione di Collio, dove finiscono i paesi e iniziano le ascese per il passo Maniva e per il passo Crocedomini. Il ritmo è scandito dal rimpicciolirsi del fiume Mella e dal freddo pungente delle otto di mattina. I colori superano l’oasi post-rivoluzionaria dei fratelli Muffoletti e s’inerpicano su verso l’Alta Val Trompia, dove la forma di turismo principale non conosce ancora il decoro come forma mentis. Le case rimangono pietra, non diventano castelli ma vasi di fiori a picco sulle cascate. Qui, il distretto italiano delle armi da fuoco non ha conosciuto la crisi ma non ha nemmeno degradato. Il paesaggio è rimasto inospitale, prettamente selvatico. Più la roccia si sveste, più la presenza antropica diminuisce, lasciando dialetti e quotidianità autarchiche. Qui, la vendita, finanche quella di bottega, è ancora determinata dai saluti, dalle solite facce, dalla noia e dal pettegolezzo. I centri commerciali si sono fermati in città, i supermercati ad inizio valle. Qui, ci sono gli empori e i negozi con le solleticanti offerte del mese. Il marketing dello scaffale presuppone un nome e un cognome, non un comportamento. La signora Pina va verso destra e il signor Ezio ha il suo giornale, in quanto unico compratore in valle, a portata di mano. La vendita è una certezza dell’incasso. Così la famiglia Zanini non poteva esimersi da una bottega dove nascondere il suo sovvertimento.

Mentre i suoi figli gestiscono il lavoro quotidiano, Silvio Zanini ha preso in mano una valle e ha cercato di portarla fuori. I suoi genitori gestivano una rivendita/stagionatura sul passo Maniva dalla parte di Bagolino. Estate. Rapporto diretto con i produttori che, per prolungare la stagione, raccoglievano funghi e costruivano roccoli per l’uccellagione. L’alpeggio finiva, continuavano l’autunno e le compravendite. D’inverno si scendeva a San Colombano, dopo un’estate di Bagoss, e si continuava a vendere.

Ecco. A Bagolino sono riusciti a crearsi un’etica ed un’estetica per difendersi dai contraffattori. La Val Trompia, invece, è rimasta una vallata di allevatori. Perlopiù anziani, dove la gioventù è una possibile carriera da idraulico messa da parte per continuare il lavoro della madre. Silvio aveva un’idea. Non abbandonare quelli che gli hanno sempre permesso un’identità e un territorio. E così ha cominciato ad affinare, facendo partire tutto dalla conoscenza. Celle di stagionatura, alcuni allevatori/casari e poche scelte ben definite. Il Nostrano Valtrompia è un formaggio poco affermato e dallo straordinario potenziale. Non fosse nella morsa di ignoranza e certificazioni, riuscirebbe ad affabulare attraverso le sue valli e le sue caldere. Però la Dop, probabilmente, è arrivata troppo presto.

Ad alcuni casari, entro la fine dell’anno, deve essere tolta la marchiatura perché non a norma con la follia. Silvio ha in casera i bagoss, i nostrani, qualche formaggella della valle (a metà strada tra lo stracchino orobico e lo scimudin), delle tomette di capra estremamente stagionate e poco altro. In quello che ha, vede l’affinamento come il compimento di una missione. Nel mentre, sta cercando di convincere gli stessi allevatori (nomi, cognomi e alpeggi su ogni forma) a prolungare un pochino la stagionatura nelle proprie aziende, in modo da dargli un prodotto più pronto e in modo che possano tenersene qualche forma da vendere e da invecchiare.

Il Nostrano manca di fascino e di comunicazione. Però è buono. Molto buono. Nella struttura ricorda un Bagoss. Semigrasso, zafferano alla rottura della cagliata, spino in legno, caldere in rame, ciccosità e sapidità da controllare necessariamente, olio di lino in lavatura e doppia mungitura, con la munta calda utilizzata quasi intera. Brune alpine (quasi nella totalità) e alimentazione controllata tra erba, fieno, leguminose e cereali. I sapori spaziano da un fortissimo e quasi stordente aroma di camino, nel nostrano invernale (un filo troppo gommoso, ma talmente diverso da rimanere in bocca oltre dieci minuti), ai fiori dell’alpeggio: prodotto straordinario, prezzo contenuto, nessuna patina, affinato a colpi di lino e forme girate, rilascia un po’ di legno e molta umidità. Bassissima salatura, soprattutto rispetto al Bagoss, e pasta, giallo-verde, non particolarmente granulosa e assolutamente friabile in rottura.

Ci sono anche i formaggi di Bagolino, che continuano a stagionare nelle cantine della Cooperativa, ci sono le formaggelle, proteolizzate e mantecate o apparentemente perfette, con occhiature da gas eccessivo in fermentazione ma niente sapori amari, oppure con pasta un filo gessosa e assolutamente friabile in bocca, c’è la capra tonda, poco stagionata o molto stagionata, con dei retaggi antichi di un animale d’alpeggio che ormai l’alpeggio non lo vede quasi più. Silvio li massaggia, li taglia tutti, senza necessità di assaggiarli, li depone o li porta oltre, nella degustazione o nella vendita.

Anche senza il bisogno di un significato o di una definizione, Silvio è la Val Trompia. La studia, la solca e la racconta. Nonostante il ruolo dell’affinatore l’abbia sempre scambiato con quello del sofisticatore, devo ammettere che, in taluni casi, sarebbe giusto scambiarlo con quello del salvatore. Ogni tanto, è proprio la valle a chiedere aiuto, a chiedere una sopravvivenza al di là del trucco e dell’artifizio. Ci sono gli “Epimenidi” con la toga slow che vantano ai mercati della terra mirabolanti produzioni e poi ci sono quelli che hanno legato la propria esistenza come artigiani e come commercianti all’allevatore-casaro-stagionatore di turno. Silvio non va a cerca del gorgonzola, dello strachitunt, della spressa o dell’asiago. Silvio ha guardato la sua valle e ci ha visto una possibilità. Ora attende lo yuppie coi soldi, il critico televisivo e il difensore delle tradizioni…

 

FORMAGGI TREVALLI

VIA MANIVA 110/A

SAN COLOMBANO – COLLIO (BS)

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