Conservare le tradizioni… Andrini Marmellate (Andrea e famiglia)

Gottolengo. Bassa Bresciana. Superata la depressione post-bellica, il paese si è travestito da industriale, cercando di rendere folklore le sue velleità contadine. Ha abbandonato le frazioni, le cascine, le fortificazioni, ha mantenuto salda la coltura della patata, trasformandola in una sagra, e si è racchiuso attorno al suo dialetto, alle sue battute da bar, alle sue facce sempre uguali e ad un sabato a pranzo vuoto nel suo interminabile periplo. È tutto coltre, è tutto nuvole basse. Non c’è allegria né armonia. Le televisioni sono accese e quei pochi, che camminano per strada, hanno un senso solo nell’indifferenza. L’omissione di una richiesta mi fa osservare e mi fa essere osservato. L’ansia è un terribile correre da un lato all’altro del paese, da una tradizione padana ad uno chef sulle uova, da una casa tinteggiata di cielo ad un volto noncurante. L’ora X è finalmente giunta. Posso disturbare Andrea, figlio di Maria Luisa Andrini, mio interlocutore privilegiato.

Una corte lombarda integrata in un’unica famiglia e nella sua azienda. Zie, prozie, cugini, bambini, giocattoli e cassette di frutta accantonate una sopra l’altra. Andrea è un ex quasi ingegnere, di formazione scientifico-ambientale, con un retaggio nelle marmellate e un pensiero che lo ha portato a compiere la scelta del ritorno piuttosto che quella del calcolo e della fuga di cervelli. Così è rientrato dove la madre Maria Luisa, ultima generazione degli Andrini (dopo aver diviso oneri e onori con le sorelle…) e il padre Francesco, ex enologo prestato ad ossidazioni diverse, hanno continuato la storia dei genitori e dei nonni.

Andrea ha una gentilezza avita, fatta ancora di accortezza e cortesia. Gli assaggi aspettano sempre il giudizio. Mancano di sicurezza. Nonostante le quasi mille botteghe del gusto sparse in giro per l’Europa, nonostante la crema di marroni da tagliare al coltello la producano oramai solo loro, nonostante quelle tradizioni secolari fatte di conservazione e di bruma siano gli unici a portarle oltre e nonostante i migliori campioni di mostarda cremonese vengano prodotti da loro con i marchi più svariati e con le etichette più fantasiose. La religione è diventata un’opinione, si è trasformata in un rapporto confidenziale con il Santo Padre ed è rimasta un dibattito senza un centro.

RELATIVISMO!!!

E così anche la famiglia Andrini-Petrò si è dovuta adattare alla botteguccia di montagna da un ordine all’anno e ai sofisticatori con la erre moscia. Ha cercato di mantenere il proprio prodotto nel solco dell’artigianalità, non contravvenendo però al mito della stabilità. Ancorché la loro marmellata sia chiaramente più liquida, la pectina è dosata solo con alcuni frutti e in determinate creazioni… – e probabilmente si potrebbe lavorare oltre… -, il prodotto è dosato, tradizionale e rotondo. Qui la familiarità è, prima di tutto, un modo di vivere…

Andrea si scusa del lavoro, facendomi entrare all’interno del laboratorio e riportandomi indietro di cinquant’anni. Eccezion fatta per la parte dedicata a dosatrici, capsulatrici, lavatrici e invasettatrici, estremamente moderna e avulsa, ma fondamentale al concetto di artigianale, la famiglia Andrini ha a disposizione tre paioli in rame da un quintale di prodotto alla volta, forgiati nell’Ottocento e rimessi a nuovo ad apertura aziendale (negli anni ’30), in cui lavorare la frutta a bagnomaria, mantenendo le temperature controllate e sfruttando la conduttività, l’omogeneità e l’alto indice di trasmissione termica, per creare e non caramellizzare, non superando mai la quantità di prodotto. Così l’artigiano torna a casa.

Quando alzo la testa vedo una sorta di boule di concentrazione sottovuoto (una specie di capsula usata per la perlustrazione dei fondali nella Nantucket del capitano Achab) che sembra uscita da un sottomarino-sovietico-piena-guerra fredda. Dentro questo straordinario reperto bellico, viene messa a punto la confettura solida di più frutti, con un forte naso agrumato e un palato un filo caotico.

I prodotti sono azzimati, partono tutti dalla frutta fresca, si avvalgono di produttori principalmente locali, rimangono un filo sotto la raffinatezza gustativa ma sono assolutamente estetici. Nei colori, ad ossidazione controllata, e nel retaggio atavico-campagnolo dei vasetti. La crema di marroni è sì suadente e sì rotonda ma si finisce in cinque cucchiate. Esce forte la vaniglia ma è talmente gustosa e pulita da lasciar perdere tutto. Così come la marmellata ai limoni, da un’antica ricetta gardesana della nonna. Acida e piena. La mostarda è forte ma con i sapori tutti al proprio posto. È difficile ricordarne così nel piattume conformista del gusto contemporaneo, dove tutto deve essere bilanciato dal suo opposto. Questa è un parossismo di gusti e di piaceri, così come la cotognata (dolce e senapata… in buona parte da coltivazioni di proprietà della famiglia), antichissima ricetta del medico Grammatica per curare i propri pazienti, che gli Andrini continuano a proporre in scatole di legno che ricordano quelle del Camembert o del Livarot. Le confetture sono tutte piacevoli, con dei culmini in quella di more e di lamponi, eccezionalmente bilanciate, e in quella di albicocche, rotonda e quasi vanigliata. Le percentuali di frutta, che lasciano perdere gli immangiabili eccessi (sia di zucchero che di polpa…), raggiungono un’alchimia invidiabile. La particolarissima conserva di mele, che nessuno fa perché o non ha sapore o non ha tenore, osserva ortodossianamente il credo degli Andrini: “Infanzia: mela schiacciata con zucchero e limone”.

Andrea prova a farmi conoscere quella parte di paese che ha preso l’artigianato come una cosa seria. Pur trovandosi alla corte dei re, non si dimentica dei coltivatori di zucche, di quelli di patate, dei pastai e degli allevatori di polli (l’altro lato della luna della loro famiglia). Esiste nel paese ed esiste perché esiste il paese. Con i suoi silenzi, i suoi sguardi vuoti, la sua caligine e le sue campagne…

 

ANDRINI MARMELLATE

VIA ARMANDO DIAZ 18

GOTTOLENGO (BS)

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