Dal chicco all’alveolatura contenuta… Gina Bisoglio

bisoglio

Lu. Un paese invecchiato. Uno di quei luoghi lasciato nelle mani di nessuno e così ritrovato centinaia di anni dopo la sua fondazione. Un colle di proprietà, una vista che non lascia requie, delle strade senza macchine, ma soprattutto una serenità anziana che riporta tutto alla sacralità. Ecco, Lu è un paese uscito da una fotografia neorealista a colori. Nessun dialetto, molta accidia, una determinazione per affrontare il nemico, luoghi messi in vendita per pochi denari, continuo cambio d’abito nelle colture, una postazione di difesa, la cantina sociale più antica della provincia di Alessandria, dove un tempo conferivano quasi 400 agricoltori e dove ora sono rimaste a terra le briscole, ma soprattutto una quantità di colori totalmente privi di turismo. Tonalità di marrone e giallo che non sono mai state vendute oppure, con meno poesia, che non sono mai riusciti a vendere.

Gina Bisoglio è una donna tenue. Ha un marito che fa il geometra, un figlio di vent’anni che ha deciso che per lui è meglio imparare i lavori dei genitori, e una risposta sempre un filo distante dall’empatia. Innocente, non saprei nemmeno come altro definirla. Assolutamente proiettata sul suo passato e sul suo futuro. Ha preso una decisione talmente rivoluzionaria da non avere che del pallore.

Agricoltrice da famiglia di agricoltori. Cereali e sementi. Niente vino e niente nocciole. La sua terra aveva un’immagine diversa. Qui è stato svenduto tutto. Il prezzo del grano è arrivato a diciassette euro al quintale. Così la differenza era meglio farla sulla qualità.

Intolleranze-Allergie-Biologico-Mulino Marino. La correlazione parte dal malessere. Gina e suo figlio Luca sono intolleranti al latte, sua figlia al riso. Il pane di paese, quello suadente all’alcol etilico da giocarci al lancio del sasso la sera stessa, era un rischio troppo grande. Mulino Marino lavora seriamente. Fulvio e Fausto sono ancora dei bambini. Ferdinando inizia a consigliarla, anche sulla conversione. Così, diventa una delle fornitrici principali di grano e comincia una panificazione domestica con lievito madre e cereali suoi che la porta sempre più fuori. Qualche concorso, un orto biodinamico, un pollaio con le bionde di Villanova, quel filo di autarchia semplice e la decisione di produrre da sé e vendere agli altri.

Lu, nonostante sia un luogo a metà strada tra le cicale e le rughe dei film di De Seta, è troppo caotica, sia per Gina sia per Luca, che ha raggiunto i vent’anni senza riniti e senza degrado. Il casale che hanno recuperato in campagna, sulla strada per Conzano, circondato dai campi di grano, con i noccioleti a degradare e i campi di orzo bruciato e abbandonato sull’orizzonte, è talmente remoto da sembrare licenzioso. Da quelle parti, avere come vicino un bar che dà vita notturna agli astanti e ai tester di marmitte, è l’obbligo di una parola di troppo. Così la gente entra ed esce dal negozio che Gina ha costruito con una logica elettiva: filiera.

La coltivazione dei cereali è rimasta legata al suo grano Taylor e al mais Ottofile (coltivarlo in biologico è una follia per rese e costi: due quintali di prodotto per ettaro…), bianco e giallo, ma lentamente le colture si sono allargate ad un mais nero, ad un grano duro trovato per caso e si allargheranno alla segale e al farro che sono in fase di sperimentazione. Trovare le sementi giuste è sempre più complesso e così Gina deve completare, almeno per ora, con l’acquisto di qualche farina dai Marino.

La macinazione è quell’inaspettato di rispetto. Mille anime, panificio aperto tre giorni a settimana e una stanza dedicata ad un mulino a pietra refrattaria, acquistato in Austria, ricoperto in legno, fiancheggiato dai setacci, in cui prodursi i propri sfarinati, le proprie burattate, le integrali e le polente. Così, con la gestione della sua pasta madre (difficilmente ricordo di averne viste di così pulite), in acqua, con i rinfreschi fatti con l’acqua S. Anna, perché il cloro dell’acquedotto rovinerebbe il prodotto, chiude il ciclo. Naso e palato di un nitore raro. Niente acetico e niente citrico, un profumo di cereali e latte invidiabile. Ogni tanto, quelli che furono panificatori domestici, privati della serialità dei clienti paesani, delle accademie tecniche e delle materie prime da denuncia deontologica, si portano dietro una cultura che i professionisti continuano a mancare nell’umidità di pareti scrostate e miglioratori invitanti.

Il pane ha le occhiature al posto giusto, la crosta un po’ debole, il colore dei forni a legna (ancorché non ve ne sia traccia in laboratorio…) e il profumo del grano tenero appena macinato. Niente cicca e niente tecnica eterea, da pane quasi scomparso in mezzo all’aria delle gallerie (dette altrimenti alveoli). La segale è lavorata al 50% con il frumento, mantiene la struttura e regala sapori, così come il farro. Il suo frumento, con la sua macinazione, è sorprendente, ha una mollica estremamente compatta e poco sgranata, ha il colore grigio della “Family”, il glutine della forza e una percezione precisa su che cosa voglia dire nutrimento. Le focacce sono perfette, sesamo e zucchine (probabilmente del suo orto) addirittura una delizia, una di quelle cose che vorresti continuare a mangiare. La polenta di mais bianco, probabilmente per una mia gradazione emotiva, è fascino a prima vista. Bella, candida, contestuale. Rimane in bocca, a metà tra il bramato e il fioretto. Chicca: si fa produrre la pasta con il suo frumento da Mauro Musso…

Manco i grandi lievitati, mi godo la mela e l’uvetta e rimango sempre più intrappolato nei decadrage creati da Gina: queste inquadrature, fuori tempo e fuori spazio, in cui la discussione è sempre sospesa tra la domanda e la risposta, tra la stanchezza e la percezione. Gina manca della prospettiva frontale, va presa di lato, così come Luca, con quella necessità di rimanere talmente invitante che non vale nemmeno come cartolina. Lì è tutto fermo, bisogna solo spostare la macchina da presa, riprendere fuori campo e mettere a fuoco quello che a fuoco (visto i sofisticatori di collina sempre presenti…) non sarebbe mai stato se non fosse stata per un’intuizione metropolitana senza logiche…

 

AGRI BIO PANIFICIO BISOGLIO

VIA MAMELI 58

LU (AL)

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