Banon al profumo di Lavanda

lavanda

Alta Provenza al confine con il Plateau d’Albion. Qui luglio ha un’unica ragion d’essere. La fioritura della lavanda. Il turismo efferato non ha tolto nulla al discreto. Qui passano le persone ma il sole non le fa fermare. Qualche foto e via. Lo straordinario colore viola e la precisione geometrica dei filari coltivati sono qualcosa che va ben oltre qualsiasi cartolina. Bisogna immergersi per capire la realtà dei contrasti. È la stessa attrazione che ci porta verso il pomodoro giallo, la melanzana rossa, la carota nera. È l’inclinazione verso il diverso che nel lilla scuro di questi sciami di api dirompe in maniera assolutamente irrazionale. E la commozione di trovarcisi in mezzo non ha un controllo definibile. Creare un interesse turistico richiamando un voyeurismo cromatico è qualcosa di assolutamente unico. E probabilmente solo i francesi potevan riuscire a commerciarlo così bene. Perché è tutto un altezzoso susseguirsi di paesini fiabeschi senza necessità. Il tempo per una volta è veramente galantuomo. Perché qui basta una nuvola torva e tutto cambia. La magia diventa impressione di novembre…

Chiaramente la sensibilità femminile da accontentare è una solida compagna di viaggio ma non il motore mobile del mio essere lì. Sono alla ricerca del Banon. Caprino provenzale avvolto nelle foglie di castagno e affinato in acquavite, retaggio storico conservativo per cui le forme essiccate venivano fatte rinvenire in vinacce avvolte in foglie e conservate in vasi di terracotta.

Ora il procedimento è all’inverso. La conservazione è diventata elezione e il prodotto difficilmente supera le due settimane di affinamento. Cagliata presamica, molto particolare per il tipo di forma e per il tipo di sviluppo proteolitico, latte intero, pasta cruda e molle, note burrose e assolutamente dolci, il piccante arriva alla fine senza alcun tipo di acidità. Un prodotto ormai raro. Il disciplinare impone il pascolo alle capre per più di metà dell’anno. Gli incroci provenzali della famiglia Corbon (La Pourcine) sono localmente portati verso un lascito di tradizione a cui non interessa selezionare.

Joel e Brigitte credono nel recupero e nell’analisi del tempo. Qui non ce n’è per conservare. I mercati si portano via tutto e così non c’è bisogno di lambiccarsi troppo. La Tome à l’ancienne (un Banon stagionato ma non avvolto in foglie di castagno) è il quotidiano. Una straordinaria crosta bianco candido e una proteolisi pulita senza acidità. Il resto è cagliata lattica, crottin a crosta fiorita nella migliore tradizione del centro-nord.

Questi luoghi invitano a fuggire per il troppo contrasto. E così mi rimetto in strada. Fino a Cavaillon, evitando lo smaccato turistico e trovando, dopo un’ora di ricerca, Frederic Genin (Le Fournil des Gres), un paysan boulanger (panificatore contadino) a cui basta il volto per comunicare il proprio mestiere. Sta recuperando un grano antico provenzale (blè meunier d’Apt) e nel mentre macina monococco. Acidità contadine, quasi casalinghe e profumi di riflesso. Forno contemporaneo e pane fragrante. Senza sovrastrutture. Da mangiare con la bocca dritta… e così fuggo verso luoghi incontaminati…

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